Maria Full of Grace

di Joshua Marston

(USA/Colombia, 2004)

Sinossi

Maria, una diciassettenne abitante in un piccolo villaggio colombiano, è costretta dalle ristrettezze economiche familiari a lavorare in un’azienda di floricoltura. Ripresa ed umiliata dal suo supervisore per aver vomitato su un mazzo di rose su cui stava lavorando, Maria decide di licenziarsi. La situazione è resa ancora più complicata dal fatto che la ragazza è incinta, pur non essendo innamorata del suo fidanzato. Consapevole del bisogno di denaro, Maria entra in contatto con i trafficanti di droga, che le propongono di lavorare come “mula”, ingurgitando ovuli impacchettati che dovrà trasportare fino a New York. Nella preparazione al suo viaggio, Maria conosce Lucy Díaz, che, vista la sua esperienza, le fornisce alcuni importanti insegnamenti su come gestire la situazione. Giunta a New York, Maria insospettisce la polizia dell’aeroporto che la interroga, convinta che sia implicata nel contrabbando di sostanze stupefacenti, ma l’impossibilità nell’analizzarla con una radiografia per via del suo stato interessante e la convinta difesa della ragazza, la fanno rilasciare. Lucy, intanto, a causa della rottura di uno degli ovuli ingoiati, si sente male ed è fatta sparire dai narcotrafficanti. Maria e l’amica Blanca, implicata anch’essa nel losco traffico, decidono di fuggire tenendosi la partita di droga che non hanno ancora consegnato. Maria si reca a casa della sorella di Lucy, Carla, chiedendole ospitalità sostenendo di essere un’amica, ma non rivelandole la sorte toccata alla ragazza, il cui corpo viene ritrovato successivamente, sezionato all’altezza dello stomaco per poter recuperare la partita di droga. Appresa la notizia, sconvolta per non averlo saputo prima, Carla caccia di casa Maria, la quale, con Blanca, ritorna dai narcotrafficanti per consegnare la droga e ricevere i soldi pattuiti e organizzare un funerale degno per Lucy. Raggiunto l’obiettivo, le due ragazze si apprestano a tornare in Colombia, ma nel momento dell’imbarco sull’aereo, Maria decide di rimanere a New York e di far nascere in America il suo bambino.

Introduzione al Film

Una “grazia” ambigua

Joshua Marston nasce nel 1968 nella contea di Los Angeles, California. Dopo aver studiato a Berkeley, all’inizio degli anni Novanta è diventato giornalista per la rivista Life e per l’emittente televisiva ABC News, poi è andato a vivere a Praga, Repubblica Ceca, città nella quale ha insegnato Inglese. Maria Full of Grace è il suo primo lungometraggio, premiato a Berlino come miglior opera prima e al Sundance di Park City, Utah, dove ha vinto il premio del pubblico. Prima dell’esordio, Marston aveva realizzato una serie di cortometraggi (Bus To Queens, Usa, 1999; Voice Of An Angel, Usa, 2000; Trifecta, Usa, 2001) molto apprezzati in tutti i festival in cui sono stati proiettati. Dopo l’esordio, invece, il regista è stato chiamato a dirigere alcuni episodi di note serie televisive, tra cui Six Feet Under e Swingtown. L’idea di girare un film sulle “mule”, le donne che in gergo trasportano nel loro stomaco ingenti quantitativi di droga ridotti in ovuli grandi come grossi acini d’uva in modo da superare i consueti controlli da parte delle autorità competenti, è venuto a Marston dopo aver conosciuto casualmente una donna colombiana residente a New York che ha fatto realmente tale esperienza. Quello che apparentemente poteva sembrare un fantasioso racconto frutto di una leggenda metropolitana, durante la conversazione con la donna che un giorno fu “mula” ha assunto via via i connotati di una storia possibile, di una sceneggiatura che prende progressivamente corpo dopo due anni e mezzo di lavoro costante, di ricerche, di conversazioni con altre persone con la stessa esperienza da raccontare. Ma Maria full of Grace non è la cronaca fedele di un contrabbando possibile per far entrare partite di droga negli Stati Uniti, né un documento antropologico sulla politica del narcotraffico come speranza di affrancamento sociale, bensì una sofferta storia di solitudine, di arroganza e di ingiustizia quotidiana narrata in funzione di un corpo considerato come oggetto di rivelazione. È in questo che risiede la grazia quasi evangelica a cui allude il titolo voluto da Marston per la sua ambigua qualità poetica: la grazia, intesa come consapevolezza, è illuminazione che proviene dall’interno, in virtù di un corpo che ha conosciuto dapprima l’umiliazione, poi l’inseminazione, successivamente la violazione dovuta agli ovuli di droga ed infine, dopo la lancinante presa di coscienza che il corpo può anche morire, la rasserenante accettazione che una nuova vita è possibile, insieme al frutto del proprio grembo. Il tutto con uno stile oggettivo, attento ai personaggi e alle loro sfumature, ai loro volti perplessi e impauriti, ai loro rari sorrisi che, proprio perché rari, acquistano una forza devastante.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

La coscienza del proprio corpo

Maria è una diciassettenne colombiana dallo sguardo perennemente triste, obbligata dal dovere familiare a lavorare come operaia in un vivaio di fiori in cui, metaforicamente, la bellezza della natura viene modificata, mitigata, ridotta nella costante operazione di eliminazione delle spine, massificata in mazzi che appaiono tutti uguali, senza picchi né irregolarità. Lo sguardo di Maria è come quei mazzi di fiori che la ragazza impacchetta giorno dopo giorno, uno uguale all’altro, privi della scintillante bellezza cromatica di una vita che è sempre la stessa, senza prospettive di miglioramento alcuno. Lo stesso frutto del suo grembo, comparso per caso ma non desiderato, si propone come un imprevisto da ingabbiare in una quotidianità che ha le sue rigide consuetudini da rispettare: il fidanzato di Maria, una volta appresa – non certo con entusiasmo – la notizia, si propone subito di sposarla, pur essendo consapevole di non amarla, perché in quel mondo sempre uguale, ad ogni singola azione corrisponde una reazione attesa e in qualche modo riparatrice di equilibri perennemente ricomposti, nonostante la grigia vacuità del contesto. Rifiutando di sposare il fidanzato per ricostituire il disequilibrio, Maria compie uno dei primi atti di rottura delle convenzioni e di difesa del proprio corpo, che è il vero oggetto protagonista della pellicola di Marston. L’altro è il licenziarsi dalla fabbrica per l’arroganza irrazionale del suo supervisore, cieco di fronte al bisogno di quello stesso corpo in trasformazione. Nel contesto familiare la situazione non è diversa, non meno oppressivo di quello lavorativo, nel quale una sorella con bambino e una madre dipendono dai soldi guadagnati da Maria, a dispetto di qualunque legittima ipotesi razionale. Nel gioco delle consuetudini, in Colombia, rientra anche la malata quotidianità dei trafficanti di droga, i quali si incontrano in discoteca e hanno il volto sorridente ed affabile di Franklin, che inizialmente pare interessato alle grazie di Maria, salvo poi rivelare, in realtà, che l’interesse nei confronti della ragazza è esclusivamente funzionale all’eventualità che si trasformi in “mezzo di trasporto”, in veicolo per superare le frontiere senza correre troppi rischi. La spessa patina di malinconia di Maria, il suo sguardo senza speranza, la sua stessa possibilità di emanciparsi da tutto un contesto di consuetudini fatto di soggezione, arroganza e ruoli predefiniti, passa attraverso la consapevolezza dell’importanza del proprio corpo. La minutezza di un corpo adolescente come oggetto in affitto per la multinazionale del traffico di droga, il bisogno personale che diventa la molla per confrontarsi con un aspetto enorme e non del tutto comprensibile (le lezioni che la più esperta Lucy fa a Maria con gli acini dell’uva, allenandola ad inghiottire una forma simile a quella dell’ovulo riempito di sostanza stupefacente), la necessità di crescere immediatamente, bruciando le consuete tappe (Maria, per ottenere il lavoro, sostiene di essere maggiorenne). Ma anche e soprattutto, l’acquisizione di una nuova consapevolezza, quella di sentire il corpo come parte di sé, come tempio in cui si genera quella sensibilità che, nelle sue manifestazioni estreme, può portare alla creazione della vita (la gravidanza di Maria) o alla fine della stessa (l’ovulo mal confezionato che si sfalda nello stomaco di Lucy causandone la morte attraverso una lenta consunzione). È attraverso questa crescente consapevolezza che Maria decide il suo possibile riscatto, a differenza delle sue compagne di sventura che, come Lucy, restano vittime di quello stesso corpo di cui hanno abusato più volte (è Lucy stessa ad ammetterlo quando Maria le chiede quanti viaggi abbia effettuato per conto dei narcotraficanti) e Blanca, che vive l’esperienza per spirito di emulazione, non per un bisogno personale cosciente: è guardando il foglio della prenotazione della successiva ecografia che Maria decide di abbandonare Blanca sulla soglia dell’imbarco, all’aeroporto di New York, per rimanere definitivamente negli Stati Uniti. In questo caso, tuttavia, il significato non è da ricercare nel solito messaggio edificante presente nelle pellicole di produzione americana: Maria non preferisce la libertà degli States all’oppressione colombiana, ma sceglie la sua nuova dimensione, che è frutto di una conquista del corpo come oggetto esclusivamente suo e non preda di contrabbandieri di droga, di una famiglia che si nutre del suo stipendio o di un fidanzato che intende assumersi delle responsabilità soltanto perché le convenzioni sociali lo obbligano a questo. Maria si emancipa perché si rende conto della dialettica possibile all’interno di se stessa, di un grembo “pieno di grazia” che da solo illustra tutte le potenzialità che la vita offre a chi acquisisce la giusta consapevolezza per poter vivere.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Maria full of Grace non è ovviamente un film sul mondo della droga, ma una pellicola che si serve del contesto duro e realistico del narcotraffico per illustrare il percorso di crescita di una diciassettenne che i casi della vita hanno costretto a metabolizzare più esperienze contemporaneamente e nel minor tempo possibile. Se i percorsi di formazione in ambiti sociali rovinosi rappresentano un numero consistente e non sempre circoscrivibile con precisione, un riferimento diretto è sicuramente quello rappresentato da La vergine dei sicari (La virgen de los sicarios, Francia/Spagna/Colombia, 2000) di Barbet Schroeder, vicenda che si può collegare a quella raccontata da Marston per la vicinanza dell’ambientazione (in Schroeder Medellin, nel film di Marston Bogotà), ma molto più cruenta a causa dell’opprimente situazione di degrado sociale che vede uno scrittore di successo tornare in Colombia e notare quotidianamente il dolore, la mancanza di speranza, l’impossibilità di emancipazione di una terra preda della malavita dei trafficanti di droga. Entrambi i film, pur con esiti opposti, possono essere inclusi in un’unità didattica in cui si analizzi il peso di una società in cui a dettare le regole e le aspettative di un futuro migliore è il governo della droga e il sistema delinquenziale che da esso si origina.  

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