El bola

di Achero Mañas

(Spagna, 2000)

Sinossi

Pablo, detto “Il biglia” (perché porta sempre con sé un cuscinetto a sfera come porta fortuna), è un ragazzino di dodici/tredici anni che abita in un quartiere periferico di Madrid. Aiuta il padre in negozio dopo la scuola, trascorre i pomeriggi con i compagni di classe sul ciglio della ferrovia, giocando ad attraversare i binari poco prima dell’arrivo del treno. Quando in classe si presenta un nuovo ragazzo di nome Alfredo, l’amicizia tra i due nasce spontaneamente. Alfredo è diverso da tutti gli altri: si rifiuta di rischiare la vita alla ferrovia per stupide prove di coraggio, ha un padre, di nome José, che disegna tatuaggi per lavoro e un amico che gli passa biglietti gratuiti per il luna park. Questa nuova amicizia però è mal vista dal padre di Pablo che, dopo una gita in montagna trascorsa con Alfredo e la sua famiglia, vieta al figlio di uscire di casa al pomeriggio. Sorpreso dal repentino cambiamento di comportamento e umore, Alfredo inizia a sospettare che Pablo venga picchiato in casa (ha visto alcuni lividi sulla schiena) e lo racconta al padre che prova inutilmente a scoprire se i sospetti del figlio sono fondati oppure no. La realtà dei fatti è peggiore di qualsiasi pessimistica congettura e la famiglia di Alfredo se ne accorge quando Pablo, dopo l’ennesimo brutale pestaggio e la fuga di casa, si presenta con il volto e il corpo tumefatti alla loro porta di casa. José, dopo averlo portato al pronto soccorso e avergli promesso rifugio per la notte, si vede costretto controvoglia a chiamare i genitori del ragazzo per non essere accusato di rapimento. A quel punto Pablo, scottato dall’ennesima falsa promessa e risoluto a non tornare più a casa, riprende la fuga per le strade buie di Madrid. Quando José lo ritroverà in un parco, invece di riconsegnarlo al genitore, indifferente ai rischi che corre, lo prenderà con sé.

Introduzione al Film

Tutto Truffaut

Achero Mañas non cerca di nascondere quale è il regista e quali sono film che ha preso come punti di riferimento stilistico per il suo esordio cinematografico: El bola è un dichiarato omaggio al cinema di François Truffaut e, in modo particolare, a I 400 colpi e a Gli anni in tasca, le due pellicole del maestro francese che hanno saputo descrivere - con una sobrietà, una delicatezza ed un’incisività uniche - la cosiddetta “infanzia disagiata”, senza mai cadere nella retorica o in facili ricatti emotivi. Oltre ad alcune esplicite citazioni da I 400 colpi (la scena del luna park, il monologo di Pablo davanti all’assistente sociale con lo sguardo rivolto direttamente alla macchina da presa, gli spazi angusti della sua cameretta, la spontanea amicizia con Alfredo, simile a quella tra Antoine e Renée, l’arresto da parte della polizia) e da Gli anni in tasca (nel quale, tra i tanti personaggi c’è Julien, un ragazzo simile a Pablo, colpevole di qualche furtarello e soprattutto picchiato regolarmente dalla madre), il regista si propone di recuperare il senso della misura e dell’equilibrio di Truffaut indispensabile allorquando si intende affrontare un argomento così delicato, come le violenze famigliari, troppe volte descritto dalla televisione e dal cinema in maniera strumentale o pietistica. L’uso parco della musica extradiegetica (un solo motivo torna frequentemente nel corso del film per accentuare il senso di disagio dei personaggi, senza tuttavia cercare di condizionare i sentimenti dello spettatore), la scelta di non rappresentare visivamente la violenza (se non nell’ultima sequenza), ma di suggerirla tra le pieghe del racconto, uno stile narrativo anonimo che non ricorre quasi mai a soluzioni manieristiche, un finale che nega il ricorso ad un finale tragico, come invece alcuni indizi accuratamente seminati dal regista inducevano a prevedere (la morte per Aids dell’amico di José, la morte del fratello di Pablo che giustifica gli attacchi d’ira del padre e soprattutto le sfide alla ferrovia), l’utilizzo di simboli (come la biglia di Pablo schiacciata metaforicamente dal treno) o come i tatuaggi di José e Alfredo (che rimandano ai lividi sulla schiena di Pablo) sono tutti elementi che vanno in questa direzione. Detto questo, occorre segnalare la grande differenza in termini di approccio sociale e politico che sussiste tra i film di Truffaut e l’opera prima di Mañas. L’acre critica del regista francese alle istituzioni (la famiglia, la scuola, la pubblica sicurezza, i servizi sociali) è quasi del tutto assente, sostituita dall’invito a superare le apparenze e a prendersi cura dei più piccoli, indipendentemente dai rischi che si corrono. I poliziotti sono gentili con i ragazzi, gli assistenti sociali e i professori non compaiono mai, l’accusa alle violenze domestiche è stemperata dalla presenza di una famiglia, quella di José, che a prima vista sembra poco affidabile (il genitore disegna tatuaggi per lavoro, ha molti amici malati di Aids), ma che ad uno sguardo attento si rivela portatrice di valori positivi come la tolleranza, la responsabilità, l’unione, la condivisione delle esperienze. Lo conferma una carrellata che, con tono un po’ troppo didascalico e un taglio da pubblicità, riprende la famiglia di Alfredo mentre guarda incantata il panorama delle montagne spagnole e che termina sul primo piano sorridente di Pablo, finalmente parte di una vera famiglia.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Sognare un’altra famiglia

La raffigurazione bidimensionale di José e dei suoi amici ha, in realtà, un motivo diegetico facilmente individuabile: i famigliari di Alfredo devono apparire agli occhi di Pablo (e dello spettatore) come un modello da invidiare e cui ispirarsi per trovare la forza di ribellarsi al padre e, in seguito, denunciarlo per maltrattamenti. José è il doppio speculare di Mariano, il papà di Pablo. Allo stesso modo in cui quest’ultimo è duro, violento, tirannico, brusco e incomprensibilmente cattivo (non si capisce perché vieti al figlio di frequentare Alfredo e la sua famiglia), giustificato solo in parte nei suoi comportamenti dalla morte di un figlio, specularmente José si rivela giusto, benevolo, mai soffocante, divertente, responsabile: è protettivo quando vieta al figlio di vedere il padrino malato terminale di Aids, è liberale quando dichiara di non voler controllare le azioni del figlio, nonostante sia appena stato fermato dalla polizia, è responsabile quando si prende carico delle sorti di Pablo e, rischiando la denuncia, lo porta a casa, è divertente durante la gita in montagna, è giusto (almeno nelle intenzioni) quando dà uno schiaffo ad Alfredo che si ostina a raccontargli bugie e non lo aiuta nella ricerca del suo amico. Ciò che cerca Pablo è un padre cui ispirarsi come modello ed un fratello (prematuramente morto e ora ritrovato in Alfredo) con cui divertirsi e condividere paure, sentimenti, angosce, felicità. Significativa, a riguardo, la professione di José: al posto dei lividi e delle tumefazioni, il padre di Alfredo tratteggia sulla pelle delle persone piccole opere d’arte. Il tatuaggio che Josè fa al figlio sotto gli occhi ammirati di Pablo è una sorta di attestazione della propria silenziosa ma protettiva presenza fino alla fine della sua vita, tutt’altra cosa rispetto ai “tatuaggi” di Mariano che producono solo dolore, umiliazione, sofferenza. La vena pedagogica e didascalica del film si stempera anche grazie alla puntuale scelta degli attori e, in particolare, di Juan Josè Ballesta per il ruolo di Pablo. Il giovane interprete ha una vasta gamma di espressioni che rendono la sua performance credibile: passa da un sorriso solare e contagioso - che esplode solo in rarissimi momenti come al “luna park” sulle montagne russe o in macchina con Alfredo - ad uno sguardo muto e pieno di rabbia, da un volto impaurito per le percosse del padre ad occhiate compiaciute rivolte all’amico Alfredo. Anche nella cura di questi non secondari elementi si può scoprire che un buon cinema didattico (e non dottrinale) è possibile. Senza toccare le vette artistiche di Truffaut, ma anche senza cadere in facili pietismi.

Riferimeti ad altre pellicole e spunti didattici

Sono molti i film oltre a El Bola che narrano storie di maltrattamenti. Tra quelli che cercano di farlo in maniera più leggera, ma non per questo meno approfondita o realistica, segnaliamo East is east di Damien O’Donnell e i già citati film di Truffaut. Altri titoli che mettono in scena le violenze domestiche sottolineandone l’effetto devastante per la psiche dei figli sono Ladybird Ladybird di Ken Loach e Will Hunting - Genio ribelle di Gus Van Sant.

Marco Dalla Gassa  

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