Prendimi e portami via

di Tonino Zangardi

(Italia, 2003)

 

Introduzione al film

Mamma Roma

In questi ultimi venti anni, quando il cinema italiano ha affrontato temi relativi all’ambito sociale, in più di un caso ha proposto rappresentazioni critiche e originali delle città, con un’espressività che il cinema di genere degli anni ’70 aveva perso: basti pensare, ad esempio, alla Torino di Farelavita (Italia, 2001) di Tonino De Bernardi. In Prendimi e portami via l’originalità, riguardo la visione della città, consiste nel chiaro e raffinato richiamo a Mamma Roma (Italia, 1962) di Pier Paolo Pasolini. In più di un punto del film di Zangardi, infatti, sono presenti panoramiche che comprendono campi incolti e, sullo sfondo, uniformi condomini tipici della periferia urbana di una grande città. Il modo di inquadrare ricorda molto quello di Pasolini: l’aspetto degli edifici esprime il degrado di famiglie poco agiate, costrette a fare i conti con le difficoltà del vivere quotidiano in un ambiente in cui la città sfocia in una campagna incolta, poco accogliente. Come Pasolini, Zangardi fa suo quel particolare aspetto del neorealismo che consiste nel mostrare un determinato stadio dell’evoluzione di un luogo, trascorso il quale non sarà più possibile riproporlo nei medesimi termini: la speculazione edilizia, forse, sommergerà i campi malcurati e ne nascerà un nuovo paesaggio, ancor più alienante. Il film resterà, così, l’unica fonte di documentazione di una determinata realtà sociale, delle sue tensioni e passioni. Il riferimento a Mamma Roma è anche evidente nella recitazione di Valeria Golino, in particolare nelle sequenze in cui Luciana conosce Antonini: l’uomo invita la donna in un bel ristorante, un ambiente a cui ella non è abituata. Il romanesco della Golino ha la stessa pudicizia e umiltà di quello di Anna Magnani in Mamma Roma: l’atteggiamento, cioè, di chi, nella naturale ricerca della felicità, vorrebbe emanciparsi, ma sa di essere irreversibilmente legato a certe persone, a una certa cultura, a un determinato modo di vedere il mondo. Zangardi, poi, mutua dal neorealismo la struttura policentrica del racconto, per cui alle singole vicende di Giampiero, di Romana, dei tentativi di Luciana di farsi riconoscere quella condizione di artista che ella percepisce in quanto parte più autentica di sé, si aggiungono il disorientamento di Alfredo, borgataro tormentato dalla crisi del suo matrimonio e indeciso sul comportamento da tenere nei confronti dei Rom, e la violenza cieca di Otello e Italo. Riguardo alle ragioni di questi ultimi e degli zingari, il film presenta il suo aspetto meno convincente: i due commercianti sono troppo facilmente ridotti a razzisti biechi e irrazionali, che, in modo un po’ inverosimile, si trasformano immediatamente in “giustizieri della notte”, con tanto di tentativo di stupro di Luciana. Di contro, pur avendo scritturato una vera comunità Rom, il regista non ne scandaglia il tessuto, restituendo una struttura sociale ancora popolata da giostrai ottusi e donne sottomesse e lacrimanti. Non è inserito, nella storia, alcun accenno a tentativi di dialogo o di reale integrazione tra le due comunità: alla fine, resta solamente uno sguardo malinconico gettato su una città piovigginosa, infelice, più spesso matrigna che madre di uomini indecisi e individualisti. Zangardi aveva già affrontato il tema dell’integrazione dei Rom, con risultati più convincenti, nel suo film d’esordio, Allullo Drom – L’anima zingara (Italia, 1993).

 

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Un’amicizia particolare

Prendimi e portami via” è l’invito implicito che Luciana e Romana rivolgono, rispettivamente, all’avvocato Antonini e al piccolo Giampiero. Oltre il quartiere degradato, infatti, sta la felicità, nella forma di una vita diversa: se per Luciana il cambiamento ha, prevalentemente, il carattere di una più agiata condizione economica, per Romana è invece predominante l’aspetto sentimentale, l’affetto che la ragazzina nutre nei confronti di Giampiero. Il tema più importante del film è, infatti, il rapporto con la “diversità”. In questo senso, Prendimi e portami via è sorretto da due principali direttrici: da un lato la rappresentazione dell’intolleranza che sfocia in odio, nei comportamenti iperbolicamente aggressivi di Otello e Italo (quest’ultimo, in particolare, appare mosso da un rancore autenticamente razziale); dall’altro la rappresentazione dell’amicizia che, al contrario, avvicina Romana e Giampiero. Il sentimento che nasce e si sviluppa tra i due ragazzini conferma che l’amore abbatte le barriere culturali consentendo a gruppi etnici diversi di amalgamarsi, favorendo la tolleranza, l’integrazione, in una parola il progresso nei confronti di una società sempre più civile. Nel tentativo di rappresentare in modo incisivo le profonde differenze che intercorrono tra i due minori, Zangardi non riesce a sfuggire ad alcuni luoghi comuni. La ragazzina, ad esempio, appare più spregiudicata rispetto all’amico: crede già di sapere ciò che vuole dalla vita, fuma con disinvoltura, propone a Giampiero un rapporto sessuale in modo da rimanere incinta e poi farsi sposare da quest’ultimo. Giampiero appare più candido: agisce per il bene dell’amica senza apparentemente preoccuparsi delle conseguenze, mostrando, rispetto alla ragazzina, maggior ingenuità. In sostanza, è offerto un quadro un po’ convenzionale, in cui la ragazza, a causa della sua condizione familiare ben più disagiata, ha acquisito rapidamente maturità; Giampiero, al contrario, ha una minor conoscenza del mondo e delle sue brutture, poiché protetto da una famiglia “normale”. La scelta di assegnare ai protagonisti psicologie così poco sfaccettate, impedisce agli stessi di assumere la consistenza di personaggi reali: a farne le spese sono i momenti più drammatici, che scivolano via senza particolare incisività. Il film assume, infatti, più forza nei momenti in cui le esternazioni dei protagonisti sfuggono ai luoghi comuni suddetti: quando, ad esempio, Romana, costretta a seguire il parente giostraio col quale ormai convive, scrive a Giampiero dicendogli: «Io penso sempre a te, e racconto a tutti di come sei buono e bravo…»: parole d’affetto che conferiscono al personaggio della ragazzina una più vibrante autenticità. Nel finale, quando Giampiero ha liberato Romana dalla sua prigionia, entrando, un po’ inverosimilmente, di notte, nel carrozzone dove la ragazza dorme nello stesso letto del parente, i due protagonisti, giunti su una bellissima spiaggia deserta, iniziano a correre mano nella mano in prossimità della battigia, verso un orizzonte che non è dato conoscere. La sequenza richiama chiaramente la conclusione del classico I quattrocento colpi (Les 400 coups, Francia, 1959) di François Truffaut, in cui l’adolescente Antoine Doinel proseguiva verso il mare la sua fuga dall’ostile società degli adulti. Anche in questo caso, seppur, ovviamente, con meno vigore, la corsa di Giampiero e Romana, i cui atteggiamenti indicano l’importanza e la bellezza della corrispondenza tra “diversi”, sanziona il loro rifiuto di un mondo che acuisce le sue fratture interne.

 

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Le vicende delle popolazioni nomadi dell’Europa dell’est sono inscindibilmente intrecciate al tema della tolleranza e dell’integrazione. Riguardo a quest’ultimo tema, un film tra i più interessanti è Il destino (Al Massir, Egitto-Francia, 1997) di Youssef Chahine, incentrato sulla figura del filosofo Averroè: un lavoro ambientato nel dodicesimo secolo, ma che riesce a richiamare problemi e conflitti del mondo arabo attuale. Più legato al tema degli zingari, in particolare della loro storia e delle loro consuetudini, è I lautari (Lautary, URSS, 1972) di Emil’ Lotjanu, visione romantica, in pieno Ottocento, dell’infelice storia d’amore tra un musicista e una ragazza, che la famiglia, nella tribù, assegna in sposa ad un ricco. Venendo all’epoca contemporanea, possono essere interessanti i confronti con Il tempo dei gitani (Dom za vešanje, Iugoslavia, 1989) di Emir Kusturica, affresco sulle disavventure italiane di un giovane Rom, con Rom Tour (Italia, 1999) di Silvio Soldini e Giorgio Garini, interessante documentario sulle fatiscenti condizioni dei campi Rom allestiti nelle periferie della città di Firenze, e col citato film d’esordio di Zangardi, Allullo Drom – L’anima zingara (Italia, 1993), che tratta del difficile rapporto tra una comunità Rom e gli abitanti di un paese della Val d’Orcia, in Toscana, negli anni Cinquanta.

 

Costantino Maiani