Responsabilità per i danni

Sentenza della Corte di Cassazione sulla responsabilità civile per danno causato da un minorenne  Con la sentenza n. 9556 del 22 aprile 2009, la III Sezione civile della Suprema corte ha avuto occasione di tornare sul tema della responsabilità civile dei genitori per il danno causato da un’illecita condotta dei figli minorenni, specificando il fondamento della previsione contenuta nell’articolo 2048 del codice civile («il padre e la madre o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o dalle persone soggette alla tutela che abitano con essi»)

e il significato della prova liberatoria da detta responsabilità che lo stesso articolo prevede ( «le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto»). Alla base del ricorso presentato alla Corte di cassazione c’è la sentenza di condanna, pronunciata dal giudice di primo grado di Potenza e confermata dalla Corte d’appello di quella città, a carico dei genitori di un ragazzo, minorenne all’epoca dei fatti, per la morte di un altro ragazzo avvenuta in un incidente stradale. Dalla ricostruzione della dinamica dell’incidente, compiuta nei precedenti gradi di giudizio, era emersa la responsabilità del figlio dei genitori ritenuti civilmente responsabili ex art. 2048 cc per il decesso del ragazzo coinvolto nel sinistro in quanto il loro figlio, con la sua condotta, si era reso responsabile di due palesi violazioni del codice della strada: trasporto di un’altra persona con un mezzo che non lo permetteva (Vespa 50) e non rispetto dell’obbligo di indossare il casco. Al termine dell’analisi delle ragioni addotte dalle parti, la Suprema corte – confermando un orientamento ormai consolidato – ha respinto il ricorso proposto dai genitori ritenuti responsabili per il fatto illecito commesso dal figlio fondamentalmente sulla base di due considerazioni. La prima è che ai fini dell’applicazione dell’art 2048 cc non rileva il fatto che il figlio all’epoca dei fatti fosse quasi diciottenne perché la norma si riferisce ai figli «comunque minorenni» (e quindi anche quasi diciottenni) verso i quali vi sono gli inderogabili doveri educativi dettati dall’art. 147 cc finalizzati, come specifica la Corte, a «realizzare una personalità equilibrata consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria e dell’altrui persona da ogni accadimento consapevole illecito». La seconda considerazione è che per fornire la prova liberatoria prevista dall’art. 2048 cc, cioè di non aver potuto impedire il fatto, non è sufficiente dimostrare di non essere censurabili sotto il profilo dell’obbligo di vigilare (culpa in vigilando), prova che in relazione a un soggetto quasi diciottenne è relativamente facile offrire in quanto a quell’età non è pensabile una vigilanza paragonabile a quella che sarebbe naturale se si trattasse di un bambino. Ma, per poter essere sollevati dalla responsabilità per fatto illecito del figlio, è necessario offrire anche la prova di aver congruamente educato il minore ai sensi dell’art. 147 cc (culpa in educando). Infatti, in questo caso, la sentenza di condanna a carico dei genitori del minore viene confermata non tanto perché essi sono ritenuti colpevoli di non aver impedito il verificarsi del fatto illecito in modo diretto, cioè vigilando sul figlio perché il fatto non si verifichi, quanto perché gli stessi non hanno impedito il fatto illecito in modo indiretto, cioè mediante un’educazione che insegni al figlio a non tenere condotte illecite e pericolose anche quando non è controllato direttamente dai genitori. Pertanto la giurisprudenza, per poter escludere la responsabilità per il fatto illecito del figlio richiede ai genitori di dimostrare (e la Corte sottolinea che si tratta di due prove diverse che non devono essere confuse come, invece, fanno i ricorrenti) sia di non essere censurabili sotto il profilo dell’obbligo di vigilare, sia di non aver mancato sotto il profilo dell’educazione data al figlio e, cioè, di avere impartito insegnamenti tali da risultare sufficienti a condurre il minore a una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini e alla sua personalità in modo da prevenire la commissione dell’illecito.   Tessa Onida  

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