di Susanna Nicchiarelli
Esce nelle sale, dopo il passaggio al 66° festival di Venezia nella sezione Controcampo Italiano, il film Cosmonauta dell’esordiente regista italiana Susanna Nicchiarelli, il tentativo più scanzonato e forse anche originale di fare i conti con il passato della sinistra italiana tra quelli, più o meno riusciti, di alcuni tra i maggiori registi italiani.
Almeno due gli altri titoli da citare a tal proposito: Il grande sogno di Michele Placido che narra le vicende autobiografiche del regista nel corso del Sessantotto e Le ombre rosse di Citto Maselli – uno dei decani del cinema italiano – che affronta i temi dell’impegno politico, del potere corruttore del denaro e della caduta degli ideali nella sinistra italiana dell’ultimo decennio.
Dal confronto con questi due film sarebbe stato legittimo supporre che Cosmonauta ne uscisse con le ossa rotte: un piccolo film prodotto dalla Fandango con un budget ridotto, concentrato sulle vicende di un gruppo di adolescenti che, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, cercano di animare una sezione del Partito comunista della periferia romana, cosa avrebbe potuto aggiungere alle molteplici letture che il cinema nostrano ha dato e continua a dare della travagliata storia della sinistra italiana?
Il film della Nicchiarelli, tuttavia, ha la modestia di affrontare questo tema indirettamente, attraverso la cronaca quotidiana, minuta delle vicissitudini della protagonista, Luciana, adolescente inquieta e ribelle, orfana di padre (anch’egli attivista comunista), tirata su dalla madre, una donna debole e prigioniera del proprio ruolo di gregaria nei confronti del secondo marito, un ingegnere piccolo-borghese e qualunquista.
Lo sguardo gettato dalla Nicchiarelli sui personaggi si arricchisce di una nota ironica decisamente inedita che emerge dal confronto tra il microcosmo rappresentato e il macrocosmo, ovvero il cosmo tout-court: a scandire le tappe della crescita di Luciana e le fasi politiche attraversate dalla sinistra italiana dell’epoca sono le imprese spaziali compiute proprio nel corso degli anni Sessanta dai cosmonauti sovietici, impegnati in una vera e propria competizione con gli astronauti statunitensi per il dominio dello spazio.
L’interesse di Luciana e di suo fratello Arturo per i lanci spaziali possono essere letti come una metafora della passione politica che animava le giovani generazioni solo qualche decennio fa: una passione alimentata da utopie, speranze, sogni che trovavano un substrato fertile anche nella corsa allo spazio, sorta di sublimazione di quella corsa agli armamenti che avrebbe caratterizzato i successivi due decenni smorzando tante illusioni proprio nelle generazioni più giovani.
Sostenuto da un cast di giovani attori tra i quali spicca per la sua grinta l’interprete della protagonista Miriana Raschillà, Cosmonauta propone una visione certamente ingenua del panorama politico italiano nel secondo dopoguerra ma riesce – solo in parte, è vero – a restituire nei toni altalenanti della commedia e del dramma il bisogno di ogni adolescente di fare propri modelli, principi, slanci ideali forse forieri di delusioni e ripensamenti ma comunque autenticamente vitali.
Fabrizio Colamartino
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