Lo stato di abbandono

Sentenza della Corte di Cassazione

 Con la sentenza n. 7961 del 31 marzo 2010, la prima sezione della Corte di cassazione ha stabilito che la sussistenza della situazione d’abbandono in cui versa un minore (che comporta la dichiarazione dello suo stato di adottabilità da parte del tribunale dei minorenni) non ricorre soltanto in presenza del rifiuto intenzionale e persistente dei propri doveri da parte dei genitori

del minore, ma anche in tutte quelle circostanze nelle quali il superiore interesse del minore richiede che quest’ultimo sia allontanato da contesti familiari critici che impediscono o pongono in serio pericolo il suo sano sviluppo psicofisico. La situazione che si poneva all’attenzione della Corte con questa sentenza era, per la verità, decisamente complessa perché la bambina, che alla nascita era stata riconosciuta solo dalla madre, afflitta da problemi psichici ed economici, era stata inizialmente affidata a quest’ultima presso una comunità di recupero. Tuttavia, dopo un breve periodo, la donna aveva lasciato la comunità abbandonando la figlia e il Tribunale per i minorenni di Torino aveva disposto l’affidamento della bambina a favore dei nonni paterni che comunque, quasi subito, erano entrati in conflitto sia con i nonni materni sia con la stessa madre a cui non permettevano nemmeno di vedere la bambina.

Sulla base della grave situazione che si era venuta a creare (che come testimoniato dai servizi sociali, nuoceva gravemente al sano sviluppo della minore) il Tribunale per i minorenni di Torino, aveva deciso di revocare l’affidamento ai nonni paterni che avevano considerato «l’affidamento quale un rapporto analogo all’adozione, in un’errata visione del proprio compito» e quindi di collocare la piccola presso una comunità e dichiararla adottabile. Infatti, come noto, l’affidamento (diversamente dall’adozione) non è finalizzato a interrompere i rapporti fra il minore e la sua famiglia di origine ma al contrario a conservare i rapporti tra la famiglia e il minore in vista di una loro riunione e, pertanto, il contatto con la madre non poteva essere impedito. A tale decisione si erano opposti i nonni paterni sostenendo che la minore non poteva essere dichiarata adottabile per la mancanza del presupposto dello stato di abbandono del minore che la legge n. 184 del 1983 (Diritto del minore ad una famiglia) pone come condizione perché possa essere dichiarato lo stato di adottabilità: la minore, sostenevano, non versava in stato di abbandono perché erano disposti a prendersene cura.

 Tuttavia, a queste argomentazioni, i giudici della Corte di cassazione ribattono che, se è vero che il minore ha diritto a crescere nella propria famiglia naturale e che pertanto l’adozione costituisce solo un’extrema ratio, si deve ricorrere a tale misura ogni volta si renda necessario (anche se ciò può essere doloroso) per evitare un grave pregiudizio al corretto sviluppo psicofisico del minore. Ciò deve accadere specialmente quando il tentativo di recuperare le capacità genitoriali – attraverso un percorso di sostegno dei genitori – sia stato esperito (come in questo caso) e non abbia avuto buon esito. Quindi, concludono i giudici, a prescindere da giudizi di responsabilità e colpevolezza a carico dei genitori e parenti che sono sempre possibili, ciò che in situazioni come queste deve assumere primaria ed esclusiva rilevanza per stabilire se debba o no essere dichiarato lo stato di adottabilità di un minore è l’interesse dello stesso a vivere in un ambiente che gli permetta uno sviluppo psicofisico sano e sereno.

Tessa Onida

 

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