di Denis Rabaglia
(Svizzera, Italia, Francia, 2000)
Sinossi
Giuseppe ha 75 anni ed è malato di cuore. Nonostante in famiglia non ci sia pieno accordo, vuole fare operare la nipote Carla, sette anni, cieca dalla nascita. Pur di raggiungere il suo obiettivo, la prende con sé e la porta in Svizzera dove ci sono ospedali privati specializzati in questo tipo di interventi e soprattutto vecchi amici che lo possono aiutare a racimolare i soldi necessari all’operazione. Giuseppe, infatti, ha un passato da emigrante, una vecchia amante, Elisabeth, abbandonata anni prima per tornare dalla famiglia e un datore di lavoro cui aveva generosamente regalato il brevetto di una sua invenzione. Il viaggio, che effettivamente si conclude con l’operazione e il definitivo recupero della vista di Carla, si rivelerà per Giuseppe molto più faticoso e tormentato di quanto pensasse. Oltre ad accrescere il rapporto privilegiato con la bambina, l’uomo scopre che Ginevra è cambiata, che i suoi vecchi amici si sono arricchiti, ma non sono disposti ad aiutarlo e che Elisabeth gli ha nascosto la gravidanza di un figlio avuto da lui.
Introduzione al Film
Il vecchio e la bambina
Una delle caratteristiche più ricorrenti dei road movie è la corrispondenza tra la strada percorsa dal protagonista e il suo itinerario di crescita, una strada – fisica e allegorica al tempo stesso – che conduce l’eroe alla presa di coscienza della propria condizione, al cambiamento dei propri comportamenti o alla conquista di una diversa prospettiva sulle cose. Si tratta, in altre parole, di un percorso di acquisizione della vista o – se si preferisce – di un nuovo punto di vista. Anche Azzurro, che mette “sulla strada” due strani e inusuali personaggi (un vecchio operaio immigrato e la nipotina cieca), segue questo elemento topico del genere aggiungendone un secondo, meno frequente, ma altrettanto consolidato: l’accostamento all’eroe in viaggio di un bambino o di una bambina. I casi sono abbastanza numerosi: Alice nelle città di Wim Wenders, Paper moon di Peter Bogdanovich, Un mondo perfetto di Clint Eastwood. Uscendo dai confini americani: Central do Brasil di Walter Salles, L’estate di Kikujiro di Takeshi Kitano, E la vita continua… di Abbas Kiarostami. Nei film citati la presenza del minore costringe il personaggio principale ad accollarsi nuove responsabilità, a sacrificarsi per il più debole, ad imparare dalla purezza e dalla semplicità del piccolo compagno di viaggio nuovi valori e nuovi modi di agire. Rabaglia, in effetti, utilizza lo stesso dispositivo narrativo, raddoppiandolo e portandone così alle estreme conseguenze gli esiti allegorici. Alla cecità del protagonista corrisponde la cecità – vera, tangibile, concreta – di Carla, la nipotina. L’ottenebramento del vecchio non è solo metaforico: il suo passato è quello del muratore sfruttato, soggiogato, continuamente raggirato. Giuseppe a Ginevra lavorava troppo per avere il tempo di alzare la testa e guardarsi attorno, era costretto a fidarsi del panorama descritto dagli altri, meglio, dai suoi padroni. C’è una soluzione stilistica, adottata dal regista, che conferma la concretezza della sua cecità: la presenza di flash back fotografati con un color seppia che non permette ai ricordi di essere lontani e pacificati (come l’utilizzo di un classico bianco e nero avrebbe suggerito), né di essere vivi e verosimili, nitidi e colorati come se li si fosse vissuti da poco. Giuseppe ritorna in Svizzera e scopre la vera dimensione delle cose solo dopo aver subíto una metaforica operazione alla vista del medesimo valore terapeutico di quella di Carla: prima vede la realtà sfocata (le illusioni di arrivare a Ginevra e trovare gli amici disposti a prestargli i soldi), poi poco per volta gli appaiono i contorni delle cose e si rende conto dello sfruttamento subito, dell’ingratitudine verso gli immigrati, ma anche del frutto seminato durante il suo soggiorno e cresciuto negli anni della sua assenza: un figlio. A dimostrazione – e nel prossimo paragrafo ci soffermeremo su questo punto – che la cecità degli occhi non implica la cecità del cuore.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Vedere con gli occhi, vedere con il cuore
Carla ha un ruolo poco importante dal punto di vista narrativo. Per alcuni versi è semplicemente l’oggetto degli sforzi di Giuseppe, la giustificazione del viaggio, quindi conta solo la sua presenza; per altri versi è una creatura da proteggere, da guidare. Tali presupposti giustificano la mancanza di profondità psicologica di Carla. In realtà la sua presenza è fondamentale non solo perché strumentale al viaggio, ma perché rappresenta la metà nascosta di Giuseppe. I due personaggi hanno bisogno l’uno dell’altro. Per il nonno, la nipote è la seconda chance per essere un buon padre: nei trent’anni passati a Ginevra Giuseppe si è costruito una vita lontano dalla sua famiglia (rimasta in Puglia) negando ai propri cari l’affetto, un modello educativo, la sicurezza della presenza genitoriale. Non a caso la figlia di Giuseppe si dimostra insicura, timida, incapace di comprendere i bisogni di Carla e di tenere in piedi il proprio matrimonio (il marito è scappato e lei si trova sola a dover crescere la bambina). Per Giuseppe portarsi via Carla senza il consenso della madre Lucia è una sorta di affermazione del proprio ruolo educativo e protettivo. Per Carla, il nonno è l’unico contatto con la realtà, il tramite con cui guardare, i suoi occhi. Dalla prima sequenza in poi (quella dove Carla gioca a nascondino) la bambina cieca condivide con Giuseppe lo stesso bastone, che uno utilizza per reggersi in piedi e l’altra per vedere e non sbattere contro gli ostacoli della vita. È evidente che il bastone non può reggere entrambi i pesi e per questo l’operazione agli occhi si rende sempre più necessaria, ma è altresì evidente che la condivisione dello stesso sostegno costringe Giuseppe a farsi carico dello sguardo di entrambi e, quindi, a conoscere il mondo per la prima volta con profondità, per decidere cosa raccontare alla nipote e cosa no. Carla, in altre parole, insegna a Giuseppe a guardare con il cuore la realtà esterna (il nonno accetterà il figlio avuto da una relazione extraconiugale, perdonerà il capo cantiere che gli ha rubato un brevetto arricchendosi), in cambio di un affetto di cui è privata dalla madre Lucia, troppo presa dalla quotidianità per proteggere la figlia. A tal riguardo è significativo come l’abbandono della casa e il viaggio non siano formativi per chi scappa, ma per chi viene abbandonato, ovvero per la madre, che solo dopo il rapimento si accorgerà delle proprie manchevolezze come genitore e correrà a riprendersi la figlia in Svizzera.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
Ecco alcuni celebri personaggi del cinema con cui Carla condivide l’handicap della cecità. La fioraia di Luci della città di Charlie Chaplin, la ragazzina di La locanda della felicità di Zhang Yimou, l’omonimo ronin di Zatoichi di Takeshi Kitano, la ricca “figlia di papà” de Il cuore altrove di Pupi Avati. Altri film meno celebri: A prima vista di Irwin Wilker, Gli occhi del delitto di Bruce Robinson e il documentario Djambe Folà di Giacomo Trevisan. Marco Dalla Gassa