La mia vita in rosa

19/07/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Relazioni familiari Sessualità Titoli Rassegne filmografiche

di Alain Berliner

(Belgio/Francia/GB/Germania, 1997)

Sinossi

Una periferia francese elegante, villette con giardino e auto parcheggiate nel garage. La famiglia Floris ha quattro figli, marito e moglie sono molto affiatati. Un giorno, a una festa tra vicini di casa, il piccolo Ludovic, sette anni, si presenta vestito da ragazzina. L’imbarazzo di tutti è palpabile; poi, le risate hanno la meglio. Il problema è che Ludovic è convinto che presto diventerà una bambina e potrà sposare Jerôme, il figlio del capo di suo padre, da cui è attratto. Nell’attesa, passa il tempo sognando l’universo meraviglioso dipinto da un cartone animato, “Il mondo di Pam e Ben”, in cui l’amore trionfa a dispetto di tutto. Ma la realtà non è altrettanto rosea: l’atteggiamento di Ludovic è respinto sia dai suoi coetanei, che lo prendono in giro accusandolo di essere una femminuccia, sia dagli adulti. Dopo che, a una recita scolastica, Ludovic assume il ruolo di Biancaneve, i genitori degli altri alunni firmano una petizione per allontanarlo dalla scuola. Se il padre di Ludovic cerca, con la forza, di convincere il figlio a comportarsi nel modo che lui e gli altri ritengono “normale”, la madre sembra essere più vicina al bambino e lo porta in cura da una psicologa, senza però molti risultati. La situazione degenera dopo che Ludovic viene picchiato dai compagni della nuova scuola, mentre il padre perde il lavoro; la famiglia decide di trasferirsi a Clermont-Ferrand; è ora Hanna, la madre, ad accusare il figlio di aver rovinato le loro vite. Qui Ludovic conosce Christine, una bambina che, invece, vorrebbe essere un ragazzino; e infine, in una chiusura quasi da fiaba, i genitori del bambino capiscono che l’amore per il figlio deve venire prima di tutto il resto.

Introduzione al Film

Un romanzo di formazione… degli adulti

Il racconto del film scorre, a prima vista, su binari semplici. Le disavventure di Ludovic e la sua famiglia sono presentate seguendo una narrazione lineare che ricorda la struttura di base della fiaba: l’equilibrio iniziale, con la famiglia Fabris vista come la situazione ideale (la complicità tra i due coniugi, quattro figli belli e brillanti); poi la rottura dell’equilibrio, cioè la “rivelazione” dell’omosessualità latente di Ludovic e l’ostilità manifesta della cerchia degli amici; infine, il punto più tragico della storia – il trasferimento in un’altra città, la rabbia di Hanna nei confronti del figlio – e infine la soluzione, quasi magica: l’accettazione di Ludovic così come è, come vuole sentirsi, da parte dei genitori. In effetti il film è un romanzo di formazione, ma piuttosto per gli adulti, per i genitori del ragazzino e non tanto per Ludovic, che sa bene chi vuole essere. Sono gli adulti che devono imparare ad accettarlo e a superare le ostilità e i pregiudizi. Prima il padre e poi la madre reagiscono con violenza al comportamento del figlio. Se Hanna è, all’inizio, più vicina al figlio, mentre il padre ne vede gli atteggiamenti come umilianti e imbarazzanti di fronte agli altri, e in particolare al suo capo, la donna cambia lentamente percezione. Quando si vede isolata dalla comunità, messa al bando perché madre di un ragazzino “diverso”, Hanna reagisce male e incolpa Ludovic di tutte le loro difficoltà. La donna esprime nettamente il suo rifiuto, arrivando ad affidare il figlio alla madre pur di non averlo accanto e non dover sopportare gli sguardi di commiserazione misti a disprezzo. Un atteggiamento crudele che riflette quello di tutte le altre figure di adulti, se si esclude la psicologa, che peraltro rimane piuttosto sullo sfondo e non sembra contribuire molto alla soluzione dei problemi della famiglia. L’ipocrisia degli amici e vicini di casa è resa con molta forza e senza false illusioni nel film: tutti, senza eccezione, vogliono allontanare colui che ritengono un pericolo per la loro integrità, offrendo l’immagine ipocrita in cui ogni famiglia è perfettamente “normale” e al riparo da ogni desidero considerato malsano – un universo tanto rispettabile quanto falso, come dimostra bene Hanna quando bacia Albert di fronte alla moglie di lui, per mostrarle quali sono i desideri dell’uomo, anch’essi inconfessabili perché al di fuori della morale borghese. Il film di Berliner è allora una riflessione sull’etica della maggioranza e sulla necessità di un rinnovato patto sociale fondato sull’onestà e sulla tolleranza, qualità che sembrano sopravvivere solo nella mente, forse ingenua, certo sincera, di un “bambino-bambina” di sette anni.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Un garçon-fille

In una delle sequenze centrali del film che lo vede a colloquio con la psicologa, Ludovic non ha dubbi nel definire se stesso: lui è un “garçon-fille”, un ragazzo-ragazza. Nella sua mentalità infantile, per lui la sua appartenenza al genere femminile è del tutto chiara ed evidente. Il suo aspetto è, in effetti, quello di un bambino di sette anni che potrebbe essere indifferentemente maschio o femmina: i capelli a caschetto, il volto rotondo e dolce, la voce acuta non lo caratterizzano sessualmente e lo situano, piuttosto, in una terra di mezzo in cui maschile e femminile si confondono senza che l’uno prevarichi sull’altro. E per lui il problema non esiste: il fatto di essere un maschio è frutto, secondo lui, di un malinteso a cui presto potrà porre rimedio («quando sarò una ragazza ci sposeremo», dice all’amichetto Jerôme, che del resto non ne respinge l’amicizia affettuosa). La sua mente infantile, ma non confusa, fabbrica spiegazioni semplici per quella che per lui è una realtà di fatto, l’essere una ragazzina: un errore nella biologia, uno scambio di geni ed ecco perché è finito nel corpo di un ragazzo. È solo l’atteggiamento dei genitori a confonderlo e a farlo sentire in colpa. Sono gli adulti a rimproverargli quelle che per lui sono azioni ed emozioni naturali: usare i trucchi e gli abiti della madre, vestirsi da Biancaneve alla recita della scuola, amare uno dei suoi compagni. Alla rabbia dei genitori, all’esclusione da parte degli amici Ludovic reagisce con lacrime di incredulità: non capisce, semplicemente, perché dovrebbe sentirsi diverso dagli altri. In questo quadro, quello che fa l’originalità del film e ne segna il pregio maggiore è l’adozione, da parte del regista, della prospettiva di Ludovic. Tutta la prima parte del film è come filtrata, visivamente, dagli occhi del ragazzino. I colori pastello, i rosa, i verdi, gli azzurri carichi della prima parte riflettono la serenità ingenua di Ludovic e il suo vivere come in sogno. Il mondo intorno a lui è magico e favoloso come nella sua serie televisiva preferita, “Il mondo di Ben e Pam”: un universo di zucchero filato, casette rosa e abiti lilla, in cui i due protagonisti – Ben un uomo elegante e romantico, Pam una donna dai lunghi capelli biondo platino e gli abiti lucenti di paillettes – vivono per sempre felici e contenti. Un universo di fiaba dove ciascuno è ciò che vuole e dove il sogno diventa, senza sforzo, realtà. Gli stessi colori inverosimili colorano anche il mondo reale, quello in cui Ludovic e i suoi vivono, specialmente nella sequenza iniziale della festa: il prato è verde carico, il cielo è azzurro e luminoso, le auto e gli abiti di tutti sono giallo pastello, rosso acceso, rosa carico, proprio come nei cartoni animati. Ludovic, da parte sua, vive proprio come all’interno di un cartoon o di un film romantico, in cui tutto è semplice, nitido e senza sfumature: il ragazzino, semplicemente, è convinto di essere una femmina e non vede ostacoli a questo suo desiderio. La vita, ai suoi occhi, è davvero “in rosa”, e il film riflette, nei costumi e nei colori, il suo punto di vista. Poi, da quando l’ostilità degli altri – prima i vicini di casa e amici, poi il padre e la stessa madre – si fa più esplicita, il film cambia nettamente aspetto. I colori si fanno spenti e smorzati; la luce è livida, opaca. Così Ludovic è costretto a uscire dal suo mondo di sogno per affrontare le difficoltà del reale, l’asprezza di farsi accettare per ciò che si è e non per quello che gli altri vorrebbero che fossimo. Così Ludovic non sogna più: al contrario, sono gli incubi della madre a segnare le immagini e a renderle scure e tristi. Solo nel finale, dal tono fiabesco e quasi magico, Ludovic riprende a sognare il mondo rosa e luminoso di Ben e Pam; e anche la madre, che entra nel sogno, riesce finalmente a comprendere e accettare il figlio e i suoi desideri, in un finale fantastico che tuttavia lascia un qualche amaro in bocca: l’armonia familiare può essere riconquistata solo in sogno, sembra dire il film; nella realtà, le cose sono quasi sempre più complicate; ed è proprio questa assenza di stereotipi e di soluzioni troppo facili per essere vere a costituire la forza del film.

Riferimento ad altre pellicole e spunti didattici

Il film può essere inserito agevolmente in un ciclo sull’omosessualità di bambini e adolescenti e sulla necessità, specialmente da parte del genitori, di accettare i figli così come sono resistendo ai pregiudizi sociali. Si può pensare, in questo senso, a Billy Elliot (Id., GB 2000) di Stephen Daldry, in cui il giovane Billy deve lottare contro i pregiudizi che vedono la danza come un’attività per “femminucce”; o anche al racconto della passione tra due adolescenti in un paesino, chiuso e monotono, della provincia svedese in Fucking Amal – Il coraggio di amare (Fuckin’Amal, Svezia 1998) di Lukas Moodysson. Ma si può pensare anche ai molti film sulla diversità e sul coraggio necessario ad accettarla, primo tra tutti uno dei capolavori di Tim Burton Edward mani di forbice (Edward Scissorhands, Usa 1990). Infine, sul tema dell’intreccio tra favola e realtà come mezzo per sfuggire a una realtà opprimente si veda Il labirinto del fauno (Pen’s Labyrinth, Messico/Spagna/Usa 2006) di Guillermo del Toro, ambientato nella Spagna franchista del 1944, in cui una ragazzina, Ofelia, si rifugia in un mondo di fantasia popolato di fauni e principesse. Chiara Tognolotti  

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