Alice nelle città

25/01/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Sviluppo psicologico Titoli Rassegne filmografiche

Alice nelle città (Alice in Den Städten, RFT, 1973)

Regia: Wim Wenders

Soggetto: Wim Wenders

Sceneggiatura: Wim Wenders con la collaborazione di Veith von Fürstenberg

Prodotto da: Joachim von Mengershausen

Fotografia (col.): Robbie Müller

Montaggio: Peter Przygodda

Musiche: Can

Personaggi e intrepreti: Rüdiger Vogler (Felix Winter), Yella Rottländer (Alice), Lisa Kreuzer (Lisa), Edda Köchl (Edda),Didi Petrikat (la ragazza), Ernest Böhm (il poliziotto), Sam Presti (il negoziante d’auto), Lois Moran (l’impiegata dell’aeroporto).

Durata: 110 minuti

Sinossi

Felix Winter è un giornalista tedesco in viaggio negli Stati Uniti per scrivere una sorta di resoconto sul paesaggio americano. Felix, però, non è riuscito a scrivere nemmeno una parola, ha solo fotografato con un apparecchio ‘Polaroid’ ciò che ha visto, pensando che affidarsi all’evidenza iconografica fosse molto più chiaro di mille parole. Ma il direttore del giornale che lo ha incaricato, insoddisfatto del risultato, decide di rescindere il contratto. Felix è costretto quindi a tornare in Germania. All’aeroporto, però, Felix non riesce a trovare un biglietto a causa di uno sciopero: potrà partire solo il giorno seguente. Nella stessa situazione si trova una donna, Lisa, che viaggia con la piccola figlia Alice. Felix, su richiesta della donna, passa la notte con Lisa, ma l’indomani la madre di Alice si alza molto presto e abbandona l’abitazione fissando su un biglietto un appuntamento sull’Empire State Building di New York a cui non si presenterà. Alice è rimasta con Felix, per cui ora il giornalista dovrà badare anche alla bambina. I due partono alla volta di Amsterdam, luogo nel quale devono fare scalo, con la speranza di trovare la madre della bambina, ma della donna nessuna traccia. E di Lisa non c’è nessuna traccia neanche in Germania. I due vagano allora nella speranza di ritrovare la donna, ma i tentativi si dimostrano assolutamente vani. A Felix viene allora in mente di affidare la bambina alla nonna, che secondo i ricordi confusi di Alice dovrebbe abitare a Wuppertal. La bambina dispone soltanto di una foto della casa e i due viaggiatori, su questa flebile base, si mettono alla ricerca dell’abitazione. Ma i risultati non arrivano. Scorato, Felix decide di affidare la bambina alla polizia in modo che possa rintracciarne i parenti. Alice, però, fugge dalla centrale e si ripresenta davanti all’albergo in cui risiedeva con Felix, il quale si mostra felice e pronto a riprendere la ricerca. Durante l’incessante ricerca, un tassista li mette sulla buona strada, consigliando loro di cercare il tipo di casa ritratto in fotografia a Oberhausen. Ad Oberhausen, infatti, Felix e Alice trovano la casa della nonna della bambina, ma l’anziana donna, però, non vive più in quel luogo da un paio d’anni. Sconsolato e senza soldi, Felix decide di recarsi dai suoi genitori. Mentre sta prendendo un traghetto viene riconosciuto da uno dei poliziotti presenti nel commissariato, che gli comunica che la madre e la nonna di Alice sono state ritrovate e che sia lui, sia la bambina devono seguirlo. Felix e Alice vengono messi a bordo di un treno per Monaco, città nella quale si divideranno per sempre.

 

Analisi tematica

Il viaggio espresso in termini narrativi è sempre un momento di conoscenza delle istanze del mondo e di grande sviluppo personale. Il personaggio che intraprende un viaggio non sempre arriva a destinazione, ma sicuramente subisce una trasformazione personale che lo cambierà nei suoi caratteri essenziali. Non è detto che si raggiunga una meta, ma nulla sarà più come prima. Anzi, nella maggior parte dei casi del cinema di viaggio (soprattutto americano, al quale Wenders si ispirava miticamente dopo essere stato folgorato da Easy Rider, del quale apprezzava soprattutto la capacità ritmica e narrativa della colonna sonora), si attua una vera e propria sospensione che non permette all’individuo un approdo certo, ma soltanto nuove e sofferte consapevolezze esistenziali. Il tema del viaggio come conoscenza di se stessi ha da sempre influenzato un regista come Wim Wenders, e non solo in quella che nella storia del cinema è assurta a scintillante notorietà con il nome di “Trilogia della strada” (Alice nelle città, per l’appunto, Falso movimento e Nel corso del tempo): i personaggi del regista tedesco mostrano sempre di avere un contatto molto relativo, quasi inconsistente, con lo spazio che attraversano, sia esso quello americano (l’inizio di Alice nelle città, ma anche l’ottica di Paris, Texas filtrata attraverso la visione solare di un pittore come Edward Hopper) oppure quello tedesco (sempre Alice, ma anche Falso movimento e Nel corso del tempo, in cui si percorre lo scomodo confine tra le due Germanie divise). L’importanza capillare della narrazione nei film di viaggio di Wenders è lo scorrimento dello spazio nella psiche dei personaggi che lo percorrono: è la pratica che rende valida l’esperienza intima del personaggio, il suo errare in spazi che lo annullano in una alienazione omologante da cui ci si deve necessariamente distaccare per non essere completamente cancellati dalla possibilità di conoscenza intima. I personaggi wendersiani solo episodicamente sono mostrati nell’atto di intraprendere il viaggio (è il caso di Wilhelm in Falso movimento), molto più spesso sono dati già in viaggio, nella pienezza dello spostamento, come se fosse una caratteristica connaturata all’animo del protagonista. Felix Winter, il giornalista protagonista di Alice nelle città, è già in movimento. Egli viaggia sulle strade americane con un’auto e sembra di vedere uno di quei Road movies di cui Wenders è sempre stato fervente ammiratore. Nella prima scena del film, Felix è su una spiaggia e contempla delle fotografie scattate con una macchina “Polaroid” per istantanee uniche e non riproducibili. Il suo è un momento di stasi in un viaggio che – si scoprirà dopo poco – dovrebbe avere un preciso scopo. Il giornalista, infatti, ha ricevuto l’incarico da una rivista di documentare il suo viaggio per gli States con un dettagliato resoconto scritto, un reportage che attraverso la fine descrizione del paesaggio dia un preciso spaccato della società americana. Ma Felix non ha scritto una sola parola. Nel percorrere un paesaggio omologato e sempre simile a se stesso, Felix è riuscito a riprodurre le sue sensazioni soltanto con l’unicità istantanea di una fotografia scattata con la “Polaroid”: la non-riproducibilità della fotografia si contrappone alla massificazione paesaggistica della società americana, mentre dall’impossibilità di descrivere a parole scaturisce l’alienazione di un individuo che si affida totalmente all’evidenza iconografica. Anche se concettualmente l’idea di Felix non è sbagliata (l’omologazione si può riprodurre soltanto con l’unicità, ciò che rimane di sublime nel paesaggio americano può essere solo testimoniato attraverso una copia imperfetta - “non vengono mai uguali a quello che vedi”, si lamenta Felix dopo aver scattato una foto), l’incarico ricevuto è di tipo radicalmente opposto e il mancato adempimento fa in modo che il direttore gli rescinda il contratto. Tutto è omologazione, anche le immagini televisive, sempre più preda della pubblicità che mangia le inquadrature e provoca una costante tensione rivolta all’erosione dell’icona e al consumo perpetuo, le quali risultano difficilmente sostenibili. L’incontro con Alice per Felix rappresenta una pausa in questa ricerca dell’immagine perfetta, del resoconto che trascende il giornalismo per diventare testimonianza precisa e fedele di un momento, di un attimo, di una visione, di un concetto. L’incontro con la bambina è un innocente passo indietro, non regressivo, verso una dimensione differente: Felix, senza ancora conoscere Alice, gioca con lei nella porta girevole dell’aeroporto di New York. La stessa porta d’ingresso rappresenta simbolicamente per il giornalista l’entrata in un livello diverso, più vicino all’innocenza e diametralmente opposto alla corruzione delle immagini che il paesaggio americano e la televisione forniscono. Più vicino all’innocenza, ma non completamente innocente: Alice, infatti, manca dell’alienazione massificata degli adulti, ma non è assolutamente una sprovveduta, perché, per esempio, non crede allo scherzo di Felix di spegnere l’Empire State Building a mezzanotte con un semplice soffio. Alice, semplicemente, non è corrotta da tutto il background che inficia la visione degli adulti, schiava di milioni di altre immagini. Alice ha una foto dell’abitazione della nonna, ma non sa assolutamente in che città della Germania si trovi: la bambina dispone di quella visione innocente che la rende una sorta di tabula rasa nei confronti dei condizionamenti culturali (si pensi anche alla scena in cui Felix legge ad Alice barricata nel bagno tutta la lista delle città tedesche, con la bambina che va a sensazioni e blocca il giornalista su Wuppertal soltanto perché deve averlo già sentito nel suo breve passato). Quella che si realizza tra Felix e Alice è una sorta di scambio vicendevole, in cui la bambina offre la sua ingenuità, l’innocenza non massificata dall’esperienza totalizzante, mentre il giornalista si pone come quella guida paterna di cui la piccola è completamente sprovvista, sia perché priva di un padre istituzionale (l’uomo di cui parla la madre Lisa con Felix nella stanza d’albergo newyorchese, infatti, non è il padre della bambina), sia perché la madre pare essersi dissolta senza lasciare traccia. In un vuoto completo di riferimenti da un lato (quello di Alice), in un altro generato dall’alienazione dell’uomo moderno dall’altro (quello di Felix), i due personaggi erranti si incontrano e si scambiano per osmosi ciò di cui sentono maggiormente il bisogno, l’innocenza e la ricerca di rapporti umani autentici, non mediati dal livello culturale e sociale per Felix, una guida che l’accompagni lungo la strada impervia che caratterizza la ricerca delle certezze infantili per Alice. L’alienazione di Felix, il suo blocco descrittivo e creativo, pian piano comincia a dileguarsi: l’uomo gioca con Alice, ‘arretra’ a livello infantile (si pensi alla scena in cui Felix e Alice si fotografano dentro una cabina per le istantanee automatica, nel corso della quale il giornalista arriva a sorridere solo dopo averlo visto fare alla bambina; oppure al momento in cui i due si cimentano in evoluzioni ginniche ridicole) per potersi riappropriare di una realtà piena e soddisfacente, non più mediata dai condizionamenti culturali e dai pregiudizi. Il viaggio di Felix e Alice è perfetta reciprocità: non è un caso che alla fine del loro percorso, quando la bambina ha ritrovato madre e nonna, l’uomo le dica che finalmente potrà concludere la stesura di quella storia che avrebbe dovuto scrivere in precedenza. L’innocenza dell’infanzia ha fatto il miracolo e ha riportato Felix a quel candore necessario per sottrarsi ai complessi meccanismi culturali e alienanti che lo avevano condizionato.

 

Il contesto storico: il film nella Storia del cinema

Alice nelle città è il primo episodio di una trilogia sul viaggio (famosa come “Trilogia della strada”) che racchiude anche Falso movimento e Nel corso del tempo. Il motivo del viaggio, presente in Wenders già nei suoi lavori giovanili, diventa una sorta di condizione perpetua del personaggio, il quale attraverso il suo spostamento, oltre ad entrare in contatto con realtà precedentemente sconosciute, assume il movimento come imprescindibile condizione esistenziale per sviluppare se stesso e il suo modo di relazionarsi alla vita. Il viaggio offre l’opportunità di vedere un mondo attraverso il suo ‘divenire’, senza che ci sia una motivazione forte allo spostamento continuo, quasi si trattasse di una deriva esistenziale che obbliga ad una dimensione ‘altra’ per sottrarsi necessariamente alla monotonia annichilente dell’esistenza quotidiana. Se i personaggi dei film on the Road americani (ai quali il regista occhieggia continuamente) cercavano di sottrarsi ad una società corrotta e illiberale (si vedano Easy Rider [Dennis Hopper, 1969] o Punto zero [Vanishing Point, Richard Sarafian, 1970], solo per fare due tra gli esempi possibili), quelli della ‘Trilogia della strada’ di Wenders realizzano un movimento inevitabile a seguito di un profondo scoramento personale, per un movimento fine a se stesso che diventa, inconsapevolmente, una sorta di ricerca del proprio io. Il cineasta ha il merito di aver importato un genere nato negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta e di averlo innervato con una sensibilità tutta europea, mitteleuropea in particolare, visto che in queste narrazioni non appaiono assolutamente secondarie le influenze dell’Entwicklungroman, il ‘romanzo di sviluppo’ tedesco dell’Ottocento.

 

Curiosità e informazioni sulla produzione del film 

Wenders aveva conosciuto per caso Yella Rottländer, l’Alice del film, nella sua precedente pellicola Der Scharlachrote Buchstabe (La lettera scarlatta), nella quale interpretava il ruolo di Pearl. Il cineasta non era stato direttamente responsabile della scrittura della bambina, ma una volta conosciuta, pensò che solo Yella potesse rappresentare la fanciulla in viaggio con il giornalista Felix Winter dopo essere stata abbandonata inopinatamente dalla madre a New York.

 

Bibliografia essenziale

AA. VV., Wim Wenders. Il cinema dello sguardo, Loggia de’ Lanzi, 1995

AA. VV., Wim Wenders, Nuova Mixermedia, 1994

Luca Antoccia, Il viaggio nel cinema di Wim Wenders, Dedalo, Bari, 1994

Filippo D’Angelo, Wim Wenders, Il Castoro, Milano, 1994

Roberto Lasagna, Giuseppe Gariazzo, Saverio Zumbo, Wenders Story. Il cinema, il mito, Falsopiano, Alessandria, 1997

Maurizio Russo, Wim Wenders. Percezione visiva e conoscenza, Le Mani, Recco-Genova, 1997

Stefano Francia di Celle, Wim Wenders, Milano, Torino Film Festival/Il Castoro, 2007