Moolaadè

di Ousmane Sembene

(Senegal/Francia, 2004) 

Sinossi

Collé Ardo è la seconda moglie di Ciré Bathily e mentre suo marito è via per lavoro riceve la visita di quattro bambine, sfuggite alle salindana, le sacerdotesse preposte all’antico rito di purificazione del corpo femminile mediante infibulazione. Collé, che sette anni prima ha rifiutato di far eseguire il rito su sua figlia Amasatou, decide di prendere le bambine sotto la sua protezione, facendo ricadere su di loro l’influsso del moolaadé, l’antico spirito del diritto di asilo, che rende impossibile a chiunque portarle via dalla sua casa. Le salindana però non accettano questa sfida e si rivolgono pertanto al capo del villaggio, Dougoutigui, e al kémo, il consiglio dei dignitari, affinché trovino una soluzione al problema. Considerando che la legge rende impossibile a una donna disobbedire a un ordine impartitole dal marito, il consesso delibera che Ciré, al ritorno dal suo viaggio, imponga a Collé di pronunciare la formula rituale che annulla il potere del moolaadé. Amath Bathily, fratello di Ciré, si incarica di far sì che l’uomo porti a termine il compito e arrivi infine anche a ripudiare la moglie. La faccenda ha un’ulteriore ripercussione sulla vita della protagonista: Amsatou era stata infatti promessa in sposa a Ibrahim Doucouré, il figlio di Dougoutigui, che però riceve dal padre l’ordine di non sposare una bilakoro, cioè una donna non “purificata”. La situazione sembra precipitare quando Collé viene pubblicamente frustata dal marito affinché pronunci la formula e il venditore ambulante Mercenario, che la difende, viene ucciso dagli abitanti del villaggio. Ma il coraggio della donna, che non ha ceduto alle violenze degli uomini, le attirano la simpatia e il consenso di tutte le altre mogli e madri del villaggio. Saranno loro, unite, a dichiarare di non voler mai più sottoporre ogni nuova nata al rito dell’infibulazione: un gesto di ribellione che si oppone fermamente al dominio degli uomini e che trova d’accordo anche Ciré e Ibrahim.

Introduzione al  Film

La simbologia del potere

Alfiere di un cinema rigoroso e di forte impegno sociale, capace di cantare i valori dell’unità fra i popoli e gli uomini (africani e non solo), Ousmane Sembene con questo suo ultimo film prima della scomparsa (avvenuta nel 2007 a 84 anni) affronta il delicato tema dell’infibulazione femminile, ovvero di quella pratica gravemente lesiva (fisicamente e psicologicamente) dell’identità femminile ancora in uso nell’Africa sub-sahariana, nel sud della penisola araba e nel sud-est asiatico. Un rituale che non ha una reale base religiosa, ma appartiene solo alla cultura tribale, in base al quale le bambine vengono sottoposte a una dolorosa (e spesso anche letale) “purificazione” mediante escissione, ovvero l’asportazione di parte dei genitali. Sembene affronta il tema dalla corretta prospettiva culturale e critica, mettendo in evidenza tanto le dinamiche di casta quanto la sottomissione della figura femminile su cui questa terribile pratica si fonda. Nel suo film, Sembene sottolinea questo duplice e corrispondente aspetto della questione proprio nella sequenza in cui mostra in montaggio parallelo il brutale rapporto sessuale fra Ciré, appena tornato a casa, e sua moglie, e il doloroso rituale dell’escissione praticato dalle salindana sulle bambine. Un parallelo che serve a stabilire la natura coercitiva di una società maschile che considera la donna in una perenne posizione di subalternità rispetto al volere dell’uomo, ma anche ad evocare il privilegio di casta delle salindana, le uniche donne ammesse al consesso degli uomini proprio perché hanno il potere di “purificare” il corpo femminile con l’infibulazione, un rituale che infatti annulla l’identità e la sessualità delle donne. D’altronde l’intero film risalta per la sua consapevole componente simbologica, che porta Sembene a porre in essere numerosi elementi in grado di restituire visivamente i concetti a lui più cari: a volte questo avviene in maniera anche sfacciata (ad esempio in alcuni inserti di evidente natura onirica le salindana sono mostrate con minacciose maschere tribali in un’atmosfera nebbiosa, a ribadirne la natura ostile), ma nella maggior parte dei casi è effettuato con una discrezione tale da rendere i vari elementi non percepibili a un livello di fruizione immediato. Un esempio è dato dalla coesistenza dei tre monumenti sui quali si gioca la partita dei protagonisti: il tumulo/formicaio che simboleggia lo spirito del moolaadé, la moschea a la catasta di radio sequestrate alle donne affinché l’influenza esterna non faccia sorgere in loro il sentimento di ribellione all’ordine costituito. Questi tre elementi offrono in effetti molteplici livelli di lettura: il tumulo del moolaadé rappresenta infatti la tradizione del passato, ma anche l’esistenza, in una realtà dai ritmi e dalle gerarchie ben definite, di un elemento di superstizione e di fede nell’ultraterreno che nel film gioca un ruolo molto importante. L’infibulazione viene infatti sostenuta e giustificata dagli uomini e dalle salindana attraverso l’alibi culturale fornito dalla sua lunga tradizione; argomentazione alla quale Collé risponde con la protezione fornitale dal moolaadé, che in sé rappresenta anch’esso un rituale basato su un’antica tradizione, volto dalla donna a suo vantaggio per rendere le bambine intoccabili. Con intelligenza, quindi, la protagonista ribalta in suo favore la condizione di subalternità cui la tradizione costringe tutti gli abitanti. La moschea invece simboleggia l’eterno e immutabile presente delle regole codificate per la convivenza sociale (è infatti ben noto come l’Islam codifichi anche una serie di principi comportamentali che i fedeli devono osservare nella società e ha quindi una funzione a un tempo religiosa e civica) e quindi l’elemento normativo che si affianca a quello fornito della tradizione per regolare i rapporti fra gli abitanti. Non a caso proprio la regola dell’obbedienza al marito rappresenta l’escamotage che gli uomini del villaggio decidono di applicare per spingere Collé a spezzare l’influsso del moolaadé. Infine le radio simboleggiano l’elemento terzo che immette nella realtà ben polarizzata su norma e tradizione anche quello del confronto con il mondo esterno, tema questo sempre caro a Sembene: i mezzi di comunicazione di massa sono infatti inquadrati dal regista in un’ottica di azione politica per il risveglio delle coscienze e come tali svolgono il compito di rinnovare l’ordine precostituito e fondare una nuova realtà africana. Non a caso le radio sono care alle donne (e in special modo a Collé) come strumento in cui trovare riscontro e confronto per i loro ideali di emancipazione e risultano invece invise agli uomini, che ne ordinano la distruzione (e non è un caso che l’inquadratura finale mostri, attraverso il montaggio, la guglia della moschea lasciare il posto a una moderna antenna). La dicotomia uomo/donna è comunque sfumata nel suo schematismo dalla presenza di personaggi che rifiutano la rigida gerarchizzazione cara ai capi del villaggio e aprono la storia a quell’ideale di speranza destinato a emergere nel finale. In particolare Ciré è ritratto come un uomo devoto alla moglie, ma che la cattiva influenza del malvagio fratello Amath (capace di far valere su di lui la sua condizione di primogenito) spinge a opporsi alla donna. Non a caso, durante la ribellione finale, Ciré concorda con gli ideali di Collé e trova finalmente la forza di contestare Amath. Altro personaggio fondamentale nell’economia del racconto è Mercenario, il venditore ambulante che per primo ha il coraggio di opporsi all’opera di umiliazione psicologica e fisica condotta ai danni di Collé e che per questo viene a sua volta ucciso. L’uomo è un ex soldato che ha conosciuto il mondo esterno e per questo riesce a incarnare magnificamente il prototipo del personaggio slegato dai rituali di una singola terra e in grado di capire l’ingiustizia che ha di fronte. Ma va inoltre sottolineato come, col suo atteggiamento semplicemente seduttivo, questo personaggio rappresenti anche un rimando esplicito a quella sessualità delle donne che gli altri maschi del villaggio vogliono sottomettere e annullare. Infine c’è Ibrahim: anch’egli, come Ciré, costretto in una posizione di equilibrio fra la legge che lo costringe a obbedire al padre, e la sua conoscenza del mondo esterno (è stato infatti in Francia dove ha studiato e fatto fortuna) che gli permette di comprendere come le superstizioni e le regole del villaggio siano basate su rapporti di potere e di opportunismo. Tutto questo è raccontato da Sembene attraverso una forma narrativa che alterna totali e primi piani, che tendono quindi a dare giusta rilevanza tanto ai luoghi dell’azione che ai personaggi, in modo da elevare gli uni e gli altri a livello paradigmatico. La padronanza dei ritmi, che rispondono alle istanze di semplicità del racconto popolare, impedisce fortunatamente al film di cadere nella facile trappola del prodotto a tesi, risultando in questo modo capace di veicolare i propri nuclei tematici in modo immediato e intelligente.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

I dubbi dei figli

Nel film il minore costituisce sicuramente il fulcro della narrazione, sebbene poi nessuno dei personaggi giovani abbia un ruolo di primo piano: ancora una volta Sembene valorizza la natura iconica degli elementi a disposizione e per questo le bambine rappresentano il “terreno di conquista” degli uomini e delle salindana, che detengono gli strumenti del potere e sfruttano le quattro ragazzine per perpetrare questo loro privilegio, in modo da ricordare alle ribelli e a Collé la loro posizione di subalternità. Non meno importanti però risultano altri due “figli” presenti nel racconto, ovvero il giovane Ibrahim e la sua promessa Amasatou: i due infatti non possono sposarsi a causa del veto imposto da Dougoutigui che non accetta l’idea di vedere suo figlio unito a una bilakoro. Conscia di questa situazione, e timorosa di vedersi respingere da una società con regole così rigidamente codificate, Amasatou arriva a lamentarsi con la madre per non averla sottoposta al rito di infibulazione sette anni prima. E’ in questa circostanza che Collé ha occasione di far capire alla figlia l’importanza del non accettare i compromessi che minano la sua integrità fisica e psicologica, oltre che il suo possibile futuro di madre: la stessa Collé, che da piccola fu sottoposta a infibulazione, aveva infatti perso i primi due figli. I minori presenti nel film appaiono quindi a un tempo consapevoli del destino che li aspetta e disposti a fronteggiarli (le quattro bambine), ma anche confusi circa le conseguenze delle loro azioni (Amasatou) e quindi bisognosi di trovare una persona adulta che sappia guidarli e offrir loro dei principi in cui credere.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Partendo dal tema dell’identità femminile inquadrata nel contesto di una società che domina le donne puntando proprio sulla loro sottomissione culturale e soprattutto sessuale, un utile parallelo alla vicenda raccontata in Moolaadé può essere offerto dalle versioni cinematografiche di un classico della letteratura angloamericana come La lettera scarlatta di Nathaniel Hawtorne (cfr. La lettera scarlatta di Wim Wenders, Der Scharlachrote Buchstabe, Germ., 1973; La lettera scarlatta di Ronald Joffé, The Scarlet Letter, Usa, 1995), che ha la particolarità di spiazzare nel contesto puritano dell’America coloniale uno scenario e una vicenda che stigmatizzano la sottomissione femminile tanto quanto il film di Sembene. Alla stessa maniera può essere curioso il raffronto con l’emblematica vicenda di isteria femminile collocata nello scenario della liberazione sessuale dell’America anni ’70, raccontata da George Romero in La stagione della strega (Jack’s Wife, Usa, 1973), mentre il tema della ribellione femminile posta a confronto con lo scenario di una comunità chiusa e ristretta può essere analizzato anche a partire dal film di Emanuele Crialese Respiro (It., 2002). Volendo invece rimanere in ambito africano, si segnala un altro film senegalese, Koudou (Senegal, 1971) di Ababacar Samb Makharam, in cui la giovane protagonista affronta una profonda crisi di identità dovuta al suo rifiuto di sottomettersi al rituale del tatuaggio delle labbra. Massimo Causo  

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