Dietro la maschera

06/04/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Adolescenza Emozioni e sentimenti Titoli Rassegne filmografiche

regia di Peter Bogdanovich

(USA, 1985)

Sinossi

Rocky Dennis ha sedici anni ed è affetto dalla leontiasi, una rarissima malattia che deforma le ossa del cranio sfigurando orribilmente il volto. Malgrado ciò Rocky ha una vita relativamente normale: anche grazie all’aiuto di sua madre Rusty che, pur conducendo una vita scapestrata – si droga, non ha un compagno fisso, frequenta una banda di motociclisti – fa di tutto per fargli dimenticare il suo handicap, il ragazzo riesce a farsi accettare dai compagni, grazie alla sua intelligenza e disponibilità, e ad essere uno tra i migliori della sua scuola. Più difficile è il rapporto con le ragazze, dalle quali, ovviamente, viene respinto. Sua madre tenta di risolvere il problema portandogli a casa una prostituta, ma Rocky vuole il vero amore e sembra trovarlo quando, offertosi come accompagnatore in una colonia estiva per non vedenti, conosce Diana, una ragazza cieca che si innamora di lui. L’idillio, però, dura poco: i genitori di Diana sono inorriditi dall’aspetto di Rocky e impediscono ai due ragazzi di vedersi. Quando il giovane vede sfumare anche un viaggio in Europa a lungo progettato con un amico, cade in uno stato di profonda depressione: se ne andrà nel sonno, serenamente, e la sua morte rappresenterà una sorta di monito per sua madre.

Presentazione critica

Chi c’è dietro la ‘maschera’ che la mano della natura, guidata dal fato crudele – la leontiasi è una malattia che colpisce un individuo ogni venti milioni – ha appiccicato al volto di Rocky Dennis? Un bravo ragazzo, per di più simpatico, che ha imparato a convivere oltre che con la propria deformità anche con la crudeltà del prossimo e che, tuttavia, è anche consapevole che esiste tanta brava gente pronta ad andare oltre le apparenze, a dargli una mano e a essergli amica. Così, il volto orribilmente sfigurato di Rocky potrebbe essere quello reale della società – quella americana, in particolare – che vede nella bellezza, nell’efficienza e nella prestanza fisica i propri valori di riferimento, dai quali non riesce a prescindere e che discrimina chi non vuole o non può corrispondere a quei canoni di perfezione. Dietro la maschera, tuttavia, non è un film di denuncia, non si prefigge l’obiettivo di ‘smascherare’ l’ipocrisia della società che emargina i diversi o, per lo meno, non ci riesce. Ce lo conferma il fatto che, nel film, il bilancio tra buoni e cattivi è decisamente a favore dei primi: a parte pochissimi casi isolati, quasi tutti coloro che Rocky incontra sul suo cammino riescono ad andare oltre le apparenze e a rendersi conto che l’aspetto esteriore non è poi così importante. I suoi compagni di classe imparano presto ad apprezzarne la capacità di narrare con fantasia e semplicità anche storie molto complesse come, ad esempio, la guerra di Troia; gli insegnanti ammirano la costanza nello studio del loro allievo deforme; il preside lo prende subito in simpatia – nonostante Rusty, sua madre, faccia di tutto perché avvenga il contrario – e gli offre un lavoro come assistente in un campeggio estivo per ciechi. La prima reazione di Rocky a questa proposta è, naturalmente, polemica. Subito dopo, però, si rende conto della possibilità che gli viene offerta, anche perché, durante una visita al luna-park, si è accorto che uno specchio deformante – quelli che, di solito, fanno apparire sfigurati i volti degli altri – può restituirgli per qualche attimo un’immagine normale di sé. Come non approfittare, dunque, di un’offerta che gli dia finalmente la possibilità di confrontarsi con persone che non hanno bisogno dei soliti schemi per giudicare coloro che hanno di fronte? Del resto, animali, non vedenti ed emarginati sono gli unici con cui Rocky riesce ad avere un rapporto sincero, immediato e che non debba passare attraverso una verifica di ciò che si trova al di là delle apparenze, dietro la maschera: la banda di motociclisti ribelli cui si accompagna sua madre Rusty è una sorta di famiglia allargata che protegge Rocky dagli attacchi del mondo esterno ma che, al tempo stesso, sembra impedirne una già difficile integrazione tra la gente comune. La banda è la famiglia che gli è toccata in sorte, probabilmente è l’unica che lo possa accettare veramente, ma è anche il simbolo di un’America che rifiuta, forse a ragione, di integrarsi nel sistema di valori comuni alla maggioranza. Il sogno del protagonista, invece, è quello più comune tra gli adolescenti: essere normale, nel suo caso particolare avere una faccia umana e non più leonina, e allo stesso tempo sentirsi speciale, distinguersi dal gruppo facendone parte, essere rispettato nonostante la propria diversità e, anzi, forse proprio grazie a essa. Rocky tenta in più di un’occasione di far capire alla madre quanto sia sbagliata la vita tutta ‘sesso, droga, rock and roll’ che lei conduce prendendo a pretesto i problemi che suo figlio le dà, e forse ci riesce anche. Il suo tentativo di integrazione, però, si scontra con il conformismo della famiglia di Diana, la ragazza cieca che si è innamorata di lui, una famiglia borghese che non sa guardare al di là delle apparenze: in questa sua parte, il film slitta dai toni di un confuso sentimentalismo contaminato da elementi di ribellione a quelli del vero e proprio melodramma, concludendosi con la morte del protagonista che, in definitiva, appare più un atto liberatorio che un gesto estremo di rivolta. Peter Bogdanovich è stato spesso definito come uno dei massimi esponenti del cinema della nostalgia, un cinema dai toni crepuscolari che guarda al passato dell’America rievocandone i miti e rimpiangendoli. In Dietro la maschera l’elemento nostalgico è espresso pienamente nella banda di bikers che, per tutta la durata della storia, fanno da coro al dramma di Rocky – diverso tra i diversi, ribelle per natura e non per scelta, simbolo estremo della loro rivolta contro la società – ma che sembrano anche rifare il verso, facendoceli rimpiangere, ai due motociclisti protagonisti di Easy Rider, il film di Dennis Hopper del 1969.

Fabrizio Colamartino  

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