Tutto parla di te

di Alina Marazzi

(Svizzera/Italia, 2012)

Sono tanti i temi di attualità che incrocia un film come Tutto parla di te, il primo lungometraggio a soggetto di Alina Marazzi, figura di documentarista tra le più interessanti emerse nel panorama cinematografico italiano dell’ultimo decennio. Strano, a prima vista, perché Tutto parla di te è quello che si può definire senz’altro un film intimista, a tratti crepuscolare, che indaga tra le pieghe della memoria di un personaggio anziano che si rispecchia nell’esperienza di un altro più giovane.

Pauline torna dopo molti anni a Torino dove è nata e qui incontra Angela, conosciuta all'estero tempo prima, che dirige un centro per la maternità. Pauline vuole compiere una ricerca sulle esperienze delle donne alle prese con la gravidanza, il parto e i primi mesi di vita del bambino, lavorando su video, fotografie e racconti conservati nell’archivio del centro. Tra le donne che frequentano il centro c'è Emma, una ballerina che sta attraversando un momento di crisi in seguito alla nascita del suo bambino: la ragazza non riesce ad affrontare le responsabilità della maternità, pensa che la sua vita sia giunta a un punto morto, soffre di solitudine. Tra Pauline ed Emma nasce un rapporto di complicità che servirà non solo alla ragazza per ridare senso alla propria vita ma anche all’anziana donna a fare i conti con il proprio passato, rimosso quando ancora era bambina.

Riprendendo il filo del suo primo documentario, il bellissimo Un’ora sola ti vorrei, dedicato alla madre – morta suicida quando lei era ancora bambina – e costruito ricorrendo a documenti dell’archivio di famiglia (registrazioni audio, filmini, lettere, fotografie, oggetti), Marazzi ritorna al tema della memoria, di una memoria sepolta, quasi cancellata ma ancora viva (come i bellissimi inserti in bianco e nero degli anni Quaranta che costellano il filo dei ricordi di Pauline) già affrontato allora. Anzi, Tutto parla di te è una continuazione naturale di quel documentario, tanto dal punto di vista della struttura che, come in quel caso, fa ricorso a una pluralità di formati (la finzione della storia di Pauline ed Emma, la realtà delle interviste visionate da Pauline al centro ma effettuate dalla stessa Marazzi a neomamme in difficoltà, le immagini d’epoca, in bianco e nero, che diventano i ricordi della protagonista, alcune brevi sequenze girate a passo uno con personaggi di plastilina) quanto da quello dei temi: la fragilità delle donne che, oggi come ieri, sono sottoposte a forti pressioni sociali e familiari (o, al contrario, vengono abbandonate a loro stesse) specie quando devono affrontare una gravidanza e, soprattutto, i primi mesi di vita con il nascituro, la depressione post partum, il cosiddetto baby blues.

Attraverso questo puzzle di voci, immagini, suoni, di materiali che si rifrangono e riescono a darsi profondità a vicenda, emerge una storia comune a tutte le donne, un filo rosso che lega vecchie e nuove paure all’insegna di un segreto (simile a quello che Pauline conserva in una vecchia scatola di cartone che contiene i ricordi della madre) difficile da portare alla luce, a volte inconfessabile. Inconfessabile specie in un Paese come il nostro, che sul culto mariano, sulla figura della madre e sul momento della gravidanza ha costruito una visione della donna che solo di recente è stata scalfita da quelle lotte femministe che la stessa Marazzi ha raccontato nel suo documentario di montaggio Vogliamo anche le rose sugli anni della contestazione e delle conquiste femminili nell’ambito dei diritti civili. Anche in quest’ottica è bello e sensibile l’incontro di due generazioni di donne, l’anziana Pauline (interpretata da un’intensa Charlotte Rampling) e la giovane Emma (Elena Radonicich), la prima segnata da un trauma infantile che probabilmente le ha impedito di scegliere la via della maternità e che, tra le donne che soffrono per la propria maternità, cerca di rielaborare quel passato doloroso, l’altra che cerca un senso per il proprio futuro in un Paese che non offre sostegno a chi affronta come lei un momento così complesso. E proprio per questo, come detto in apertura, un film intimista come Tutto parla di te parla, appunto, di tante questioni di attualità: qual è il ruolo che assegna la società (specie quella italiana) alle donne-madri? Quale il sostegno che fornisce loro? Con quale spirito una giovane senza molte certezze può affrontare una gravidanza? Quale il ruolo dei padri (nel film non c’è un personaggio che incarni realmente questa figura) in una società che mette sempre più in discussione i ruoli all’interno della famiglia? Sono anche questi i temi che abbiamo affrontato dalle pagine del periodico Rassegna Bibliografica infanzia e adolescenza, in un articolo che analizzava le rappresentazioni cinematografiche della genitorialità e della nascita dal titolo Il passo sospeso della cicogna.

Quanto complesso e allo stesso tempo coerente sia, altresì, il percorso intrapreso dalla Marazzi lo dimostra il documentario Tutto parla di voi, una sorta di “espansione” del film di fiction. Un progetto concepito in due fasi: la prima narrativa, che riprende alcune delle interviste a vere madri inserite in Tutto parla di te insieme alle molte altre girate dalla regista e poi “scartate” in fase di montaggio, l’altra partecipativa, un work in progress dal titolo Le vostre storie che prevede la possibilità per tutti di caricare e condividere contenuti personali (testi, fotografie, video) sul tema dell'essere madri e padri approfondito in tutte le sue declinazioni. Un esperimento di narrazione collettiva attraverso il quale provare a costruire un nuovo punto di vista sulla maternità, lontano dai luoghi comuni, proprio come lo è il film qui recensito.

 

Fabrizio Colamartino