Genitori e figli, agitare bene prima dell'uso

11/03/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Relazioni familiari Titoli Rassegne filmografiche

di Giovanni Veronesi

 

Un film "che non vuole dare soluzioni, che non ha ricette" da suggerire tanto ai genitori quanto ai figli, se non quella di "agitare bene prima dell'uso", proprio come recita il titolo: così è stato definito dai suoi autori, un tentativo di descrivere in forma di commedia quale sia la condizione dei rapporti intergenerazionali all'interno delle famiglie italiane. Un tentativo che, tuttavia, oltre a non fornire soluzioni o risposte a una tematica complessa come poche altre (così come dovrebbe essere per qualsiasi pellicola che non voglia definirsi "a tesi"), non fornisce nemmeno grossi spunti di riflessione al suo pubblico, denunciando la sostanziale incapacità del cinema italiano di descrivere la società odierna partendo da quella cellula originaria che è la famiglia.

I tentativi, specie nel campo della commedia, sono stati numerosi ed eterogenei nell'ultimo decennio: ci hanno provato, ad esempio, Gabriele Muccino - con una serie di film tanto abili nel costruire storie e situazioni di famiglie borghesi dai fragili equilibri, quanto superficiali nel trovare soluzioni eccessivamente facili - e Paolo Virzì, per il quale la famiglia è più la cartina di tornasole della situazione sociale e politica del Paese che il reale oggetto di un'indagine circostanziata. Giovanni Veronesi non va molto al di là degli esempi poc'anzi citati, semmai sceglie un'opzione ancora meno ambiziosa (tanto dal punto di vista sociale quanto da quello prettamente cinematografico), ovvero quella del bozzetto semiserio, ironico, a tratti persino volgare nella ricerca di un'ipotetica vicinanza con le tendenze, i modi di fare e di dire dei giovani personaggi.

Il cineasta riprende la formula del film a episodi (già sperimentata nei suoi precedenti lungometraggi), anche se le linee narrative sono ridotte a due soltanto e le storie dei personaggi di una vicenda si intrecciano a quelle dei protagonisti dell'altra. Un sintomo, la scelta sia pur parziale della formula a episodi, che la dice lunga sulla capacità di rappresentare la società e soprattutto la famiglia italiana: questa tipologia di narrazione ebbe il suo acme tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta quando ormai la commedia all'italiana aveva esaurito il suo potenziale di popolarità, quando già non riusciva a rispecchiare la condizione del Paese come, invece, aveva fatto negli anni precedenti.
Lo spunto per la narrazione nasce in casa di Alberto (Michele Placido), professore di liceo che, dopo aver discusso animatamente con il figlio ventenne la cui massima ambizione è partecipare a un reality show, il giorno seguente propone ai suoi studenti un compito in classe dal titolo "Genitori e figli: istruzioni per l'uso". Il tentativo, neanche tanto velato, è quello di carpire agli allievi i segreti per una serena convivenza tra genitori e figli. Sarà proprio Nina (Chiara Passarelli), una delle studentesse di Alberto, che, raccontando nel tema le proprie vicissitudini familiari, permetterà al professore di scoprire lati inediti del carattere del figlio.

La parte del film che ha per protagonista Nina e la sua famiglia – un lungo flashback incorniciato dall'incipit e dal finale dedicati alla famiglia di Alberto – è quella più corposa e che avrebbe potuto offrire maggiori spunti di riflessione: il divorzio dei genitori della ragazzina, le prime pulsioni sessuali, i contrasti con una madre volitiva (Luciana Littizzetto) e la difficile intesa con un padre nevrotico (Silvio Orlando), il tutto all'insegna di una comunicazione divenuta quasi impossibile a causa del linguaggio, dell'uso massiccio dei nuovi media, dell'orizzonte valoriale che caratterizza in maniera apparentemente opposta le due generazioni a confronto.
Purtroppo, però, il difetto più grande di Genitori e figli è quello di voler affidare allo sguardo ingenuo di Nina il punto di vista sullo stato dei rapporti tra genitori e figli ma di non essere capace di seguirlo fin in fondo, ovvero di aver costruito questo personaggio come un osservatore neutrale che passa attraverso le vicissitudini che lo circondano senza soffrire e senza maturare realmente. Personaggio decisamente più credibile delle protagoniste dei film di Federico Moccia, Nina non perde la testa per un ragazzo bello e impossibile, non ha grilli per la testa e non è neanche una santarellina: una ragazzina "normale" che non fatica a seguire la richiesta del suo professore: "provate a essere normali quando scrivete". Ma essere "normali" all'interno di una commedia di costume che spesso strizza l'occhio al bozzetto è l'ennesima soluzione di compromesso che, alla fine, non paga. Genitori e figli, infatti, sembra voler tenere insieme troppe istanze ed esigenze, troppo diverse tra loro: se, ad esempio, la grafica del titolo ammicca al pubblico giovanile con un "emoticon" in bella vista, il film, proprio a partire dal titolo, sembra rivolgersi più alla parte in causa bisognosa di istruzioni (i genitori) che a quella da decifrare (i figli).

Che il target sia proprio quello dei genitori (un elemento che, di per sé, "taglia le gambe" a un film votato, almeno sulla carta, a cercare un trait d'union tra le due componenti principali chiamate in causa dal titolo) lo dimostrano una serie di elementi che paiono calibrati su misura per un pubblico adulto, sensibile verso determinati temi e questioni: il razzismo di Ettore, il fratellino di Nina (francamente inspiegabile a fronte di due genitori tolleranti), la volgarità di una sequenza in cui le compagne di scuola istruiscono Nina per il suo primo rapporto con un ragazzo (del tutto superflua e funzionale solo per stupire gli adulti), la banalità della lite tra Alberto e il figlio incentrata sul desiderio del ragazzo di partecipare a un reality show (sequenza, tra l'altro, ricalcata sull'alterco tra madre e figlia in Ricordati di me di Muccino). Sono questi e altri elementi che sembrano ispirarsi direttamente a un'immaginario narrativo prettamente televisivo (il siparietto comico da fiction, il litigio da reality, la tirata moralista da soap opera eccetera), a ridurre notevolmente le ambizioni di Genitori e figli: un film che cerca la complicità bonaria del pubblico che ha blandito attraverso l'offerta di un'immagine premasticata della sua condizione, più che la provocazione intelligente, la battuta graffiante, la trovata spiazzante che invitino realmente a riflettere.

Che nel finale il personaggio più trasgressivo e allo stesso tempo coerente sia quello della nonna di Nina, giocatrice d'azzardo, alcolista, forse persino prostituta, la dice lunga sulla capacità di Genitori e figli di mettere al centro della scena il confronto tra generazioni: è proprio da questa figura di nonna indipendente ed eccentrica (interpretata con sapienza da Piera Degli Esposti) rispetto al nucleo familiare che vengono le migliori "istruzioni per l'uso" della vita, tanto quella dei genitori, quanto quella dei figli.

Fabrizio Colamartino

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