Tra sfruttamento e formazione

22/07/2009

Contraddittorie rappresentazioni del lavoro minorile
 

Il lavoro minorile è un fenomeno complesso da analizzare perché assume forme molto diverse (si va dallo sfruttamento al percorso formativo con tutti i gradi intermedi), perché spesso è difficile da individuare

(molte forme di lavoro minorile sono insite nelle strutture sociali, come ad esempio la collaborazione in imprese di famiglia), perché cambia fisionomia da paese a paese, da continente a continente. Il cinema – in questo caso fedele specchio della complessità sociale – ha, negli anni, mostrato le mille facce di questo fenomeno: la sua iniziale comparsa nel dibattito culturale di fine Ottocento e inizio Novecento (le trasposizioni cinematografiche dei classici della letteratura inglese come Davide Copperfield e Le avventure di Oliver Twist riflettono, indirettamente, sulle contraddizioni del modello di società fordista); il grande spazio che la manodopera minorile ha avuto nelle società a sviluppo agricolo (si vedano, tra gli altri, L’albero degli zoccoli, Padre padrone, Ci sarà la neve a Natale? e Gli ultimi); il lavoro come strumento di sopravvivenza in una società postbellica da ricostruire (quasi tutti i capolavori neorealisti come Ladri di biciclette, Sciuscià, Germania anno zero mostrano come il lavoro rappresentasse, per i piccoli monelli del ’46, l’unico elemento che garantisse la sopravvivenza propria e famigliare); l’occupazione come porta di ingresso per entrare nel mondo degli adulti (porta spesso chiusa come dimostrano i casi di Rosetta, Lunga vita alla signora, Il posto, Ragazzi fuori), il lavoro come sfruttamento violento e inumano nei confronti degli adolescenti (La discesa di Aclà a Floristella, Salaam Bombay!).

In questa breve carrellata appare stimolante citare soprattutto quei film che – figli di un approccio sociale libero da stereotipi – descrivono l’esperienza lavorativa quale “alimento sociale” per ragazzi destinati alla delinquenza, all’esclusione, in taluni casi anche alla morte: il lavoro da fattorino per il protagonista de Le biciclette di Pechino, da ortolano per Michele, “ragazzo di vita” di Marco Risi (Ragazzi fuori), da panettiere per Rosetta, protagonista dell’omonimo film dei fratelli Dardenne, da “becchino” per Edmund in Germania anno zero, costituiscono ancore di salvezza che la società degli adulti, con le sue leggi, normative, legacci, non esita a levare, sancendo il loro destino di marginalità, devianza, prigionia o suicidio. Uno sguardo positivo, un’apertura alla speranza giunge, tuttavia, da territori inaspettati, da quei paesi del Terzo mondo nei quali il lavoro minorile – se si seguisse il luogo comune – dovrebbe essere solo un fenomeno tragico e meritevole di indignazione. Nei cinesi Non uno di meno e La locanda della felicità, nell’iraniano Il silenzio e nel vietnamita Il profumo della papaya verde, solo per citare i più conosciuti, l’acquisizione di competenze tecnico-professionali diventa percorso alternativo e altrettanto formativo rispetto a quello scolastico. In altre parole, i protagonisti di queste pellicole trovano un senso alla loro esistenza lavorando. Imparano facendo.

IL LAVORO NEI CAMPI
Film ambientati in società agricole dove il lavoro minorile (che in taluni casi sfocia nello sfruttamento) viene considerato indispensabile per la sopravvivenza della comunità.

 

IMPARARE FACENDO
Lavoro come veicolo formativo, strumento di acquisizione sia di competenze che di valori culturali, etici, sociali.

 

LAVORARE PER SOPRAVVIVERE
L’occupazione salariata come strumento di sopravvivenza personale e della propria famiglia.

 

LAVORARE PER NON ESSERE ESCLUSI
Il lavoro minorile come unica alternativa alla delinquenza, alla discriminazione sociale, alla marginalità.

 

LO SFRUTTAMENTO COME “STILE DI VITA”
Il lavoro minorile inteso come vero e proprio sfruttamento, perché privo di tutele legislative, economiche, sanitarie.

 

FORME REGOLAMENTATE DI LAVORO
L’occupazione tutelata e contemplata dalla legge (apprendistati, assunzioni, stages, scuole di formazione) come veicolo di ingresso – spesso traumatico – nella società degli adulti.

 Marco Dalla Gassa

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