Ricongiungimento familiare

 Sentenza della Corte di Cassazione sul favoreggiamento all'ingresso di un minore nello Stato  Con la sentenza n. 44048 del 26 novembre 2008, la Corte di cassazione ha riconosciuto l’esistenza della causa di giustificazione dello stato di necessità (art. 54 codice penale, comma 1 «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona

, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato all’offesa.») a favore di un cittadino macedone che era stato accusato dal Pubblico ministero presso il Tribunale di Trieste del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina (art. 12, comma 1, del DLGS n. 286/1998) perché, avendo ottenuto dalle autorità italiane il permesso di condurre con sé in Italia solo la moglie e il figlio, aveva tenuto una condotta in evidente violazione delle norme sul ricongiungimento portando con sé anche la figlia minorenne per la quale non aveva ottenuto il permesso per l’ingresso nel territorio dello Stato. La Suprema corte – cui il Pubblico ministero è ricorso contro la sentenza di primo grado che già aveva riconosciuto all’imputato la scriminante prevista dall’art. 54 cp – ha affermato che per escludere lo stato di necessità ex art. 54 cp non sono sufficienti «considerazioni meramente congetturali afferenti improbabili o evanescenti scelte alternative» come quelle indicate dal Pubblico ministero (per esempio lasciare l’Italia per cogliere le opportunità offerte dall’espansione dell’economia macedone o cercare un nuovo alloggio nel nostro Paese al fine di ottenere un esito positivo a una nuova domanda di ricongiungimento per la figlia). Specificatamente i giudici della Corte di cassazione evidenziano che di fronte al grave danno che si sarebbe certamente verificato alla psiche della minore se la stessa fosse stata vittima di una traumatica separazione dai genitori (circostanza peraltro non contestata nemmeno dal ricorrente), risulta pienamente giustificata la condotta del padre che aveva portato con sé anche la figlia dodicenne facendole eludere i controlli alla frontiera, non avendo ottenuto per lei l’autorizzazione all’ingresso nel territorio italiano. Tale condotta, infatti, appare – al sintetico ma approfondito esame condotto dalla Corte – non soltanto volta a salvare la minore da un grave e attuale danno alla persona, ma anche dettata dall’impossibilità di evitarlo in altro modo.   Tessa Onida  

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