Famiglie trascuranti

Un po' di storia

La rappresentazione delle famiglie in difficoltà, di bambini e adolescenti che non riescono ad avere dai genitori il giusto sostegno per una crescita armoniosa, sia sul piano dei bisogni materiali, sia dei bisogni di socialità e apprendimento, ha una storia cinematografica antica e radicata già nelle prime produzioni di fine Ottocento e inizio Novecento (basterebbe pensare ai film di Griffith). Da sempre infatti il nucleo famigliare, considerato sia come microcosmo sociale, sia come luogo degli affetti e delle relazioni personali, è stato spazio cinematografico come pochi altri. Tale rappresentazione col tempo ha acquistato vigore e spessore soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, quando emerge in Occidente una maggiore consapevolezza dei diritti attribuibili alla famiglia (si veda la Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948) e iniziano a vedersi i prodromi di quelle trasformazioni nella sua "conformazione" che la allontaneranno dal modello patriarcale e allargato tipico delle società di stampo rurale e la avvicineranno ad una dimensione moderna, urbana, con nuclei più ristretti. Da un certo punto di vista, già in capolavori del dopoguerra come I bambini ci guardano  e Ladri di biciclette  di Vittorio De Sica (1943), Germania anno zero di Roberto Rossellini (1948), Bellissima di Luchino Visconti (1951) e più tardi in film come La finestra sul luna-park di Luigi Comencini (1957) e Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini (1962) si intravedono - pur collocati in tutti altri contesti sociali ed etici - gli stessi problemi che i bambini e i preadolescenti dovranno affrontare quando si troveranno inseriti in una famiglia "monogenitoriale" divisa e trascurante: solitudine, eccessive responsabilità, impossibilità di affidarsi a genitori immaturi o incapaci di valutare i loro talenti e le loro difficoltà, allontanamento dai percorsi di studio, ecc... L'immaginario della famiglia tradizionale riceve poi un'ulteriore scossa dal cinema "politico" e di "denuncia" degli anni Sessanta che vede in essa un microcosmo da abbattere o contestare perché luogo dove si esperiscono, in piccolo, le stesse logiche autoritarie della società "borghese". Sono pellicole come I pugni in tasca di Marco Bellocchio (1965) o Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani (1977) (ma anche il più "leggero" La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini, 1961) a tracciare il perimetro di una frattura generazionale per molti versi insanabile che, nel decennio successivo, non sembra risparmiare nemmeno quei giovani "rivoluzionari" nel frattempo diventati genitori come confermano le pellicole di Luigi Comencini (Voltati Eugenio, 1980) o di Gianni Amelio (Colpire al cuore, 1983), dove ad essere messi in discussione sono genitori troppo permissivi e perciò poco autorevoli. Sono cambiati i "metodi educativi", forse c'è un maggiore benessere economico, ma restano forti e accentuate le incompatibilità e l'assenza di dialogo tra genitori e figli. Venuta meno la patina ideologica del cinema degli anni Settanta e ritiratosi il riflusso escapista degli anni Ottanta, nel corso dei Novanta si assiste ad un rinnovato interesse per quegli strati della società che sono esclusi a prescidere dalla (o decidono di rigettare la) società dei consumi e del capitale, di cui si cercano di raccontare difficoltà e indigenze in maniera diciamo così "documentaria". Ciò che interessa ora - in un periodo storico dove ancora ha una sua rilevanza l'investimento nel welfare - sono famiglie le cui condizioni economiche precarie o la cui disfunzionalità producono gravi negatività per la crescita dei più piccoli e per le quali l'azione dei servizi sociali - quando c'è - si rivela inutile se non peggiorativa dei problemi in campo. Si vedano a tal proposito opere come Ladybird Ladybird di Ken Loach (1994), Il ladro di bambini di Gianni Amelio (1992), Ci sarà la neve a Natale? di Sandrine Veysset (1996), la trilogia di Antonio Capuano Vito e gli altri (1992), Pianese Nunzio, 14 ani a Maggio (1996) e il più recente La guerra di Mario (2005), Ricomincia da oggi di Bertrand Tavernier (1999) così come tutta la filmografia dei fratelli Dardenne tra cui spiccano La promessa  (1996), Rosetta (1999) o L'enfant (2005). Accanto ai film appena citati - che basano la loro efficacia sulla rappresentazione di condizioni al "limite" se non oltre - altrettanto interessanti paiono essere quelle pellicole che chiamano in causa non già famiglie che vivono ai margini della società, bensì nuclei più normali che attraversano una condizione di momentanea difficoltà economica, oppure nei quali la conflittualità tra i coniugi porta a una situazione di instabilità nei figli. Questa è una tendenza più recente forse figlia di quella crisi economica prima in nuce e poi sempre più evidente da due o tre anni a questa parte. Si vedano a proposito pellicole come Anche libero va bene di Kim Rossi Stuart (2006), Nelle tue mani di Peter Del Monte (2008), La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo (2010). I titoli appena citati sono accomunati da una implicita domanda di sostegno e accompagnamento verso le istituzioni che spesso non viene colta dalle autorità preposte proprio perché coinvolge famiglie apparentemente normali, situate in quella zona grigia che si pone a cavallo tra benessere e povertà e che sarebbe, al contrario, decisivo indagare per almeno due motivi: spesso l'attraversamento di tale soglia è difficilmente percepito (a volte dagli stessi diretti interessati) e dunque più difficile da arginare; nella società contemporanea, segnata malgrado tutto da una forte mobilità sociale, l'esclusione è un processo che non dipende più dalla semplice sussistenza materiale, ma che è legato a mille altre variabili, quali un continuo aggiornamento delle competenze professionali, una rete di rapporti sociali e familiari che si fa sempre più fragile. La filmografia Vista l'impossibilità di dare conto, in questa sede, delle centinaia di pellicole che raccontano i disagi che attraversano le famiglie, qui di seguito abbiamo deciso di raggruppare alcuni significativi film sul tema suddividendoli per temi o situazioni messe in scena. Si tratta di una suddivisione di comodo e oltremodo parziale perché spesso le storie per il grande schermo affrontano un ventaglio ampio di tematiche e argomenti non riconducibili a una singola etichetta. Tuttavia la tassonomia serve per un primo orientamento nei confronti dell'uso consapevole dei film all'interno del programma PIPPI. Si tenga conto che i film con l'asterisco sono conservati presso l'archivio filmografico del Centro Nazionale e che si è data priorità a quei titoli dove figurano come protagonisti bambini e pre-adolescenti. Infine si è cercato di racchiudere in un'unico sottoelenco - denominato non a caso PIPPI - quei film che mostrano come si può uscire o combattere gli stati di povertà, degrado o semplice difficoltà che colpiscono molte famiglie italiane e non solo. Superamenti di difficoltà che - forse non a caso - raramente sono attribuibili all'intervento di istituzioni e servizi.

Famiglie e figli nei capolavori del neorealismo e del cinema italiano degli anni Cinquanta

Distanze generazionali, famiglie patriarcali, fughe e ribellioni giovanili

Famiglie ai margini e ai limiti della sussistenza

Quando i genitori affidano troppe responsabilità ai figli

Genitori distratti, assenti o separati, figli soli

Disagi e zone grigie anche nelle famiglie "perbene"

P.I.P.P.I.: trasformare le difficoltà in possibilità di crescita e riscatto

  Storie di educatori e di comunità che assistono minori fuori famiglia

  • Pianese nunzio 14 anni a Maggio di Antonio Capuano, Italia, 1996*
  • Salvatore questa è la vita di Gian Paolo Cugno, Italia, 2006*
  • Stare al mondo di Andrea Dalpian, Italia, 2010
  • Io vivo qui di Carla Molino, Italia, 2010

  * I film contrassegnati con l’asterisco sono presenti all’interno del Catalogo, corredati di schede critiche e consultabili presso la  Biblioteca Innocenti Library – Alfredo Carlo Moro  e a disposizione per il prestito. (Crediti foto)