Lolita

31/03/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Relazioni familiari Titoli Rassegne filmografiche

di Stanley Kubrick

(Gran Bretagna, USA, 1962)

Sinossi

Un professore e scrittore di letteratura francese, Humbert Humbert, penetra nella casa del commediografo Clare Quilty e lo uccide. Con un flash-back ripercorriamo la storia a partire da quattro anni prima dell’omicidio. Il prof. Humbert trascorre l’estate del '47 nel New Hampshire, in casa della signora Charlotte Haze, la cui figlia quindicenne Lolita lo attrae dal primo momento in cui la vede. Per stare accanto alla ragazza, sposa la madre, ma quando Charlotte scopre la verità, leggendo il diario segreto di Humbert, esce di casa e viene travolta da un’automobile. Ormai vedovo, il professore si reca al campo estivo per portare via con se Lolita nell’Ohaio. Dopo molte esitazioni e menzogne Humbert è costretto ad avvertire la ragazza della morte sfortunata della madre. La scena si sposta alcuni mesi dopo. Lolita partecipa alle attività teatrali della sua nuova scuola, e allo stesso tempo frequenta un altro uomo. In preda alla gelosia Humbert Humbert decide di lasciare l’Ohaio. La coppia, attraversando gli Stati Uniti in macchina, si accorge di essere seguita da uno sconosciuto. Il viaggio spossante finisce per recare malanno alla ragazza, che è costretta a ricoverarsi in ospedale. Quando Humbert la viene a prendere, scopre che Lolita è scappata con un altro uomo. Quattro anni dopo la ragazza scrive una lettera al patrigno: aspetta un bambino e ha bisogno di soldi. Humbert va a farle visita e lei confessa di aver frequentato da sempre Clare Quilty, lo stesso che misteriosamente li seguiva durante il viaggio. Disperato Humbert lascia Lolita dopo averle consegnato molto denaro e va ad uccidere Quilty. Sulla stessa sequenza iniziale una didascalia ci informa che Humbert Humbert è morto in prigione in seguito ad una crisi cardiaca.

Presentazione critica

Tagliato in parte dalla censura, spogliato dallo stesso autore delle scene più pruriginose presenti nel libro omonimo, allusivo e mai esplicito negli aspetti marcatamente sessuali, tanto che la scena più dichiaratamente erotica si trova nei titoli di testa, quando una mano smalta le unghie dei piedi di Lolita, in definitiva molto meno scandaloso del testo di Vladimir Nabokov, Lolita, nonostante tutto, al suo debutto nelle sale, ha suscitato numerose e sdegnate reazioni da parte di larghe parti della società americana, anche perché, a ben vedere proprio il paese nativo di Stanley Kubrick era il vero bersaglio critico del film. La personale critica del regista – il quale proprio in quegli anni si trasferisce definitivamente in Inghilterra – agli Stati Uniti si concentra in particolar modo sul personaggio dell’adolescente. Lolita, infatti, non è solo una ninfetta che suscita negli uomini gli istinti più reconditi, lei è l’America, un paese che ha, come dice la voce fuori campo di Humbert riferendosi a Lolita, “una natura doppia, [...] un'infantilità tenera e sognante e una sorta di raccapricciante volgarità...”. Bugiarda fino all’inverosimile, sfruttatrice dei sentimenti altrui, cinica e spietata, sfrontata nel chiedere denaro ad un uomo che ha abbandonato, incapace di amare, astutamente ingenua in pose candide e provocatorie, abile a usare gli oggetti con secondi fini (il lecca-lecca, gli occhiali con i cuoricini, l’hula-hoop): ecco come Kubrick ci presenta Lolita. Le sue sono caratteristiche che ben si addicono al ‘giovane’ stato d’oltreoceano. Caratteristiche che sono riscontrabili non solo in Dolores (vero nome della ragazza), ma anche in ciò che le ruota attorno, dagli ambienti ai personaggi di contorno. Impossibile non individuare il bigottismo della provincia americana negli squallidi motel incontrati durante il viaggio con il patrigno, o nelle case-feticcio in cui vive la ragazza (da quella ‘american style’ della madre alla bettola in cui finisce con il nuovo marito,) nella santimonia dei vicini o degli amici (si pensi alla scena buñueliana dove una dirimpettaia chiede al professore di abbassare la voce durante un litigio, perché ha invitato a cena un ecclesiastico), o nella rappresentazione-spauracchio di Clare Quilty, capace, da sola, di scoperchiare il puritanesimo degli States, attraverso il procedimento di mise en abîme insito nello spettacolo bucolico. L’adolescenza di Lolita in tal senso è depositaria di tutti i difetti e i pregi di un’intera nazione. Non a caso il 1776, anno della dichiarazione d’indipendenza americana, è la cifra iniziale del numero di telefono di casa Haze ed è la data in cui è stato dipinto il ritratto dietro il quale viene ucciso Quilty, il cui soggetto è, per traslazione, la stessa Lolita. Eppure la giovane ninfa non è il centro del racconto. La sua funzione è piuttosto quella di volano della narrazione, di nucleo attorno al quale far ruotare il sistema di personaggi e degli eventi. Una ben più fitta e complessa rete di relazioni è individuabile nella pellicola e, anche se in questa sede non si può dar conto a tutti i legami che sono intessuti da Kubrick – la circolarità narrativa, il carattere paradigmatico del ritratto, le citazioni metatestuali di Spartacus o l’avvisaglia di alcuni temi di Il dottor Stranamore, la presenza, ossessivamente kubrickiana, di richiami ai generi cinematografici, la critica alla famiglia –, si devono riportare almeno altri due temi dominanti: il primo è quello del doppio tra Humbert e Quilty, personaggi assolutamente complementari tra loro non solo nell’amore per Lolita (si veda ad es. la partita a ping-pong le professioni che esercitano, la fratellanza sancita da Lolita e accettata da Humbert nella scena dell’ospedale), il cui rapporto rinvia al legame-scontro tra Kubrick, commediografo come Quilty, e Nabokov, scrittore come Humbert; il secondo riguarda l’ossessione del personaggio. Su quest’ultimo punto, in particolare, il regista dà il meglio di sé mettendo in scena una controversa e lucida descrizione del reale, un misto di falsa logica (nella scena del pedinamento di auto Humbert più volte fa affidamento sulla sua razionalità) e follia (Lolita dice, spesso, all’amante che è pazzo), di ricerca della normalità e fuga dal quotidiano, di bugie mascherate da verità (quelle di Lolita nei confronti di Humbert) e di verità mascherate da menzogne (quelle del logorroico Quilty, nel monologo iniziale così come quando si finge psichiatra o poliziotto). Da qui nasce la pazzia di Humbert, ovvero dall’incapacità di leggere la realtà, abilità che invece possiede Lolita che, unica tra i personaggi principali, rimane in vita, chiaro segno distintivo della mano di Kubrick, poiché nel romanzo di Nabokov, la piccola adolescente finiva per morire di parto, proprio nel momento in cui passava dallo stato di ninfa a quello di donna.

Marco Dalla Gassa  

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