All the Invisible Children

di Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Jordan Scott, Ridley Scott, Stefano Veneruso, John Woo

(Italia, Francia, 2005)

Sinossi

Il film è composto da sette episodi che hanno come filo conduttore l’infanzia in contesti sociali problematici. Tanza, questo il nome del giovane protagonista che dà il titolo all’episodio, è un bambino soldato in un non precisato Paese africano in gierra. Dopo che tutti i membri della sua famiglia sono stati sterminati davanti ai suoi occhi per motivi etnici decide di unirsi ad una banda di piccoli guerriglieri. Quando gli viene affidata la missione di piazzare la bomba in un villaggio di donne e bambini non si tira indietro ma ben presto scopre che l’obiettivo dell’attentato è la scuola elementare che anche lui ha frequentato e finisce per disinnescare l’ordigno. Blue Gipsy è ambientato in un carcere minorile serbo nel quale il giovane Uros sta trascorrendo gli ultimi giorni di pena. Il ragazzo possiede un innato talento per il borseggio ma in carcere ha imparato a tagliare i capelli e vorrebbe andare a lavorare per lo zio parrucchiere. Il padre, un criminale dall’indole violenta, ha invece per lui altri progetti. La festa del carcere diventa anche l’occasione per celebrare la sua liberazione ma poche centinaia di metri fuori dalla prigione eccolo di nuovo costretto ad un furto. Nella fuga disperata Uros finisce per scavalcare di nuovo le mura rassicuranti e protettive del carcere. La protagonista di Jesus Children of America è Blanca, una ragazzina di colore che abita a New York. Il padre, reduce dalla guerra del golfo, ha contratto il virus H.I.V. trasmettendolo alla madre e quindi alla bambina durante la gravidanza. Gli amici di scuola la prendono in giro in modo sempre più pesante e violento ed arrivano a discriminarla in tutte le attività. Blanca decide allora di rivolgersi ad un’associazione che offre assistenza psicologica ai ragazzi malati: lì si sente finalmente accolta ed accettata. Bilu e Joao, nell’episodio omonimo, sono sorella e fratello e vivono di piccoli espedienti ai margini di San Paolo del Brasile. Dall’alba fino a notte inoltrata girano instancabilmente da un capo all’altro della metropoli in cerca di rifiuti riciclabili da poter vendere per pochi spiccioli. Affrontano tutti i pericoli e le situazioni problematiche con grande spirito d’iniziativa e buon umore. Jonathan, il personaggio che dà il titolo al quinto episodio, è un fotografo di guerra inglese logorato psicologicamente dal suo lavoro. Mentre attende di partire per l’ennesimo viaggio in zone di guerra si lascia andare ad un ricordo-sogno nel quale si rivede bambino in compagnia di due amici d’infanzia. Il ricordo remoto si fonde con quelli molto più recenti e Jonathan si ritrova a condividere la sorte dei bambini sotto i bombardamenti. L’esperienza lo rende più consapevole e pronto per affrontare il nuovo viaggio. Ciro è un ragazzino della periferia degradata di Napoli. Vive di piccoli furti compiuti con un coetaneo e sogna di fuggire da una realtà sociale opprimente e da una situazione familiare insopportabile. Attorno a lui il coro dei luoghi comuni sordi ad una possibile speranza di cambiamento. Song Song e Little Cat sono due bambine dalle esistenze agli antipodi: la prima vive nel lusso ma la separazione dei genitori getta lei e la madre nella più totale apatia; la seconda invece è una trovatella che è stata allevata da un vagabondo estremamente povero ma molto affettuoso. L’unico punto di contatto tra le due piccole protagoniste è una bambola che, gettata per noia da Song Song sotto un cavalcavia, viene raccolta da Little Cat e diventa la sua amica più preziosa.

Introduzione al Film

Corti in grande Come già accaduto per 11 settembre 2001, film formato da 11 cortometraggi affidati a registi di diversi paesi per raccontare la tragedia dell’11 settembre, All the Invisibile Children è un progetto nato per raccogliere fondi a favore del World Found Program dell’UNICEF. Al progetto hanno aderito alcuni dei più importanti registi del cinema contemporaneo internazionale e l’esordiente Stefano Veneruso che, oltre al ruolo di produttore, si è ritagliato anche un piccolo spazio dietro la macchina da presa per raccontare una delle storie, ovviamente quella ambientata in Italia. Il filo conduttore dei cortometraggi, di durata compresa tra i 13 e i 20 minuti, è l’infanzia in condizioni sociali e politiche problematiche; il punto di vista però non è in alcun caso pessimistico ma tende piuttosto a mettere in luce la straordinaria forza dei bambini, capaci di vivere positivamente anche in situazioni oggettivamente proibitive. Ogni autore racconta i problemi dell’infanzia nella propria realtà territoriale senza rinunciare alle peculiarità stilistiche del proprio modo di fare cinema. Questo, come spesso accade nelle opere corali, rende il film piuttosto discontinuo e, generalmente, delude le aspettative legate all’importanza dei registi. Molti autori faticano da un lato a incanalare la loro ispirazione a servizio di una causa che li forza lungo binari fin troppo rigidi, e dall’altro, quasi assuefatti a racconti di lunga durata, rischiano di mancare dell’immediatezza e dell’efficacia richieste dal cortometraggio. I due episodi più riusciti sono indubbiamente Tanza di Mehdi Charef e Bilu e Joao di Katia Lund. Il primo è girato con essenzialità (di gesti, di parole e di movimenti di macchina) ed è l’unico nel quale il finale presenti un bivio: non è chiaro se il protagonista decida di disinnescare la bomba o se invece scelga di farla esplodere mentre solo lui è presente all’interno della scuola. L’episodio di Katia Lund invece prosegue idealmente il percorso iniziato dalla regista in City of God (2002); si tratta di un vero e proprio inseguimento di bambini e ragazzi nei sobborghi più poveri ed emarginati del Brasile. Il punto di vista rimane positivo e aperto al lieto fine anche in condizioni proibitive e lo stile è diretto, allegro, pieno di musica. La musica è ovviamente anche protagonista di Blue Gipsy di Emir Kusturica. L’autore serbo, considerato un regista di culto da molti spettatori, cerca di condensare in 17 minuti tutto il suo cinema, finendo per saturare di surrealismo lo schermo e la storia, così esile da essere quasi cancellata nel marasma di canzoni, gag fracassone e volti grotteschi. Quasi all’opposto si pongono invece gli episodi di John Woo e di Jordan e Ridley Scott. Le atmosfere di Song Song e Little Cat e di Jonathan sono di notevole raffinatezza visiva ma eccessivamente rarefatte e le storie ai limiti dell’inconsistenza, cosa piuttosto inusuale per due autori che hanno fatto dell’azione febbrile quasi un marchio di fabbrica. Non brilla per ritmo nemmeno Jesus Children of America che Spike Lee ambienta nel terreno familiare di New York. L’episodio finisce per diventare uno spot, anche vagamente fuori tema, per l’associazione che tenta di aiutare i ragazzi affetti da malattie gravi. Infine Ciro di Stefano Veneruso presenta una notevole originalità stilistica supportata dallo straordinario lavoro di Vittorio Storaro come direttore della fotografia, ma troppo spesso scivola nella banalità dei luoghi comuni e perde spontaneità a causa della recitazione poco convincente della maggior parte dei protagonisti.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Paese che vai, infanzia che trovi I protagonisti dei 7 cortometraggi che compongono All the Invisibile Children hanno un’età compresa tra i sei e i tredici anni, a grandi linee quella che in Italia coincide con gli anni della scuola dell’obbligo, e, vivendo alle varie latitudini del pianeta, sono alle prese con problemi sociali di varia natura. Quello che li accomuna, tuttavia, è la condizione di vittime: di un sistema politico, di decisioni familiari, di un assetto globale; in ogni caso si trovano tutti a dover gestire la loro condizione infantile in situazioni limite che non hanno scelto e che non possono in alcun modo cambiare. Tanza, che ha assistito allo sterminio di tutta la sua famiglia, non può fare altro che unirsi ad una delle bande di giovani combattenti; non si tratta di una decisione dettata dal rancore quanto piuttosto dell’unica via d’uscita per un orfano che ha perso ogni punto di riferimento. Nel suo ruolo di guerrigliero si limita ad eseguire gli ordini senza comprendere i motivi dell’odio e della violenza che lo circondano. Con gli occhi chiusi non sogna la vendetta ma semplicemente una vita normale in cui poter andare a scuola come tutti i suoi coetanei, e premendo il bottone che disinnesca (o fa esplodere?) la bomba tenta di contribuire alla realizzazione di questo sogno. Uros, protagonista di Blue Gipsy, ha finalmente trovato un suo ruolo all’interno del carcere minorile. Stanco di dover subire le decisioni del padre e le sue violenze vorrebbe poter fare un lavoro normale, ma all’uscita dalla prigione viene costretto ancora una volta a rubare. L’unica alternativa per lui è quella di tornare tra le mura protettive del centro di detenzione dove sa di avere un ruolo rispettabile e di essere apprezzato per ciò che è. L’atto finale di rasarsi i capelli rappresenta insieme un forte desiderio di appartenenza al mondo all’interno delle mura e un gesto estremo di distinzione nei confronti di ciò che si trova all’esterno. È in fondo lo stesso desiderio di appartenenza che spinge Blanca ad unirsi al gruppo di auto-aiuto formato da ragazzi affetti da diverse patologie gravi. Trascurata dai genitori, incapaci perfino di badare a se stessi, e discriminata violentemente dai compagni di classe, è costretta ad affrontare la sua condizione di “diversa”. A spingerla è il forte desiderio di normalità, anche in una condizione estrema e provvisoria come quella dei malati di AIDS. Anche Bilu e Joao, sorella minore e fratello maggiore, cercano di vivere serenamente la loro “normalità” di bambini di strada costretti a raccogliere rifiuti tutto il giorno per racimolare pochi spiccioli. A donare loro il buon umore e l’ottimismo è l’incrollabile fiducia nel futuro e nei ribaltamenti del destino unita presumibilmente alla mancanza di conoscenza delle realtà infantili dei paesi più ricchi. I peggiori pericoli della metropoli vengono trasformati in gioco, così da esorcizzare, non senza forzature, gli spettri di qualsiasi finale non lieto. La vita di Ciro è un alternarsi di realtà e fantasia, in un gioco paradossale di luce ed ombra in cui è proprio quest’ultima ad offrire una via d’uscita. Proiettando la sua sagoma sul muro Ciro proietta i propri sogni e le proprie fantasie che si frantumano e svaniscono di fronte alla quotidianità. La sua fuga dopo lo scippo commesso nel centro di Napoli è una fuga simbolica dal luogo comune che lo vorrebbe già con un destino segnato. La fuga diventa anche un ritorno all’infanzia, rappresentata dal Luna Park: luogo luminoso e onirico ma anche deserto e desolante. Tutta giocata sul confronto tra opposti è infine la storia di Song Song e di Little Cat. In realtà le due protagoniste coetanee vivono entrambe situazioni di forte problematicità: da un lato Song Song è circondata dal lusso ma non riesce ad accettare la separazione dei genitori, e dall’altro Little Cat vive con grande serenità la sua condizione di estrema miseria. Le forti privazioni hanno equipaggiato Little Cat della forza d’animo necessaria per affrontare anche le situazioni più avverse mentre Song Song è estremamente vulnerabile. Nell’unico fugace sguardo che le due protagoniste si scambiano è come se un po’ della saggezza e della maturità della prima passasse alla seconda che trova così la forza d’animo per affrontare la realtà. L’incrollabile fiducia nel futuro, il potere straordinario dell’immaginazione e la potente arma dell’ingenuità sono i fili conduttori di queste sette storie nelle quali, come accennato, il lieto fine è d’obbligo.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Per il linguaggio utilizzato e i temi affrontati All the Invisibile Children è particolarmente adatto agli studenti delle scuole medie inferiori e superiori. Trattandosi di un film composito, sono molti gli spunti didattici offerti: oltre al tema generale dell’infanzia negata in condizioni sociali sfavorevoli, si possono approfondire i temi della povertà, della guerra, della malattia, della criminalità e della separazione dei genitori. Lo scopo benefico della produzione si presta inoltre ad un discorso generale sulle attività dei vari organismi internazionali che tentano di migliorare la condizione infantile. Per un maggiore approfondimento si consiglia anche la visione di City of God (Meirelles, Lund, Brasile, 2002) dedicato ai ragazzi di strada, La guerra di Mario (Captano, Italia, 2005) sulla condizione della periferia napoletana, Il tempo dei gitani (Kusturica, Yugoslavia, 1989) sulla microcriminalità dell’est europeo e 11settembre 2001 (Aa.Vv., Francia, 2002) molti episodi del quale mettono in luce le ripercussioni dell’attentato di New York sui bambini dei vari paesi. Ludovico Bonora

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