Diario per i miei figli

di Márta Mészáros

(Ungheria, 1994)

Sinossi

Rientrata in Ungheria insieme ad alcuni militanti comunisti scappati in Unione Sovietica per sfuggire alle persecuzioni, Juli, che ha sedici anni, viene affidata alle cure di Magda, sua zia, una donna intransigente e dura, funzionario del partito comunista, disposta ad accogliere quella ragazza come una figlia. Con la madre morta e il padre arrestato e scomparso per ragioni oscure (come occorso ad altre persone ritenute oppositrici del regime), per Juli non rimane che accettare questa specie di adozione. Tuttavia la soluzione sta stretta a Juli, che ha un animo ribelle e libero e che non accetta i rimproveri di chi non considera come un genitore. Spesso marina la scuola per andare al cinema, passa le giornate fuori casa, assume atteggiamenti altezzosi quando Magda invita amici a casa. L’unica persona con cui riesce a legare, oltre al nonno giunto anche lui dalla Russia, è Janos, amico di famiglia, anch’egli con idee più liberali e meno rigide di quelle di ‘regime’. Tra una festa a casa di un amico ricco, le fughe al cinema, le chiacchierate con un compagno di classe, i momenti di sconforto ricordando – attraverso flash back – l’infanzia passata con la madre e il padre, trascorrono le giornate di Juli senza che la situazione migliori. Con l’arrivo della maggiore età, decisa ad andare a vivere da sola, Juli prima scappa in treno e poi, dopo essere stata riacciuffata, si stabilisce dalla famiglia di Janos, composta dall’uomo e il figlio Andreas, costretto per una malattia sulla sedia a rotelle. Ma anche questa volta a rovinare la sintonia famigliare si intromette la polizia militare che arresta Janos, perché lontano dalla dottrina comunista. Per Juli si prevede una vita piena di sofferenze e senza nessuna figura genitoriale capace di aiutarla.

Presentazione critica

Primo film di una trilogia che raccoglie e trasferisce in racconto cinematografico le esperienze di vita di Marta Meszaros, Diario per i miei figli, forse con maggiore incisività rispetto a Diario per i miei amori (1987) e a Diario per mio padre e mia madre (1990), è prima di tutto una pellicola che descrive un periodo storico e una società, quella del comunismo e delle prime messe in discussione del sistema, attraverso gli occhi di una ragazzina, occhi che ben rappresentano quelli di una collettività incapace di comprendere (e perciò di emanciparsi) un regime contraddittorio, dove gli slanci egualitari e sociali si alternavano a spinte verso l’imborghesimento (quello cui assistiamo nelle domeniche passate nei salotti di Magda) fino all’individualismo più sfrenato (la carriera di Magda) e all’eliminazione del diverso e dell’oppositore (nel caso del padre di Juli prima e di Janos poi). Il merito della Meszaros è dunque quello di essere riuscita a raccontare, attraverso la sua storia, il sentimento di spaesamento ed instabilità di un popolo che, come la piccola Juli, ha assistito, spesso impotente, ad avvenimenti più grandi di lui, credendo di dare un indirizzo al proprio destino, convinzione che si è rivelata spesso una mera illusione. Juli quindi può essere riconosciuta come la personificazione della coscienza collettiva: senza radici (il comunismo ha, di fatto, azzerato spesso la storia precedente dei popoli), con un autentico spirito di libertà e desiderio di autonomia, difficilmente ‘educabile’ da qualsiasi pedagogia di regime (Juli è più spesso al cinema che a scuola), anticonformista e sfuggevole per inclinazione d’animo, senza possibilità di cambiare la propria condizione di orfana (il secondo padre, Janos, è catturato come il primo) e di povera. La descrizione sociale dell’Ungheria degli anni ’50, poco prima dei fatti del ’56, è ancora più convincente nei personaggi che ruotano intorno a Juli. A Magda, donna irreprensibile, autoritaria donna-soldato, si contrappone la fragilità di ogni figura maschile: il nonno di Juli, malato, incapace di prendere una decisione o di contrapporsi alle scelte educative e professionali della figlia; il compagno di classe di Juli, bravo solo ad ascoltare i racconti ragazza; Andreas, figlio di Janos, costretto (metaforicamente) su una sedia a rotelle; i signorotti che frequentano la casa di Magda, buoni solo a dare consigli di educazione spiccia (più volte ammoniscono Magda su quali castighi infliggere alla figlia adottiva) senza pensare alle conseguenze dei loro suggerimenti, senza mai conoscere la situazione di quella famiglia. Le uniche figure maschili degne di spessore psicologico e di coraggio nel confrontarsi con il potere sono quelle che l’adolescente identifica come genitori, reali o putativi che siano. Ma sia il padre di Juli che Janos sono ben presto incarcerati e, ancor peggio, fatti sparire davanti agli occhi increduli della ragazza. La scomparsa del padre (in una delle tante purghe staliniane), che la ragazza crede essere frutto di qualche disegno di Magda – in quanto rappresentante del potere e per di più reticente nell’informare la nipote di quel che sa su suo padre – simboleggia l’annullamento dell’identità, del ricordo, delle radici di Juli. Il fatto autobiografico (anche il padre della regista, scultore di professione come quello di Juli, ha subito lo stesso destino) si trasforma così in elemento valido per tutta la collettività. La sconfitta delle figure maschili del film, la loro debilitazione chi per un motivo chi per un altro, segnano lo scacco di fronte ad un modello che non si vuole o non si può seguire. E’ il mito di Stalin, del capo assoluto, a scricchiolare nella quotidiana attuazione della rivoluzione comunista nella società magiara. Non a caso è Magda, cioè una donna, la sola persona che si avvicina all’archetipo promosso dal dittatore. Gli uomini desistono dall’imitare il modello e quando cercano di propugnarne uno diverso vengono eliminati nel nome dell’adesione ai principi di regime. Ma la fermezza, il coraggio, l’applicazione di Magda sanciscono, di fatto, anche l’impossibilità di essere madre, di comprendere l’aspirante figlia, di rispondere alle domande, palesate o no, che ogni adolescente rivolge al proprio genitore. Il ricorso al sogno – Juli spesso ricorda, con un’aura di mito, il padre al lavoro o corre, appena può, al cinematografo, altra fonte d’illusione – rappresenta così l’unica via di espiazione, realizzazione, serenità in mano alla ragazza (e ad un popolo intero). Anche perché nella vita vera non sempre i propositi si realizzano: la fuga dell’adolescente viene presto smascherata, la vita nella famiglia di Janos e Andreas è tutta all’opposto di quel che si immaginava. Appena trasferitasi nella casa dell’uomo, la polizia lo cattura. Al tentativo di autonomia si risponde con la soppressione della speranza di emancipazione (Janos rappresentava questo per Juli) o, traslando dal destino individuale a quello collettivo, si risponde con l’ingresso dei carri armati russi in città e con la soppressione di qualsiasi tentativo di indipendenza popolare. Marco Dalla Gassa  

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