Linee guida minori fuori famiglia

Risoluzione delle Nazioni unite Il 18 dicembre 2009 l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha adottato la risoluzione (A/RES/64/142, pubblicata il 24 febbraio 2010) contenente le attese linee guida relative all’accoglienza dei minori fuori famiglia.

In generale l’Assemblea richiama, riafferma e raccomanda all’attenzione e applicazione da parte degli Stati la Dichiarazione universale dei diritti umani e soprattutto la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Quindi, trattando del suo specifico oggetto passa a far chiarezza (anche terminologica), disponendo le sue indicazioni secondo l’ordine logico che segue. Innanzi tutto la risoluzione prende in considerazione il rapporto del minore con la sua famiglia, rapporto da preservare e tutelare al massimo del possibile, impegnando gli Stati a provvedere con ogni mezzo – finanziario, psicologico, organizzativo – sia per evitare che il fanciullo ne debba uscire e sia per agevolarne il rientro qualora la separazione sia già avvenuta. La successiva opzione raccomandata dall’Assemblea è quella di una famiglia adottiva (o kafalah per il diritto islamico). In tutti i casi, comunque, si richiede il coinvolgimento del minore nelle decisioni che lo riguardano e la tutela della sua dignità, uguaglianza e riservatezza implicanti eventualmente la segretezza circa il suo stato fisico e mentale e circa il suo ambiente d’origine sia familiare che comunitario. Passando poi a considerare l’ipotesi in cui non risulti percorribile la via principale del mantenimento della famiglia naturale né quella dell’assegnazione a una vera famiglia adottiva, la risoluzione comincia col dettare alcuni criteri generali: che il fanciullo sia tenuto in luoghi vicini alla sua residenza abituale, per ridurre al minimo la sensazione di sradicamento; che si ponga attenzione a che il minore non sia oggetto di abuso o sfruttamento; che l’allontanamento si prospetti temporaneo e si prepari il suo rientro in famiglia; che comunque il dato della povertà familiare non sia sufficiente da solo a giustificare l’allontanamento del bambino; che possibilmente i fratelli non vengano separati; che sia sempre previsto un adulto esterno responsabile per il minore; che motivi d’ordine religioso, politico, economico non siano mai il motivo principale dell’assegnazione di un minore fuori famiglia; che sia preferita, ove possibile, l’assegnazione a un ambiente familiare, in special modo per i piccoli sotto ai tre anni. Ovviamente tutti i criteri suddetti ammettono eccezioni se ciò è nell’interesse del minore. Così giunti al punto specifico dell’affidamento, la risoluzione assembleare passa a distinguere tra varie ipotesi, tutte comunque ugualmente positive e raccomandabili e considerando solo come ultima chance l’assegnazione cosiddetta “residenziale”. La prima ipotesi è l’affidamento “informale”, quando del bambino si occupano praticamente – senza un’assegnazione pubblica formale – i parenti o stretti amici di famiglia. La seconda ipotesi è l’affidamento “formale”, assegnato, regolamentato e controllato da una pubblica autorità (giudiziale o amministrativa). È nettamente preferita la scelta – sia formale che informale – della famiglia parentale, alla quale gli Stati sono invitati a fornire ogni possibile supporto, anche con l’ausilio di tecniche suggerite dalla stessa risoluzione. Quanto all’affidamento formale, si raccomanda di predisporre e mantenere aggiornato un elenco delle persone disponibili, di controllarlo periodicamente, di utilizzarlo soprattutto quando l’affidamento è prevedibile come temporaneo sia per il ritorno del bambino alla famiglia d’origine e sia per il suo passaggio a una vera famiglia adottiva. È raccomandato che ogni eventuale cambio di famiglia, compreso il rientro in quella d’origine o il passaggio a una adottiva, sia sempre aiutato e controllato periodicamente da personale pubblico, oppure noto e bene accetto al minore. In particolare è da escludere l’uso di mezzi di correzione violenti e torturanti. Ed è da considerare tale – e perciò da escludere – la punizione consistente nel negare al fanciullo la visita e il rapporto coi genitori. Dal punto di vista dei controlli e dei rimedi – aspetto fondamentale – l’Assemblea raccomanda che gli Stati organizzino una possibilità di accesso all’autorità giudiziaria – o comunque indipendente – che sia facilmente raggiungibile e utilizzabile da un bambino.  

Tessa Onida  

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