Insegnanti e studenti

Docente/discente: un rapporto dialettico e dinamico

di Michele Marangi*

Pubblichiamo integralmente un paragrafo del volume Insegnare cinema. Lezioni di didattica multimediale di Michele Marangi – un ulteriore strumento di approfondimento sul rapporto tra insegnanti e studenti, analizzato nello speciale su La classe di Laurent Cantet – incentrato sul ruolo del docente e sulla trasformazione delle sue funzioni di fronte all’impatto delle nuove tecnologie nel sistema della comunicazione multimediale. In coda all’articolo una bibliografia estratta dal presente articolo. La necessità della ridefinizione e della trasformazione del ruolo dell'insegnante è già emersa a proposito delle conseguenze indotte dall'utilizzo di modelli ipertestuali, con Landow che suggerisce il decentramento della presenza dei docenti in una relazione più paritetica e di supporto rispetto agli studenti, con un ruolo simile a quello del tutor1. Ciò comporta una radicale revisione non solo della funzione del docente, ma anche dell'orizzonte pedagogico più ampio, investendo in pieno il merito degli obiettivi della didattica. Tale trasformazione appare ancora più necessaria per chi intende operare nell'ambito della didattica dei media, come argomenta bene Doglio. «Fino a non molto tempo fa l'insegnante era visto come il depositario di un sapere che in qualche modo doveva essere trasferito ai discenti. L'aspetto principale della comunicazione era considerato il contenuto, il programma. […] La concezione per cui qualcuno possiede il sapere e lo trasferisce ad altri presuppone poi una situazione della cultura sostanzialmente immobile, o comunque in modificazione lentissima. Quello che abbiamo davanti oggi è però uno scenario caratterizzato da imponenti e rapidissime modificazioni che toccano anche il campo dell'apprendimento; la disponibilità di uno strumento come il computer modifica potentemente il nostro modo di comunicare, di memorizzare, di apprendere; in generale i media espandono le nostre capacità cognitive in una misura fino a pochi decenni fa impensabile. […] Ma qual è l'obiettivo di chi si propone di introdurre nella didattica una riflessione sui mezzi di comunicazione? A questa domanda molte e molti insegnanti rispondono: di far nascere lo spirito critico. Dopo molte discussioni sull'argomento, ritengo che l'uso di questo concetto sia sconsigliabile; in primo luogo perché lo spirito critico è molto difficile da misurare […]; in secondo luogo perché troppe volte lo spirito critico si trasforma nell'adesione al nostro punto di vista e nel nostro giudizio di adulti sui programmi televisivi. Pur restando validissima l'esigenza di lavorare perché aumenti la capacità di dare giudizi personali e autonomi sulle cose propongo di utilizzare, per definire l'obiettivo del nostro lavoro, l'espressione rendere visibile; il nostro scopo prioritario dovrebbe essere quello di rendere visibili dei fatti comunicativi»2. Lo slittamento dalla rigidità del programma alla flessibilità delle procedure comunicative ben si accompagna ad una minore centralità del contenuto in sé, come oggetto testuale da sezionare e spiegare, a vantaggio di una maggiore attenzione verso l'atto interpretativo, che coinvolge maggiormente la soggettività del discente. La riduzione dell'autorità dogmatica del docente non significa un declassamento del ruolo, ma al contrario potrebbe aumentarne l'autorevolezza, intesa però come possibilità dell'insegnante di configurarsi in modo nuovo sul piano relazionale e comunicativo. «Ripensare la figura dell'insegnante significa collocarla nel nuovo contesto […]; in estrema sintesi si può dire che oggi più che un trasmettitore di informazione è necessario un organizzatore di flussi di comunicazione, più che di un esecutore c'è bisogno di un ricercatore, di qualcuno cioè disposto a tentare vie non conosciute della relazione e della comunicazione»3. Questo processo di trasformazione non nasce semplicemente dal mutamento delle prospettive pedagogiche o dall'autonomo sviluppo di nuovi paradigmi filosofici e culturali, ma, ancora una volta, appare inscindibile dall'impatto delle nuove tecnologie nel sistema della comunicazione in generale e della comunicazione multimediale in particolare. Ciò appare evidente perlomeno a due livelli: sia sul piano dell'elaborazione teorica e dell'affinamento di nuovi approcci pedagogici di tipo sistemico e reticolare; sia sulle possibilità pratiche di utilizzo dei nuovi strumenti multimediali e digitali. In riferimento al primo livello, utilizziamo ancora Maragliano per cogliere in che modo un serio approccio multimediale e interattivo modifichi profondamente il modello didattico tradizionale, sia nella sua veste "generalista" che in quella riferita ad una specifica disciplina di studio. «Nel presentarsi con la sua veste "generalista", la didattica offre una chiave unica per tutti i saperi sui quali esercita la sua azione: ha dei soggetti ma non un oggetto. Quando agisce come didattica di una disciplina particolare trova esclusivamente qui la sua chiave: ha un oggetto ma non dei soggetti. O dipende dalla psicologia (anche dalla filosofia, comunque da una teoria del soggetto) o dipende dalla storia, la grammatica, la fisica ecc. (cioè da teorie dell'oggetto). Far posto alla multimedialità significa mettere in discussione queste abitudini. 1) Perché i mezzi modificano incessantemente gli oggetti del sapere, li disarticolano, li ricompongono. E anche li riambientano, ponendoli in contatto tra di loro e con categorie di utenti sempre più ampie e varie. 2) Perché fanno lo stesso con i soggetti del sapere. Ne modellano gli impianti, ne sollecitano i movimenti, ne orientano le dinamiche. Danno loro una forma, anzi più forme. 3) Perché fanno interagire i movimenti degli oggetti con quelli dei soggetti. Dunque, nell'accogliere questi temi la didattica è costretta a modificare la sua immagine interna […] perché è un sapere che riguarda la trasmissione di altri saperi, e quindi riceve dentro di sé due impulsi al cambiamento: quello che riguarda il suo assetto, quello che gli viene dall'assetto della disciplina»4. I nuovi strumenti multimediali possono quindi realmente diventare mezzi di conoscenza solo se operano una sintesi tra soggetti e oggetti del sapere, creando nuove interazioni e nuove procedure nella prassi didattica. In questo senso, non ci si può però limitare a un cambiamento di tipo superficiale, presumendo di aggiornare le forme della didattica, senza intervenire sui contenuti e considerando il "sapere" alla stregua di un oggetto ben delimitato e definito, come accade spesso in certi programmi scolastici. Viceversa, proprio le nuove forme che configurano la struttura dei new media audiovisivi articolano un nuovo concetto dell'idea di sapere e di insegnamento in sé. Tale consapevolezza appare necessaria per evitare di utilizzare le tecnologie come semplice elemento di trasformazione esteriore, senza coglierne le reali caratteristiche e possibilità pedagogiche, come sottolinea Papert, che legge in modo un po' pessimistico l'attuale situazione scolastica. «Dire nuova tecnologia non equivale a dire nuovi metodi di insegnamento. Al contrario, il novanta per cento dei modi in cui vengono utilizzati i computer nelle scuole può essere descritto come un consolidamento delle vecchie concezioni di istruzione. Ci si potrebbe senz'altro spingere oltre e dire che nella maggior parte dei casi i computer vengono utilizzati nelle scuole per difendere i vecchi metodi dal pressante incedere del cambiamento radicale nel campo dell'insegnamento, che è poi il vero significato della presenza del computer»5. Per non cadere in questo paradosso, per cui i nuovi strumenti vengono utilizzati per trasmettere competenze tradizionali attraverso procedure didattiche risapute, il ruolo dell'insegnante appare ancora una volta fondamentale, come sottolineano Cremascoli e Gualdoni, due insegnanti che hanno rielaborato teoricamente la loro concreta esperienza di utilizzo del multimediale nella scuola. «I computer diventano un importante strumento nella scuola se gli insegnanti di qualsiasi disciplina organizzano il loro tempo coi ragazzi, occupandolo in minor misura con lezioni frontali e in maggior misura con attività di laboratorio. […] Se pensano che la qualità dell'apprendimento dipenda in gran parte dal fatto che gli studenti non si limitano ad ascoltare la lezione, ma devono accumulare molte minute esperienze per maturare effettivamente delle conoscenze. […] La tecnologia oggi consente di allestire per i ragazzi palestre di apprendimento, che prima del computer potevano essere solo suggerite dalle parole di qualche bravo insegnante e frequentate da qualche studente più perspicace. […] Nei laboratori di informatica si possono creare virtualmente situazioni di lavoro, tali da simulare in modo accettabile la realtà di ogni disciplina, le sue metodologie, le sue procedure. E grazie alla simulazione si può insegnare ai giovani come muoversi in modo sempre più autonomo tra quei problemi, con gli strumenti concettuali adatti e usati con rigore» 6. Il superamento della lezione frontale, una maggiore esperibilità da parte degli studenti, la possibilità di strutturare in modo più complesso e articolato i contenuti delle varie discipline affrontate. Per permettere che tali potenzialità insite nelle prassi dei new media si concretizzino in senso didattico, il docente deve quindi riuscire a riposizionare il proprio ruolo in senso più relazionale e cooperativo. Ciò appare tantopiù necessario in riferimento alla didattica della comunicazione audiovisiva, poiché spesso il discente non è affatto una tabula rasa su cui innestare nozioni o percorsi di apprendimento, ma al contrario ha già un innato livello di competenza in materia. Di fronte a questo scenario, non appare sufficiente modificare solo la prassi didattica operativa da parte dei singoli docenti, ma si dovrebbero anche rivedere alcune nozioni strutturali legate all'idea di trasmissione del sapere e agli strumenti di verifica sull'effettiva comprensione degli studenti, considerando che il multimediale obbedisce a logiche differenti anche in questi campi, come ben sintetizzano Pandolfi e Vannini. «L'uso di strumenti iper nell'insegnamento può aiutare nel raggiungimento della tanto sospirata "comprensione non nozionistica" da parte dello studente. Dato che concetti come "avere letto tutto" non hanno senso nel campo iper, si stimola lo studente alla comprensione e al collegamento più che alla memorizzazione, alla esplorazione più che alla ripetizione. Il docente non ha modo né interesse di sapere esattamente quale percorso lo studente abbia effettuato nel materiale iper, pertanto il dialogo con lo studente può incentrarsi sulla ricerca del grado di comprensione del materiale, sulla individuazione di collegamenti personali che ciascuno studente ha estratto dall'argomento di studio»7. E' importante sottolineare che le nuove competenze del docente non debbano intendersi come semplice acquisizione di abilità tecnologiche o come completo rinnovo del proprio bagaglio professionale, poiché tale prospettiva rischia di apparire frustrante, facendo sentire inadeguati tutti quegli insegnanti che non pensano, o non vogliono, riconoscersi competenze tecniche o capacità che si reputano specifiche di altre discipline. Non a caso, spesso, la didattica dei media viene demandata ad esperti esterni, che pur necessari in alcune fasi del processo pedagogico – sia come formatori degli insegnanti che come sperimentatori con la classe – non possono esaurire la complessità del percorso didattico, inteso in modo più strutturato e non episodico. L'insegnante deve mantenere il proprio rapporto privilegiato con la classe anche lavorando sui media audiovisivi, pensando però il proprio ruolo come quello di un mediatore, come suggerisce Ottaviano. «Se una prospettiva di insegnamento puramente trasmissivo già da tempo è giudicata come inadeguata, con l'avvento delle nuove tecnologie didattiche, che mettono in gioco non solo saperi diversi ma anche e soprattutto nuovi stili di apprendimento, nuove risorse e nuove modalità di conoscenza (basti pensare alla navigazione in rete), tale inadeguatezza si rivela lampante. Così, si prefigurano come necessari e indispensabili atteggiamenti educativi nuovi e nuove forme di acquisizione di tipo strategico: situazioni in cui agli insegnanti è richiesto, appunto, di mettere in discussione il proprio fare scuola e di acquisire non tanto, o non solo, nuove competenze, quanto piuttosto nuovi modelli e nuovi stili didattici. Più in dettaglio, l'insegnante si va connotando come un facilitatore dell'apprendimento, un esperto del proprio ambito disciplinare, della didattica, ma anche un operatore sociale e culturale, un tutor, un regista dell'apprendimento, ecc. I termini sono tanti e diversi, ma nell'insieme indicano tutti lo spostamento radicale del ruolo docente: da trasmettitore del sapere egli diventa un mediatore o intermediatore culturale»8. Il binomio tra nuove tecnologie – siano esse lo strumento o l'oggetto della didattica – e nuove tipologie di insegnamento e apprendimento appare indissolubile. Sarebbe perlomeno forzato spostare l'accento solo sul lato tecnologico o solo su quello didattico, a maggior ragione in un'ipotesi di didattica dell'audiovisivo che vuole essere coerente con la complessità del contesto comunicativo contemporaneo. La ricodifica del ruolo del docente appare quindi necessaria in riferimento alle caratteristiche peculiari di linguaggi che favoriscono l'interazione, la personalizzazione dei percorsi di apprendimento, la ricchezza di stimoli visivi, sonori, narrativi ed emotivi. Le mutazioni causate dai codici audiovisivi e dalle tipologie fruitive dei new media modificano radicalmente sia il modo di apprendere una materia, sia il ruolo e i compiti del docente. Lo sintetizza bene Bettetini, che pur riferendosi specificamente al cosiddetto e-learning, ovvero la didattica online, che utilizza internet, forum a tema, spazi di chat, newsgroup e permette anche un insegnamento a distanza e in differita, individua alcuni elementi chiave che qui ci sembrano perfettamente in tema rispetto alla didattica degli audiovisivi in genere. «[…] si modifica il profilo della "materia" insegnata; sul modello delle logiche dell'ipertesto, essa non è scandita in segmenti che si succedono linearmente fino a completare una struttura che è comunque progettata nella sua scansione e nella sua configurazione definitiva prima ancora di essere messa in gioco nel processo di insegnamento/apprendimento; piuttosto, il sapere (almeno nella sua dimensione "ritagliata" dell'ambito scelto) si declina in una serie di "docuversi" reciprocamente integrabili e collegabili; la possibilità di inserire link ipertestuali all'interno dei testi, indirizzati a siti web, amplia potenzialmente all'infinito le dimensioni del corpus di partenza»9. Se si intende l'ipertestualità non tanto come caratteristica tecnologica, ma come processo logico che prevede continuamente il confronto tra media e testi differenti, e che stimola itinerari conoscitivi aperti all'interazione tra testo e fruitore, si coglie che l'audiovisivo in genere ben si presta a tale approccio, oltre la staticità della singola analisi o di esercizi prefissati in cui già si prevede la risposta giusta e quella sbagliata. Il lavoro di gruppo, il confronto con più approcci interpretativi, la ricchezza dei percorsi di analisi a partire non solo dal medesimo film, ma anche dalla medesima sequenza, sono elementi che caratterizzano in profondità una didattica esplorativa, adeguata ai media audiovisivi. In un contesto simile, è evidente che anche il ruolo del docente vada incontro a profonde trasformazioni, come esplicita ancora Bettetini. «All'interno di questo sistema, all'insegnante è assegnato il ruolo non solo di soggetto erogatore di contenuti, ma anche di coordinatore. Al docente è richiesto un ingente investimento nell'allestimento dei contenuti in una forma adatta ai nuovi strumenti, nonché alle nuove prospettive didattiche; l'esposizione lineare dei contenuti sarà pertanto affiancata da risorse di altro tipo, come attività di simulazione di problemi o di esercizi di analisi, o come l'ideazione e l'allestimento di spazi di interazione dialogica in cui gli studenti partecipino a quel processo di "apprendimento collaborativo", ove è loro richiesta una parte attiva nella rielaborazione dei contenuti e nel reperimento in prima persona dei materiali da condividere con i colleghi»10. In una didattica realmente efficace di fronte alle tipologie di linguaggio tipiche dei new media, e degli audiovisivi in generale, il docente va a ridefinirsi come coordinatore, ma anche come stimolatore di approcci complementari, offrendo diversi spazi di esperibilità dell'analisi in modo diretto e partecipativo, oltre la lezione frontale canonica e l'astrazione del linguaggio in senso esclusivamente logico-letterale. Approfondiremo tra breve la riflessione sul rapporto tra innovazione tecnologica e tipologie pedagogiche, per verificarne l'impatto sulle forme e sulle logiche della didattica. Prima però, dopo aver colto la necessità di una trasformazione del ruolo del docente, esaminiamo brevemente in che modo anche il ruolo del discente vada radicalmente rivisto in riferimento alle trasformazioni indotte dai new media, come già si evince dalla citazione precedente. La prima considerazione a proposito delle competenze innate degli studenti in riferimento alle prassi comunicative dei new media, riguarda ovviamente il livello sempre maggiore di penetrazione e di utilizzo degli stessi in fasce sempre più ampie della popolazione, si tratti di videogiochi, trasmissioni di videoclip, dvd, cd-rom e così via, con una sempre maggiore naturalezza dovuta all'ampia diffusione dei personal computer e al contatto, spesso quotidiano, con le logiche estetiche e prammatiche digitali. Di fronte a questa esposizione mediatica, paradossalmente, la scuola rischia di apparire come un'isola di arretratezza, come sottolinea Maragliano. «Quanto più si diffonde la pratica dei computer nelle sedi domestiche tanto più diventa necessario dare ad essa continuità e sviluppo nelle sedi istituzionali della formazione. Per intenderci, come potrebbe un bambino figlio della multimedialità, abituato a giocare, scrivere, disegnare, talvolta a comunicare con il computer di casa, riconoscersi nelle attività di una scuola che prescindessero dall'uso di quello che ormai per lui è compagno, interlocutore, finestra sul mondo, veicolo per un'infinità di viaggi? Come potrebbe chi è incaricato di formarlo prescindere dalla forma che l'esperienza e la conoscenza stanno sviluppando per lui, per effetto della familiarità acquisita con il cyberspazio? Come potrebbe dialogare con il mondo di oggi (ma anche con quello di ieri) una scuola che non sapesse, che non volesse utilizzare ciò che la tecnologia offre allo sviluppo della conoscenza […]?»11. Sulla stessa linea si pongono anche Cremascoli e Gualdoni, che però sottolineano non solo il ritardo della scuola in questo campo, ma evidenziano anche la tendenza ad arroccarsi su posizioni critiche nei confronti dei media in genere, a testimonianza che l'atteggiamento diffidente riscontrato lungo diversi decenni nel corso del primo capitolo, a tutt'oggi non appare completamente superato. «La multimedialità è anche un linguaggio familiare ai ragazzi di oggi, che coi media crescono e convivono. Perché rifiutare un codice di comunicazione così efficace, perché ostinarsi a non parlare la lingua degli studenti, che ormai da giovanissimi si cimentano con tastiera e consolle, se non altro per misurarsi con i videogiochi? La scuola è da sempre molto critica con i media, che indica spesso come responsabili dell'afasia, dell'approssimazione, dell'appiattimento acritico proprio della nostra epoca; ed è un peccato, perché, relegando i media all'interno di ruoli potenzialmente diseducativi, produce un allontanamento dei ragazzi dalla scuola, che tende ad essere vissuta come dimensione "altra", rispetto a quella della vita e degli interessi quotidiani»12. Il rischio di una scuola chiusa, fortezza del sapere "alto" che non deve essere espugnato da quello "basso" della quotidianità contemporanea, è affrontato anche da Ortoleva, che vi legge un atteggiamento svalutativo proprio verso le competenze che viceversa i ragazzi tendono ad apprendere fuori dalla scuola, in particolare nel campo delle immagini audiovisive. «Una delle tendenze più diffuse della didattica dei media è infatti quella che svaluta le competenze spettatoriali dei ragazzi (esperienze vissute in genere al di fuori dell'ambito scolastico) in favore di modalità di lettura che dovrebbero essere tutte impartite dalla scuola. Il rischio è in questo caso che le regole e i modelli interpretativi appresi nell'ambito scolastico risultino del tutto estranei all'esperienza concreta che l'allievo stesso vive tutti i giorni, e gli appaiano inapplicabili a quei testi audiovisivi che sono parte essenziale del suo sapere»13. Ortoleva approfondisce poi il discorso proprio nell'ambito della didattica delle immagini, evidenziando come in questo caso specifico l'idea tradizionale dell'insegnante competente che insegna al discente incompetente sia ancora più erronea e ingiustificata di fronte all'attuale panorama comunicativo. «Nel caso dell'insegnamento relativo ai codici di lettura delle immagini cinematografiche non si riscontra assolutamente quella dissimmetria radicale tra docente e discente che fonda le tecniche di insegnamento del codice della scrittura: mentre in questo caso un insegnante che "sa leggere" trasmette gradualmente, e in modo essenziale, l'alfabeto a un ragazzo che "non sa leggere" (e proprio l'incompetenza del discente permette di programmare con precisione la sequenza didattica) in quello, il codice, o meglio i codici, del linguaggio filmico vanno trasmessi a un ragazzo che con quel linguaggio è già familiarizzato fin dall'infanzia, e che si è quindi formato proprie competenze interpretative, certo fragili, a volte confuse, ma non necessariamente erronee, e comunque preziose»14. Il tradizionale deficit scolastico di fronte ai media, si riscontra già nella tendenziale incapacità a confrontarsi con le immagini, siano esse fisse o in movimento. E' sufficiente analizzare alcuni manuali scolastici che ospitano una sezione dedicata all'audiovisivo per rendersene conto. Anche in Francia, ove la prassi didattica sulle immagini ha ormai una sua tradizione, il deficit tra i codici visivi e quelli verbali/letterari è ancora molto ampio, come testimonia Demougin, autrice di uno studio sull'utilizzo delle immagini cinematografiche nei manuali scolastici. «L'immagine filmica sembra essere utilizzata solo in modo formalista e serve, di fatto, come facilitazione didattica per la padronanza del testo scritto (verbale) o letterario. […] L'immagine, sia fissa che in movimento, non è quasi mai considerata come strumento autonomo di comunicazione (in una prospettiva comunicazionale e non culturale) e l'esperienza estetica è negletta. Nessun manuale propone un approccio storico e culturale dell'immagine […]. Non compare alcuna storia delle rappresentazioni. […] La specificità didattica dell'immagine filmica non è considerata, ma si trova un'inflazione di esercizi basati su ciò che si potrebbe definire la "forma letteraria cinematografica", ovvero la sceneggiatura. Si pensa, a torto, che la scrittura di una sceneggiatura sia prossima alla stesura di un romanzo, che si tratti di un esercizio letterario che presuppone la padronanza della scrittura. […] L'approccio semiologico all'immagine filmica è quasi inesistente. […] La nozione di montaggio è di fatto occultata a favore del concetto di discorso filmico. E' sorprendente che nessun manuale proponga una griglia di analisi dell'inquadratura cinematografica. […] In compenso sono privilegiate due tendenze che sclerotizzano l'oggetto filmico: l'approccio tematico, che raggruppa in modo spesso forzato dei titoli attorno a temi generici, senza porsi alcuna problematica sul piano dello stile (per cui Arrivederci ragazzi di Malle è nel settore "ricordi d'infanzia" e La morte corre sul fiume di Laughton figura nella categoria "brividi") e l'approccio tecnicista, che mira a promuovere un "lessico cinematografico" come obiettivo fine a se stesso»15. L'inadeguatezza di fronte all'immagine visiva, il tentativo di ricondurla comunque nei terreni didatticamente più familiari del discorso letterario, del contenuto tematico, o della mera superficie tecnica – non stilistica, si badi, ma proprio tecnica – confermano che le difficoltà della scuola di fronte all'immagine sono ancora molto attuali e investono non solo la prassi didattica in senso stretto, ma anche la dotazione conoscitiva e trasmissiva del sapere rappresentata dai manuali scolastici. E' interessante notare che, a fronte di tale inadeguatezza, si risponda spesso con l'elaborazione di repertori "prêt-à-porter", con filmografie tematiche sempre più fantasiose. Anche in Italia si sta diffondendo la diffusione di manuali tematici o comunque di appendici filmografiche che prescrivono i film adatti per affrontare un certo tema in una certa fascia di studi. Tralasciando il fatto che, nella maggior parte dei casi, si tratta di un uso del cinema puramente illustrativo, che reiterano la prassi dei cineforum di circa mezzo secolo fa, appare emblematica l'idea di un film "adatto" o meno ad un tema, senza considerare la stessa sequenza può dare atto ad analisi completamente differenti a seconda dei presupposti dell'analisi, degli obiettivi che ci si pone e del contesto in cui si opera. In questo stato di arretratezza "istituzionale", la scuola fa i conti con generazioni di allievi che esperiscono e padroneggiano repertori audiovisivi sempre più ampi e che utilizzano in prima persona le immagini in movimento o fisse, attraverso gli schermi televisivi, dei computer, dei cellulari ormai. La didattica dei linguaggi audiovisivi deve dunque confrontarsi con un paradosso: di fronte a generazioni di studenti sempre più abituate ad utilizzare in prima persona i media in ambiti non scolastici, con finalità tendenzialmente ludiche e fortemente coinvolgenti, la scuola rischia di imboccare due vicoli ciechi. In modo brutale, può scegliere la rimozione, ignorare tale diffusione e non prevedere attività strutturate di analisi dei media, al massimo tollerati come supporti strumentali, illustrativi, in percorsi didattici fondati su altre logiche. In modo apparentemente più consapevole, ma che nei fatti si rivela simile all'opzione precedente, può accettare di occuparsi dei media, ma piegandone le caratteristiche di base alle proprie logiche didattiche e comunicative, senza cogliere che la reale sfida posta dai media all'attuale universo scolastico non riguarda tanto la tipizzazione di una nuova disciplina curricolare, ma soprattutto la capacità di interconnettersi problematicamente e attivamente con la complessità comunicativa contemporanea, fornendo nuovi strumenti di decodifica e opzioni di utilizzo a chi già vive immerso in tale flusso audiovisivo, come sintetizza bene Valmachino. «La maggioranza dei bambini arriva a scuola già pienamente "ambientata" nel mondo mediatico, di cui "conosce molto". Il media educator non è una persona che deve insegnare l'utilizzo dei media come si insegna a leggere e a scrivere. Piuttosto egli è chiamato a "mediare i media", nel senso di svelarne i trucchi, stimolare il senso critico, smaliziare l'utilizzo, piegare la fruizione in maniera creativa, rendere i mezzi strumenti e ambienti di conoscenza. L'insegnante/media educator deve lavorare su conoscenze pregresse, non è "colui che sa" di fronte a una massa che ignora […]. Dei media si fa esperienza, non si imparano in teoria; la percezione, la sensazione, l'emotività, la dimensione corporea oltre che intellettuale sono, nella fruizione dei mezzi di comunicazione, elementi determinanti»16. La familiarità con i linguaggi audiovisivi fin dall'infanzia, a partire quindi da un'età prescolare, è ripresa anche da Morcellini, che in un suo pamphlet polemico contro la tendenziale criminalizzazione degli effetti della televisione in particolare, e degli audiovisivi in generale, sugli spettatori più piccoli, crea un interessante collegamento tra i processi di apprendimento dell'età evolutiva e i processi di significazione dei supporti multimediali e interattivi. «E' senz'altro sostenibile l'affermazione che il bambino socializzato dalla tv impara a comportarsi come un bricoleur di messaggi e significati che ha tratto dalle sequenze televisive per lui più significative e che mette insieme secondo una logica provvisoria e casuale. Ma la logica del bricoleur, che viene rafforzata dalla frequentazione televisiva, è anche la logica attraverso la quale i bambini – come ha dimostrato Piaget – elaborano concetti astratti come quello di quantità; ma soprattutto è la logica di movimento della comunicazione multimediale interattiva»17. Non interessa, in questa sede, spingersi in valutazioni di merito sui rapporti tra infanzia e televisione, ma un dato appare oggi inconfutabile: fin dalle prime classi delle elementari, e con frequenza sempre maggiore a mano a mano che il percorso di studi si articola, lo studente contemporaneo sperimenta direttamente e autonomamente nuove competenze in rapporto alla comunicazione audiovisiva, spesso a prescindere da un effettivo lavoro svolto nelle sedi scolastiche. Ciò nonostante, come denuncia ancora Maragliano, «l'utente dei media non ha cittadinanza scolastica, e tantomeno l'hanno la sua enciclopedia, la sua esperienza e il suo bagaglio di competenze tecniche: se ci si accorge della loro presenza, sono vissute come insidia, come ostacolo»18. Appare emblematico che uno dei principali elementi di lontananza tra universo scolastico e mediatico sia rintracciabile proprio nelle diverse modalità di "apprendimento" che vengono messe in atto: da un lato un'estrema formalizzazione e schematicità, dall'altra una propensione al coinvolgimento emotivo e al divertimento. Come abbiamo già visto nel capitolo precedente, la ludicità appare uno dei tratti caratterizzanti del cinema contemporaneo, ma anche dei new media in genere, che vengono utilizzati spesso dai ragazzi come fossero dei giochi, anche quando non si tratta di videogame. Ma la scuola sembra avere ancora molte remore di fronte alla possibilità di imparare divertendosi. «Una delle più importanti caratteristiche dell'universo dei media (non è un caso che così frequentemente la si rimuova, in sede scolastica) consiste nella drastica apertura che essa opera nei confronti della dimensione ludica: il bambino e il ragazzo giocano con i mezzi, grazie alla complicità, alla facilità, alla piacevolezza degli strumenti di accesso alle macchine, e in questa loro attività recuperano sulla dimensione orizzontale (l'analogia, il confronto, il mettere tutto in rapporto con tutto) quel che eventualmente perdono sulla dimensione verticale (l'approfondimento, l'isolamento dell'unità di conoscenza). In questo senso è da recuperare e convertire a un uso pedagogico una filosofia del gioco […] Chi sa giocare, e i giovani e i bambini sanno farlo (in particolare sfruttando la componente ludica sempre presente nei media), non esce dal mondo, ma anzi fa entrare il mondo nei suoi spazi mentali e operativi, e quindi lo pone in discussione: non restringe ma allarga le dimensioni della realtà»19. Per evitare un ulteriore scollamento tra la quotidianità della realtà concreta esperita dai ragazzi e la realtà virtuale di una scuola ancorata a programmi e modelli di insegnamento appartenenti ad un'altra era tecnologica e comunicativa, appare quindi necessario sviluppare una prassi didattica che tenga conto di tutti e tre gli elementi che abbiamo finora considerato: 1) l'arretratezza della scuola attuale di fronte alle possibilità e alle prospettive offerte dai new media interattivi e ipermediali; 2) la necessità di riconfigurare il ruolo dell'insegnante in una prospettiva di decentramento del sapere; 3) l'evidenza di una sempre maggiore diffusione delle abilità e competenze degli studenti in riferimento ai linguaggi e alle narrazioni digitali. Tenuto conto di tali esigenze, verifichiamo quali caratteristiche dovrebbero strutturare nuove tipologie didattiche che possano essere aggiornate e coerenti con la complessità e le innovazioni dell'attuale contesto mediatico.  

*tratto da Michele Marangi, Insegnare cinema. Lezioni di didattica multimediale, UTET, Torino 2004, pp. 213 - 228

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NOTE
1   Cfr. cap. 3, nota 88.
2   M. DOGLIO, Media e scuola. Insegnare nell'epoca della comunicazione, Lupetti, Milano 2000, pp. 63-65. I corsivi sono dell'autore
3   Ibid., p. 67.
4   R. MARAGLIANO, Tre ipertesti su multimedialità e formazione, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 65-66.
5   S. PAPERT, E il bambino inventò il videogame, in Eroi mediali, «Media Philosophy», 2, inverno 1998, p. 109.
6   F. CREMASCOLI, M. GUALDONI, La lavagna elettronica. Guida all'insegnamento multimediale, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. V-VI.
7   PANDOLFI, VANNINI, Che cos'è un ipertesto, cit., p. 76.
8   OTTAVIANO, Media, scuola e società. Insegnare nell'età della comunicazione, cit., p. 151. I corsivi sono dell'autrice.
9   G. BETTETINI, Un reticolo disciplinare, in G. BETTETINI, S. GARASSINI, B. GASPARINI, N. VITTADINI, I nuovi strumenti del comunicare, Bompiani, Milano 2001, p. 274.
10  Ibid., pp. 274-275.
11  R. MARAGLIANO, Nuovo manuale di didattica multimediale, Laterza, Roma-Bari 19992, p. IX.
12  CREMASCOLI, GUALDONI, La lavagna elettronica. Guida all'insegnamento multimediale, cit., p. VIII.
13  P. ORTOLEVA, Cinema e storia. Scene dal passato, Loescher, Torino 1991, p. 182.
14  Ibidem.
15  F. DEMOUGIN, Cinéma, école et manuels scolaires: quelles réalités et quels enjeux?, in D. NOURRISSON, P. JEUNET (a cura di), Cinéma-École: aller-retour, Publications de l'Université de Saint-Étienne, Saint-Étienne 2001, pp. 203-205.
16  C. VALMACHINO, Il media educator nella scuola italiana, in C. OTTAVIANO (a cura di), Mediare i media. Ruolo e competenze del media educator, Franco Angeli, Milano 2001, p. 70.
17  M. MORCELLINI, La tv fa bene ai bambini, Meltemi, Roma 1999, p. 49.
18  MARAGLIANO, Manuale di didattica multimediale, cit., p. 85.
19  Ibid., pp. 90-91.

 Si ringrazia l'autore per il permesso di pubblicazione del suo testo.  

 

B I B L I O G R A F I A

  • BETTETINI G., GARASSINI S., GASPARINI B., VITTADINI N., I nuovi strumenti del comunicare, Bompiani, Milano 2001
  • CREMASCOLI F., GUALDONI M., La lavagna elettronica. Guida all'insegnamento multimediale, Laterza, Roma-Bari 2000
  • DOGLIO M., Media e scuola. Insegnare nell'epoca della comunicazione, Lupetti, Milano 2000
  • LANDOW G. P., L’ipertesto. Tecnologie digitali e critica letteraria, Bruno Mondadori, Milano 1998
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