Gioventù nuda

14/07/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Adolescenza Disagio minorile Titoli Rassegne filmografiche

di Marcel Carné

(Francia/Italia, 1960)

Sinossi

Babar, un giovane della periferia parigina, entra a far parte di una banda di minorenni comandata da una ragazzina, Dan, e fin da subito s’innamora di lei. I ragazzi passano il tempo tra piccoli furti e il sogno di una vita migliore. Le cose cambiano quando nella banda entra Marcel, un ragazzo di poco più grande fuggito da un centro correzionale; soggiogati dal suo fascino autoritario – è Marcel, ora, il capo, e non più Dan, che abbandona il gruppo – i giovani progettano un vero colpo: rapinare il proprietario di un’autorimessa dove lavora Lucky, un altro dei componenti della banda. Avvertita da Babar, Dan convince Lucky a non prender parte al crimine che, pertanto, va a monte. Marcel se ne va; a capo della banda è ora un altro ragazzo, Rififi. Questi incita i suoi compagni perché si vendichino del tradimento di Babar, che ha avvertito Dan del colpo, e di Lucky, che ha trovato un rifugio sicuro grazie all’aiuto di Dan, innamorata del giovane. La violenza di Rififi si sfoga prima su Babar. Atterrito dalla ferocia dei suoi ex compagni che non esitano ad uccidere il suo cane, Babar si precipita da Dan. Ma l’attende un’altra, crudele delusione: la ragazza è fra le braccia di Lucky. Braccato da Rififi e dai suoi, Babar si uccide gettandosi dall’alto di una fabbrica. Nel frattempo Lucky, stanco di nascondersi, affronta Rififi e lo batte. La morte di Babar e la sconfitta di Rififi disperdono il resto della banda.

Introduzione al film

Gioventù periferiche

Gioventù nuda è uno degli ultimi film del padre del realismo poetico Marcel Carné, autore di capolavori come Albergo Nord (Hotel du nord, Francia, 1938), Il porto delle nebbie (Le Quai des brumes, Francia, 1938) e Amanti perduti (Les Enfants du Paradis, Francia, 1943-44). In effetti il regista nell’ultima parte della sua carriera si avvicina a tematiche sociali, ritraendo il disagio della gioventù parigina dei primissimi anni Sessanta in Peccatori in blue jeans (Les Tricheurs, Francia, 1958), centrato sul disagio ribelle degli adolescenti del Quartier Latin, mentre in questo film si concentra piuttosto sui ragazzi che, nelle periferie della città, tra palazzi appena costruiti, in mezzo a una terra di nessuno, senza strade, servizi o punti d’incontro, trascorrono le loro giornate senza punti di riferimento né possibilità di esperienze diverse dalle domeniche passate al lunapark o ai grandi magazzini, tentando piccoli furti. Il film è tutto centrato sulle disavventure della banda di ragazzi capeggiata dalla giovane Dan, in un’atmosfera divisa tra l’esaltazione dei legami di solidarietà e amicizia alla I ragazzi della via Pal, celeberrimo romanzo di Ferenc Molnár portato sullo schermo da Frank Borzage e dall’ungherese Zoltan Fabri, e la ribellione disperata e senza scopo di Gioventù bruciata (Rebel without a Cause, USA, 1955), il celebre film di Nicholas Ray. Ma, a dispetto dell’ambientazione contemporanea e della vicinanza ai modelli americani sopra citati, lo stile e le situazioni del film sono piuttosto convenzionali. Se si esclude il lungo piano sequenza iniziale, che segue il mesto ritorno a casa della madre di Marcel, condannato dal giudice ad essere richiuso in un istituto correzionale (da cui evaderà), la confezione del film segue i modi tradizionali del montaggio holliwoodiano, fondato sulla trasparenza e sulla funzionalità alla narrazione. E così le situazioni rappresentate appartengono senz’altro ai canoni del genere: il rito d’iniziazione alla banda, gli amori, i tradimenti, le vendette e lo scontro finale tra i due leader scandiscono il procedere del film senza scosse o novità. In questo quadro, degna di nota rimane l’ambientazione del film, che si svolge per intero nelle strade e nei palazzi di una periferia disordinata, in cui alti palazzi di cemento spuntano in un territorio che non è più campagna e non è ancora città, tra strade dissestate e mucchi di terra qua e là. Un paesaggio sconnesso, aspro, respingente, che restituisce visivamente il disagio dei giovani protagonisti del film, anche loro persi in un territorio sociale senza ordine né direzione, e che per molti aspetti rimanda alle periferie romane che, solo pochissimi anni dopo, Pier Paolo Pasolini rappresenterà nei suoi Accattone (Italia, 1961) e Mamma Roma (1962), anch’esse appena costruite e già segnate dalla povertà e dall’abbandono.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Il gruppo di pari come una famiglia

Come si diceva, l’intero film ruota attorno alle avventure della banda e in particolare a quattro elementi; Dan, la ragazza che all’inizio ne è a capo, il giovane Babar, che nelle prime battute del film ha la sua iniziazione nel gruppo, Marcel e Lucky, due giovani dai caratteri diversi eppure simili, entrambi alla ricerca di una vita diversa. Per tutti, il quadro familiare è desolante. La madre di Marcel, nella sequenza che apre il film, cerca di difendere il figlio dalle accuse del giudice, ma è consapevole della sua incapacità di occuparsi del ragazzo; il suo ritorno a casa, lento e mesto, dopo che il figlio è stato destinato all’istituto di correzione, ripreso in un lungo piano sequenza, è uno dei brani più dolenti del racconto. Dan, dal canto suo, deve difendersi dalle attenzioni di un patrigno troppo invadente, mentre la madre sembra disinteressarsi di lei, salvo dimostrare una certa gelosia quando le maniere del suo compagno diventano troppo esplicite. Babar, nella prima sequenza in cui lo vediamo, è a cena con i genitori, ma è solo il suo cane a dedicargli un’attenzione affettuosa; il padre e la madre sono troppo occupati a ignorarsi o a scambiarsi poche, amare parole. Per tutti, la vera famiglia, il vero punto di riferimento è la banda, che sostiene e accompagna i suoi membri come gli adulti non sono capaci di fare: «d’ora in poi non sarai più solo», dice Dan a Babar, una volta che questi ha superato la prova per poter entrare a far parte del gruppo, la divisione tra mondo dei ragazzi e mondo degli adulti è molto netta; nessuna figura adulta sembra poter fungere da punto di riferimento per i protagonisti, se si esclude Big Chief, il titolare di un negozio di abiti usati dove Lucky si rifugia; questi condivide la vita disordinata dei componenti della banda – fa lui da ricettatore ai frutti dei furtarelli compiuti dal gruppo – ed è comunque un outsider, non appartiene a pieno titolo alla società “normale” di coloro che, così sembra suggerire il film, negano ogni possibilità di una vita migliore ai protagonisti. Il loro disagio, tuttavia, è presentato in forme piuttosto convenzionali. Oltre alla ribellione verso famiglie distratte o, nel migliore dei casi, impotenti a fare alcunché, non c’è alcun accenno di seria critica sociale. Esemplare in questo senso è la sequenza iniziale, in cui Marcel è a colloquio col giudice che ne deciderà l’affidamento a un istituto correzionale. Condannato per un furto di poco conto, Marcel ripete al giudice le formule di rito: «Non sarò mai come mi volete, meglio in carcere che diventare come voi»; ma il suo personaggio non è mai approfondito psicologicamente, né le sue motivazioni emergono in modo chiaro. Così, anche Dan, Lucky e gli altri sono personaggi per molti aspetti stereotipati, che soffrono di un disadattamento evidente ma le cui cause non vengono analizzate in profondità, bensì attribuite genericamente a una non meglio definita “società”, che trova una rappresentazione efficace solo nel controcanto visivo della periferia squallida dove i giovani si trovano a vivere e dove sembrano dover restare per sempre.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Il film può rientrare agevolmente in una serie dedicata alla ribellione giovanile; degli infiniti film del genere ricordiamo almeno i già citati Gioventù bruciata di Nicholas Ray, film cui allude tra l’altro la traduzione italiana del titolo, e, dello stesso Carné, Peccatori in blue jeans, fino a I pugni in tasca (Italia, 1963) di Marco Bellocchio e, in chiave più attuale e in ambito americano, I ragazzi della 56ma strada (The Outsiders, Usa, 1983) di Francis Ford Coppola. Per la rappresentazione della famiglia e in generale del mondo adulto, distaccato e crudelmente indifferente, il film si avvicina al pressoché contemporaneo capolavoro di François Truffaut I quattrocento colpi (Les Quatre-cents Coups, Francia, 1959) e allo Zero in condotta (Zéro de conduite, Francia, 1933) di Jean Vigo; per uno sguardo più contemporaneo si può pensare al Ken Loach di Sweet Sixteen(Id., Gran Bretagna, 2002) e prima ancora di Kes (Id., Gran Bretagna, 1969). Chiara Tognolotti  

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