Sentenze della Corte di Cassazione sul diritto di visita del genitore non affidatario Con le sentenze n. 283 e n. 4946 del 2009 la Corte di cassazione affronta due diversi profili concernenti rispettivamente le modalità d’esplicazione (la n. 283) e la portata (la n. 4946) del cosiddetto diritto di visita del genitore non affidatario ai figli minorenni affidati all’altro genitore.
Con la prima delle due sentenze (Corte di cassazione, Sezione I civile, sentenza 9 gennaio 2009, n. 283) la Suprema corte conferma la decisione della Corte d’appello di Napoli con la quale era stato cancellato il divieto al padre di esercitare il diritto di visita ai figli insieme alla sua nuova compagna, divieto precedentemente stabilito dal giudice di primo grado. Infatti i giudici della Cassazione – pur confermando che la separazione era effettivamente addebitabile al marito proprio perché lo stesso aveva intrapreso una relazione extraconiugale con la sua attuale compagna in costanza di matrimonio – ritengono, alla luce del fatto che la relazione si protrae ormai da anni e quindi si presenta con caratteri di stabilità, che la conoscenza tra i figli dell’uomo e la sua nuova compagna non possa avere effetti negativi sullo sviluppo psicofisico dei figli. Anzi, sostengono che vietare ogni contatto tra la nuova compagna dell’uomo e i suoi figli – come richiede la madre ricorrente – impedirebbe solo l’instaurazione di un rapporto che, in ultima analisi, potrebbe contribuire a creare un clima di maggiore serenità per tutti. Con l’altra sentenza (Corte di cassazione, Sezione VI penale, sentenza 4 febbraio 2009, n. 4946), invece, la Corte di cassazione affronta il delicato problema del rifiuto della figlia adolescente di trascorrere con il padre non affidatario un periodo di tempo durante le vacanze estive come stabilito dal giudice in sede di separazione dei genitori dell’adolescente. Il padre, addolorato per il rifiuto della figlia di trascorrere parte delle vacanze con lui e convinto che l’atteggiamento della minore fosse imputabile all’ex moglie, aveva proposto querela contro quest’ultima per il reato di cui all’art. 388 cp: «Chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna, o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi l’Autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire la sentenza, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni. La stessa pena si applica a chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito».Tuttavia il giudice per le indagini preliminari, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, aveva disposto l’archiviazione del procedimento in quanto, nonostante fossero state disposte indagini suppletive su richiesta del querelante che aveva fatto opposizione alla richiesta di archiviazione, non erano emersi elementi in grado di offrire fondamento alla querela presentata dal ricorrente. Al contrario, dal supplemento d’indagini era stato confermato che la madre non teneva affatto una condotta ostruzionistica nei riguardi dell’ex coniuge e che, anzi, incoraggiava la figlia a recarsi dall’altro genitore ma che quest’ultima si rifiutava mostrando nei confronti del padre degli atteggiamenti di forte insofferenza. La Cassazione, a fronte del ricorso presentato dal padre, non ha censurato la decisone del giudice che ha disposto l’archiviazione della querela perché, evidentemente, non possono essere fatti ricadere sulla madre affidataria i conflitti tra padre e figli adolescenti e, quindi, la stessa non può essere ritenuta responsabile se il figlio si rifiuta di rispettare gli incontri previsti con l’altro genitore in base a una propria libera scelta. Inoltre la Suprema corte ha precisato che bene ha fatto il giudice competente a rifiutare una perizia, richiesta dal ricorrente, volta a valutare l’attendibilità e la genuinità delle dichiarazioni della minore. Infatti, osserva la sentenza, l’attendibilità sia soggettiva sia oggettiva delle dichiarazioni rese dalla figlia adolescente «è una questione che deve essere valutata dal giudice, senza che possano al riguardo essere evocati ausili di natura psicologica da affidare ad esperti della materia, estranei al campo delimitato dall’art. 220 c.p.p.» («Art. 220 del codice di procedura penale - La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Salvo quanto previsto ai fini dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche»). Tessa Onida
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