About a Boy

19/05/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Infanzia Relazioni familiari Titoli Rassegne filmografiche

di Chris Weitz e Paul Weitz

(Usa, Gran Bretagna, Francia, 2002)

Sinossi

Will Freeman (cognome non casuale) è un trentottenne londinese single, amante della propria libertà. I lauti diritti che percepisce per una canzoncina natalizia scritta dal padre anni prima gli consentono di fare la “bella vita”, di dedicarsi solo all’acquisto di cd e dvd, alla visione di film alla Tv, alla frequentazione di locali alla moda e alla “collezione” di belle donne. Dopo una relazione con una ragazza-madre, Will si accorge che le avventure con le giovani mamme garantiscono pochissime responsabilità e soprattutto una breve durata del rapporto visto che sono le stesse ragazze a evitare ogni legame duraturo. In questo modo Will può divertirsi risparmiandosi lo scomodo ruolo di sciupafemmine. Fingendosi padre di una bambina di pochi anni, l’uomo inizia a frequentare un gruppo di mutuo aiuto per genitori single dove, oltre a conoscere Susie, l’ennesima ragazza da conquistare, entra involontariamente in contatto con la sua amica Fiona, depressa e aspirante suicida, ed il figlio dodicenne Marcus. Quest’ultimo – timido, impacciato e isolato da tutti – si accorge ben presto che Will è un finto padre e, minacciando di spifferare tutto a Susie, si fa ospitare ogni pomeriggio nella sua bella casa per vedere la TV. Stranamente l’arrivo di Marcus si rivela un vero e proprio toccasana per la vita del bel single: non solo Will si sente finalmente utile per qualcuno (Marcus ha bisogno, infatti, di compagnia per superare il trauma del tentato suicidio della madre e di qualche consiglio per non farsi tartassare quotidianamente dai compagni di classe), ma scopre il valore dell’altruismo: dopo aver salvato l’adolescente dall’ennesima pessima figura durante un concerto scolastico, Will si convince che è meglio mettere la testa a posto e intessere una relazione seria con Angie, una ragazza madre conosciuta ad una festa.

Introduzione al Film

Ogni uomo è un’isola Ogni uomo è un’isola? È quanto sostiene il protagonista nelle prime sequenze del film. Inserendo un cd nello stereo e sdraiandosi sul suo lussuoso divano, Will comincia ad elogiare lo stile di vita che si è scelto: spensierato, irresponsabile, egocentrico. Considera chi gli sta intorno – e in particolare le donne – in maniera spudoratamente funzionale: va bene la loro compagnia se serve ad appagare qualche bisogno momentaneo (di natura sessuale soprattutto), altrimenti è meglio restare soli. In fin dei conti l’eterno ragazzo può permettersi questo stile di vita: è carino, è molto ricco e vive in una metropoli (Londra) che offre ogni tipo di comodità. Questo particolare profilo psicologico e caratteriale avvicina Will da un lato al classico single delle commedie sentimentali americane (emancipato, libero, disinibito, un po’ crudele) destinato/a, grazie all’incontro con un affascinante rappresentante dell’altro sesso, a redimersi e a mettere la testa a posto, dall’altro al genitore divorziato o vedovo che ha bisogno dell’aiuto di un bambino o di un adolescente per maturare scelte da adulto (si vedano i film con Shirley Temple, come Riccioli d’oro). In un caso come nell’altro, il parallelismo non regge perché alla fine del film l’ambiguità di Will non viene meno: anche se circondato da amici e da una compagna, continua ad avere quell’aria e quei comportamenti da eterno adolescente. La stessa morale del film è oscura: c’è l’esaltazione del calore famigliare (l’ultima sequenza è dedicata a un pranzo natalizio), ma anche la celebrazione della vita comoda e senza impegni duraturi, c’è un elogio della società dei consumi e della ricchezza (la casa di Will, la felicità di Marcus quando compra delle scarpe firmate), ma anche l’invito a superare le apparenze e cercare la profondità delle cose e delle persone (Marcus non cambia look, si fidanza con una ragazza punk e continua a frequentare la casa del ricco Will, sentendosi perfettamente a suo agio).

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Il mostro e l’importanza dell’omologazione Oltre alla morale di fondo, questo film si differenzia dalle commedie citate (in particolare da quelle con Shirley Temple, che interpretava ruoli di bambine dotate di tutte le qualità possibili e immaginabili) anche perché il co-protagonista è un preadolescente decisamente anomalo e non particolarmente accattivante. Ha problemi di socializzazione ma anche un’ottima capacità di osservazione (si accorge immediatamente delle bugie di Will), cerca di aiutare la madre ad uscire dalla depressione ma, di fatto, si affida ad una persona fondamentalmente egoista, è orfano di padre ma non cerca in Will una figura genitoriale. Anche esteticamente, Marcus mostra la sua diversità rispetto ai compagni: vestito in maniera antiquata, con una capigliatura a “scodella” e un’andatura incerta e barcollante, sembra una sorta di esperimento scientifico non riuscito. Per questo fa amicizia con Will. Anche il bel trentottenne, come dimostra il film che guarda ogni vigilia di Natale, La moglie di Frankenstein, può essere considerato un mostro. Nella pellicola di James Whale del 1935, il mostro inventato da Mary Shelley incontra uno scienziato pazzo che decide di costruirgli una compagna, la quale però, alla sua vista, lo rifiuta riproducendo sul piccolo schermo le stesse dinamiche relazionali che prova Will (sono le ragazze-madri a lasciarlo perché è una persona poco affascinante, senza cultura, senza interessi, senza passioni). Seppur opposti da un punto di vista estetico, Will e Marcus condividono la solitudine, il sentimento di rifiuto e soprattutto la sensazione di dover seguire un modello di vita contrario a quello dei loro coetanei. Affidandosi a Will, l’adolescente afferma esplicitamente l’importanza dell’apparenza nelle relazioni con i coetanei. Per lui Will non è un modello di comportamento, è soltanto il curatore del suo look, un’insegnante di gusti musicali e un consigliere di gesti e posture, è tutto fumo e niente arrosto. Paradossalmente, però, è ciò di cui ha bisogno. Figlio di una hippy, costretto a curare la sostanza e mai l’apparenza, Marcus vuole sentirsi accettato e per ciò deve imitare gli altri. Nondimeno, ciò che sorprende nel suo modo di agire è lo scarso entusiasmo manifestato, l’accettazione passiva di ciò che gli capita addosso, l’assenza di pulsioni di ribellione. Alla fine non cambia look come sembrava desiderasse (così come non cambia stile di vita Will), non acquisisce neppure gli strumenti necessari per integrarsi nella sua scuola, anzi si fidanza con una ragazza che segue uno stile di vita, quello punk, apertamente autoemarginante. Rimane, in tutta quest’ambiguità, lo spirito di sacrificio dell’adolescente (che decide di cantare ad un ballo scolastico per la madre, pur sapendo che per questo motivo verrà preso in giro per settimane dai compagni), sacrificio che significativamente si reitera nel gesto che lo stesso Will compie al concerto a favore di Marcus per evitargli l’ennesima pessima figura. A dimostrazione della sovrapposizione di ruoli tra lo yuppie e l’hippy.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Poco adatto ad un uso didattico, About a boy – un ragazzo potrebbe essere utile per riflettere sulla eterna immaturità degli adulti e sugli effetti che questa ha nei più piccoli. Si suggerisce di affiancare a questa pellicola altre dalla morale meno ambigua: Non è giusto di Antonella De Lillo, Piso Pisello di Peter Del Monte. Marco Dalla Gassa  

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