Regole minime per la tutela della maternità e della paternità

Risoluzione del Parlamento europeo

Il 20 ottobre 2010 il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria, approva, in prima lettura, la proposta di direttiva in oggetto* che – come spiega la relazione che l’accompagna firmata da Edite Estrela membro della Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere – è volta ad innovare il testo della direttiva 92/85/CEE, e ad introdurre regole minime atte ad offrire una tutela della maternità e della paternità rafforzata a livello europeo.

Chiarito che quelle contenute nella proposta di direttiva in commento sono “regole minime di tutela” perché ai singoli Stati permane sempre la facoltà di introdurre, o mantenere, regimi di congedo più favorevoli alle lavoratrici, giova anche osservare che il Parlamento dimostra di tenere molto alle modifiche che propone perché chiede alla Commissione di inviargli nuovamente la proposta qualora quest’ultima “intenda modificarla sostanzialmente o sostituirla con un nuovo testo”.

Il fondamento giuridico di questa proposta di direttiva si può rinvenire, a ben vedere, già nella regola  che l'uguaglianza tra uomini e donne è un principio fondamentale dell'Unione europea e, più in particolare, negli articoli 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali che vietano ogni discriminazione fondata sul sesso e prescrivono che sia garantita la parità tra gli uomini e le donne in tutti i campi, anche per quanto riguarda il conseguimento di un sano equilibrio tra vita professionale e vita privata. 

Venendo più specificatamente all’analisi delle novità che il Parlamento chiede di introdurre con questa proposta deve innanzitutto essere osservato che alcune di queste sono già presenti nel nostro ordinamento giuridico. Così è per quella contemplata dall’articolo 5 ter dove si prevede il divieto di licenziamento delle lavoratrici, per il periodo che va dall’inizio della gravidanza ad almeno sei mesi dopo il termine del congedo di maternità, (il legislatore italiano già vieta il licenziamento fino a che il bambino non abbia compiuto un anno di vita); e così è per il diritto della lavoratrice madre a riprendere il proprio lavoro o ad essere reintegrata in un posto di lavoro equivalente alla fine del periodo di congedo per maternità definito ai sensi dell’articolo 11, punto 2, lettera c) come "un posto identico a quello precedente, in termini di retribuzione e di mansioni, ovvero, qualora ciò non sia possibile, un posto analogo, corrispondente alle qualifiche e alla retribuzione della lavoratrice".

Nondimeno, nella proposta in oggetto ci sono anche previsioni innovative per la legislazione italiana come quelle volte a consentire ai lavoratori – siano essi di sesso maschile o femminile - di conciliare meglio la loro vita professionale e familiare e, quindi, in ultima analisi, di porre anche le basi per un'autentica parità di genere. A questo proposito, infatti, il Parlamento chiede agli Stati membri, che non hanno ancora introdotto un congedo di paternità retribuito e non trasferibile, di farlo per promuovere la partecipazione paritaria di entrambi i genitori all’esercizio dei diritti e delle responsabilità familiari. Secondo il Parlamento, infatti, è essenziale che gli uomini abbiano diritto a un congedo di paternità retribuito, concesso secondo modalità equivalenti a quelle del congedo di maternità, tranne per quanto riguarda la durata. E, sulla base di questa convinzione che, peraltro, si estende anche alle coppie non sposate, il Parlamento propone di introdurre l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere ai lavoratori di sesso maschile, nell'ambito dei rispettivi ordinamenti giuridici, un diritto individuale e non trasferibile al congedo di paternità che non faccia perdere loro nessun diritto inerente al lavoro. In concreto la proposta è di far beneficare i padri di un autonomo periodo di assenza, di almeno due settimane, da utilizzare nel periodo in cui opera il congedo obbligatorio per maternità, il cui periodo minimo, peraltro, secondo il Parlamento dovrebbe essere aumentato da quattordici settimane (previste dalla vecchia legislazione europea) a venti settimane. In questo senso la legislazione italiana è all’avanguardia perché prevede già un periodo di cinque mesi di astensione obbligatoria dal lavoro per le lavoratrici gestanti, puerpere, o in periodo di allattamento. Tuttavia altrettanto non può essere detto per il trattamento economico da applicare alle lavoratrici in questo periodo: il Parlamento propone di portarlo al 100% mentre, attualmente, la legge italiana prevede che sia pari solo all’80% dell’ultima retribuzione (con l’integrazione al 90 o al 100% che alcuni contratti collettivi pongono a carico del datore di lavoro).

La proposta del Parlamento in commento invita, altresì, gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie affinché le lavoratrici possano scegliere liberamente quando fruire del periodo non obbligatorio del congedo di maternità, se prima o dopo il parto; e ciò, fatte comunque salve le disposizioni o prassi nazionali esistenti che fissano un numero massimo di settimane prima del parto.

Una tutela speciale viene poi proposta per l'assistenza di figli con disabilità che, come noto, rappresenta un’autentica sfida per le lavoratrici madri alle quali dovrebbero essere riconosciute tutele più ampie dagli Stati; infatti, la maggiore vulnerabilità delle lavoratrici che hanno figli con disabilità esige che venga concesso loro un congedo di maternità supplementare, la cui durata minima dovrebbe essere fissata nella direttiva con un periodo totale di congedo di maternità e prolungato di almeno otto settimane dopo il parto in caso di neonato affetto da disabilità.

Infine il Parlamento precisa che gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie per assicurare che le disposizioni della direttiva in materia di congedo di maternità e di congedo di paternità si applichino anche in caso di adozione di bambini di età inferiore ai dodici mesi al fine di aiutare i lavoratori a conciliare la loro vita professionale e familiare e potendosi godere degli stessi diritti di un genitore naturale. Gli Stati membri sono inoltre chiamati ad incoraggiare i datori di lavoro a prendere tutte le misure efficaci, anche attraverso accordi o contratti collettivi, per evitare qualunque discriminazione nei confronti delle donne per motivi di gravidanza, maternità o congedo di adozione. Tessa Onida   * Risoluzione legislativa del 20 ottobre 2010, P7_TA-PROV(2010)0373 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 92/85/CEE del Consiglio concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento    

Altri commenti e descrizioni di norme sono disponibili nelle Rassegne giuridiche

 

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