Sinossi
Matthew è un ragazzo statunitense appassionato di cinema che si trova a Parigi per un periodo di studio. Frequenta la Cinémathèque dove assiste alle proiezioni dei capolavori del cinema insieme ad altri giovani appassionati. Tra tutti è colpito da due suoi coetanei, i fratelli Isabelle e Théo, che ben presto lo invitano a casa loro, incuriositi dalla sua timidezza. È il 1968, Parigi è scossa dalle manifestazioni studentesche e il padre di Isabelle e Théo, un intellettuale, si dichiara contrario alle dimostrazioni: Matthew è disorientato dal nuovo ambiente e il suo sconcerto aumenta quando, durante la notte, scopre che i due fratelli dormono nello stesso letto. Quando i genitori di Isabelle e Théo partono e Matthew si trasferisce da loro, i tre ragazzi danno vita ad una sfida a suon di citazioni e indovinelli sul cinema, senza esclusione di colpi: le penitenze sono tutte a sfondo sessuale e Matthew, per natura molto timido, è sempre più imbarazzato. Quando è lui a sbagliare una risposta, pur affascinato da Isabelle, si rifiuta di pagare pegno facendo l’amore con lei sotto lo sguardo del fratello: alla fine dovrà cedere e scoprirà che anche la ragazza è attratta di lui. Passano i giorni e Matthew tenta di instaurare con Isabelle un rapporto vero invitandola ad uscire di casa, da sola con lui, senza Théo: la serata è gradevole, ma alla fine tornano nell’appartamento. Oramai la relazione fra i tre ragazzi è sempre più stretta: passano il tempo dormendo abbracciati e, quando i genitori tornati a casa li trovano così, lasciano un assegno e se ne vanno senza svegliarli. Quando Isabelle, trovando l’assegno, intuisce di essere stata vista dal padre e dalla madre in quello stato, apre il gas in un tentativo di suicidio: un sasso lanciato dai manifestanti che invadono le strade rompe provvidenzialmente i vetri della stanza. I tre si uniscono alla folla ma, mentre Théo e Isabelle si scagliano violentemente contro la polizia brandendo delle molotov, Matthew, dopo aver tentato di dissuaderli, li saluta e si allontana risalendo la “corrente” del corteo.
Introduzione al Film
Il cinema e la politica di un autore Con The Dreamers – I sognatori Bernardo Bertolucci rende omaggio a quelli che probabilmente sono stati due dei fattori determinanti per le proprie scelte e per quelle di molti tra coloro che, come lui, erano giovani a metà degli anni Sessanta: il cinema, concepito come lente (magari deformante) attraverso cui meglio interpretare la realtà per costruirsi un proprio immaginario intimo e l’impegno politico vissuto, soprattutto negli anni attorno al Sessantotto, con un’intensità che non ha conosciuto eguali nel dopoguerra e poi sfociato precocemente in una stagione di violenza e terrore che, nel finale del film, già aleggia minacciosa. Un film dedicato al cinema, inteso come passione nella sua forma più ingenua ma anche più autentica, quella tipica dell’adolescenza quando, persino la visione di un film (o l’ascolto di una canzone, o la lettura di un romanzo), può ancora “cambiare la vita”, forse più di una scelta di campo in politica, di certo più importante da un punto di vista sociale, in quanto riflesso razionale dell’immagine che l’individuo vuole dare di sé di fronte agli altri e alla società, ma forse anche meno profonda e sincera. I due temi – l’arte e la politica, il privato e il pubblico cui si affianca quello più posticcio e abusato del sesso – del resto, sono intrecciati strettamente nel film, si contendono il campo d’azione e la coscienza (politica, di classe) dei tre giovani protagonisti secondo un andamento che, ad una prima parte ispirata a vicende realmente accadute (le manifestazioni contro il licenziamento del direttore delle Cinematheque Français, Henry Langlois, documentate attraverso un’abile commistione tra materiale di repertorio e sequenze di fiction), vede sostituirsi il lunghissimo, claustrofobico segmento centrale, quasi interamente ambientato nella grande casa parigina dei due fratelli, per terminare con la sequenza della grande manifestazione “dans la rue” (“giù in strada”, proprio come gridano i contestatori in corteo). In tre movimenti si articola anche la vicenda che accomuna Matthew, Théo e Isabelle che si incontrano e conoscono proprio davanti agli schermi della Cinématheque, vivono la loro breve stagione di amicizia e d’amore all’interno dell’appartamento e fatalmente si separano quando la realtà delle barricate e delle molotov irrompe nella torre d’avorio in cui si erano momentaneamente rifugiati. Sono tre momenti che sottolineano i passaggi attraversati anche dai movimenti giovanili che connotarono il periodo e in cui, dalle prime fasi di aggregazione spontanea, si passò a un’elaborazione (anche e soprattutto nel privato) delle ideologie per poi, successivamente, riversare le esperienze fatte all’interno della lotta più o meno clandestina e/o violenta. Su questa struttura tripartita, tanto “classica” da poter apparire banale, il regista trova lo spazio per imbastire una serie di omaggi al cinema della propria gioventù, in particolare quello amato (ma anche realizzato) dai maestri della Nouvelle vague francese, dei quali il giovane Bertolucci fu allo stesso tempo collega (il suo esordio dietro la macchina da presa è del 1962) e ammiratore. Un omaggio che, lungi dall’essere un elemento accessorio e decorativo va a informare profondamente il rapporto tra i francesi Isabelle e Théo da un lato e l’americano Matthew dall’altro, animati da visioni del cinema e delle cose spesso opposta. Visioni opposte che ci ricordano come proprio Bertolucci sia stato uno dei pochissimi autori europei a tentare attraverso il proprio cinema, di conciliare cultura europea e statunitense, una poetica personalissima che si giova di riferimenti alla letteratura, all’opera lirica, alla pittura e al cinema dei più grandi autori europei e, al tempo stesso, sa far propri i modi di produzione statunitensi meglio di chiunque altro.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
L’amico americano Il rapporto tra cultura europea e statunitense che, per Bertolucci così come per tutti gli artisti e intellettuali formatisi nel corso degli anni Sessanta ha sempre rappresentato uno dei punti nodali del proprio interrogarsi, in The Dreamers emerge in forma simbolica dal rapporto tra i due fratelli e Matthew, al cui punto di vista, del resto, il regista sembra voler affidare il racconto (e, di conseguenza, il proprio modo di vedere le cose). Se è vero che in un primo momento il ragazzo americano può apparire come colui che piomba in un mondo che sembra in grado di corromperne l’originaria ingenuità, è altrettanto giusto evidenziare come proprio lui abbia la funzione di scardinare (o almeno di tentare di farlo) la relazione morbosa e regressiva nella quale i due fratelli tentano di coinvolgerlo e della quale, a loro volta sono prigionieri. Emergono così non solo le contraddizioni prodotte dal rapporto tra due culture diverse ma da sempre interdipendenti, ma anche e soprattutto il difficile percorso di individuazione e differenziazione che avviene in ogni soggetto al passaggio dall’adolescenza all’età adulta. The Dreamers allude proprio a questa difficile ricerca così come fanno quasi tutti i film di Bertolucci, da Strategia del ragno a La luna a L’ultimo imperatore, pellicole pur diversissime ma tutte basate sulla ricerca incerta e dolorosa di un’identità spesso schiacciata da eredità (familiari e/o culturali) troppo pesanti. Una ricerca identitaria che emerge fin dalle battute iniziali del film: il viaggio di formazione di Matthew, giovane statunitense che, terminati gli studi superiori, si reca in Europa per avere un’educazione sentimentale che lo renda più smaliziato e consapevole nei confronti della vita, l’identificazione di Isabelle e Théo con i personaggi dei capolavori del cinema di cui si beano nella sala della Cinémathèque, la presenza continua di specchi e superfici riflettenti d’altro tipo nell’appartamento dei loro genitori (indizi di un confronto incessante con la propria immagine), fino al rapporto tra i due gemelli che, rispecchiandosi l’uno nell’altro non sono in grado di assumere una propria identità distinta. Il cinema diviene la superficie di proiezione dei desideri dei protagonisti e, allo stesso tempo, lo schermo protettivo contro una realtà esterna che obbliga proprio chi è più giovane a un coinvolgimento diretto nell’azione politica. Lo schermo cinematografico è l’unico punto di riferimento etico, oltre che estetico, al quale rifarsi di fronte ad una generazione di padri sordi rispetto alle istanze dei giovani o incapaci di assumere una posizione chiara (si vedano i genitori di Isabelle e Théo, raffigurati in maniera quasi caricaturale, in particolare il padre, un intellettuale di sinistra incapace di assumere una posizione chiara di fronte all’attualità). La lotta politica, che fa irruzione nella sua forma più concreta e soprattutto cruenta nel finale del film, rappresenta la fine di quel piacere autosufficiente simbolizzato dalle continue citazioni cinematografiche, dall’impossibilità di uscire da un rapporto destinato a restare confinato entro i limiti dell’immaginario, incapace di evolversi in qualcosa di diverso. Quando Matthew propone a Isabelle di vivere il loro flirt normalmente, lontano dagli occhi indiscreti del fratello, la invita ad andare al cinema, ma sedendosi nelle ultime file di una sala come fanno le coppiette lì si recano per amoreggiare, incuranti del film proiettato: nella sequenza di apertura, al contrario, il gruppo di cinefili capeggiato da Théo e Isabelle veniva descritto come quello che si sedeva sempre nelle prime file, quasi a voler catturare le immagini nella loro forma più pura ed assoluta. L’ultima sequenza, che vede Matthew abbandonare il corteo e lasciare i due gemelli alla scelta della lotta armata sembra confermare questa sua capacità di guardare la realtà da una prospettiva più distaccata, ovvero con uno sguardo diverso, forse meno appassionato di quello di Isabelle e Théo (che passano troppo velocemente dall’incapacità di uscire dal proprio nido incestuoso a un coinvolgimento tanto rischioso quanto dubbio nella lotta politica) ma certamente capace di cogliere al meglio ciò che la realtà riesce ad offrire, proprio come quando, a cena con i genitori dei due fratelli riesce a sorprendere il padre-intellettuale con le proprie riflessioni, insolitamente mature e profonde, sulla possibilità di cogliere in tutte le cose un’armonia segreta.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
Al di là della patina elegante che, come sempre, Bertolucci riesce a imporre ad ogni suo film (almeno a quelli di recente produzione) e dell’aura di “scandalo” dalla quale è stato circonfuso (più da chi era interessato ad attirare anche il grande pubblico verso un film sostanzialmente per cinefili che non dalla critica), The Dreamers si offre alla visione dello spettatore, specie di quello più giovane, come riflessione su un periodo storico molto recente e, forse proprio per questo, più ignorato di tanti altri. Come altri film che hanno rappresentato il Sessantotto o altri periodi in cui l’impegno è riuscito a imporsi all’attenzione dei giovani (ad esempio gli anni Settanta in Radiofreccia di Luciano Ligabue o, con molta meno coerenza, in Tutto l’amore che c’è di Sergio Rubini, due film nei quali è la musica a fungere da “detonatore” politico), The Dreamers offre una visione di quelle che furono le premesse, una sorta di “brodo di coltura”, che permisero alla cultura alternativa degli anni Sessanta e Settanta di svilupparsi concretamente in quanto opposta a quella classica. Proponendo una visione del cinema come alternativa culturale e occasione di formazione della personalità diversa dai mezzi solitamente ammessi dai canali ufficiali (l’arte, fruita anticonformisticamente dai tre ragazzi per mezzo di una corsa a perdifiato per i saloni del Louvre; la letteratura, messa in ridicolo nella figura del padre di Isabelle e Théo), The Dreamers può essere un utile strumento per introdurre gli studenti a una visione del cinema in quanto macchina capace di produrre emozioni e stimolare l’immaginazione al pari di qualsiasi altra disciplina.