L'amico ritrovato

23/03/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Discriminazione razziale Titoli Rassegne filmografiche

di Jerry Schatzberg

(USA, Germania, 1989)

Sinossi

Il vecchio Hans Strauss, ebreo americano, ricorda il periodo immediatamente precedente la sua partenza dalla Germania in odore di nazismo alla volta degli Stati Uniti. La sua memoria va al 1932, a quando nel prestigioso ginnasio Karl Alexander di Stoccarda conobbe Konradin von Lohenburg. Hans si reca quindi in Germania alla ricerca del suo vecchio amico da cui si era dovuto allontanare a causa del difficile periodo storico. Nonostante le differenze sociali tutt’altro che sostanziali visto il periodo storico (di fiera origine nobiliare Konradin, ebreo Hans), i due vivono con spensieratezza la loro giovinezza tra gite nella Foresta nera, visite alla cugina di Konradin Gertrude, riflessioni sugli adolescenziali impulsi sessuali e lezioni scolastiche. Intorno a loro, in modo dapprima quasi impercettibile, poi via via con una presenza sempre più ingombrante, si muovono gli aderenti alla ‘Hitler-jügend’ con il loro tentativo di fare proseliti. La vita diventa difficile per chi è ebreo come Hans, al punto che il padre decide di farlo emigrare negli Stati Uniti per evitare la discriminazione formale già in atto nel Paese. Giunti al momento dell’addio, Konradin saluta Hans ammettendo di essersi avvicinato alle idee hitleriane perché ritenute le uniche in grado di salvare la Germania, provocando nell’amico ebreo un grande disgusto e la fuga inorridita. Il vecchio Hans, giunto a Stoccarda, si mette sulle tracce dell’amico che non ha più visto e, giunto nella loro vecchia scuola, viene a sapere che Konradin, in un successivo ravvedimento, è stato giustiziato perché autore di un tentato attentato ad Adolf Hitler.

Presentazione critica

Una sana amicizia adolescenziale nata sui banchi di scuola e proseguita notando particolari affinità sul piano caratteriale. Detta così parrebbe una storia come tante altre, senza alcun interesse se non quello dello studio accurato delle differenti personalità e delle relative evoluzioni date dall’interazione costante e reiterata tra due amici. Una storia banale forse, se non fosse che dietro quest’amicizia si fa strada uno dei drammi più sentiti della storia del Novecento, la discriminazione nei confronti degli Ebrei nella Germania nazista. Ed allora l’ostacolo di una semplice e pura soddisfazione adolescenziale diviene l’arbitrarietà della Storia che con i suoi meccanismi insondabili impedisce calcoli, programmi, promesse ed affinità esistenziali di qualsiasi tipo. L’aberrazione della Storia come impedimento principale al proseguimento di un’amicizia sincera, salda ed entusiasmante. Tratto dal romanzo dello scrittore inglese di origine tedesca Fred Uhlman (pubblicato nel 1971, quando l’autore era già settantenne), fuggito anch’egli dalla Germania a causa delle persecuzioni antisemite nel 1933 (anche se a differenza del suo personaggio Hans Staruss, Uhlman approda prima a Parigi e poi a Londra), L’amico ritrovato è un film in cui la dimensione della memoria e l’ambivalenza del rapporto con il passato sono un mezzo per scoprire l’effettiva verità delle cose e delle situazioni, nascoste sotto una spessa patina di apparenza causata dal contingente storico e sociale. Hans Strauss ricorda. Tutto si origina dalla sua memoria, così come ormai la Storia si trova costretta a fare per evitare di cadere nel dimenticatoio, ma il suo ricordo è frammentario, non conosce, né può conoscere quello che non ha più saputo una volta scappato dalla Germania in procinto di ‘nazistizzarsi’ del tutto. Anche quello che ricordava come il suo migliore amico, compagno di tante avventure e di gite e di vacanze e di momenti spensierati, passati ad interrogarsi su questioni di banale quanto ingenua ordinarietà, era stato cristallizzato nel ricordo di un’ideale affiliazione al pensiero hitleriano. Tradimento? Mancanza di lealtà nei confronti di un’amicizia partita già svantaggiata dal particolare periodo storico? Dal ricordo di un Hans ormai invecchiato si origina il flashback che sostanzia praticamente tutto il film e si determina quel tentativo che non è semplice fissazione nella memoria, ma volontà di superare le barriere del passato per ricavarne una verità oggettiva, non più ipostatizzata nel momento di un addio, di un saluto non corrisposto, di un conato di vomito conseguente alla constatazione di un abbandono. La memoria segue suoi percorsi sbiaditi (esemplare a questo proposito la fotografia di Bruno De Keyzer, capace di attenuare i cromatismi più forti, suggerendo l’impallidire della memoria contaminata dal passare del tempo), ma la distanza storica permette un’osservazione meno partecipe emotivamente e più oggettivamente intenta a ritrovare le coordinate fondamentali di quella verità accantonata, messa da parte per orgoglio, delusione o acredine. Konradin è l’emblema del ravvedimento della Storia, del mutamento delle certezze a contatto con la realtà effettuale: avvicinatosi alle posizioni di Hitler, forse per un’errata valutazione ideologica o per eccesso di esuberanza giovanile, al punto da mettere in crisi la certezza dell’amicizia di Hans, il biondo ed elegante nobile muore nell’estremo sacrificio di privare la nazione tedesca che tanto ama di quel Führer che si è dimostrato soltanto l’apparenza di una salvezza possibile per una nazione allo sbando, ferita nell’orgoglio, in preda all’odio razziale e all’inflazione galoppante. Quella stessa memoria scomoda che si cerca di rimuovere freudianamente (Gertrude che si rifiuta di ricordare in presenza di Hans, la tomba dei genitori dello stesso Hans, suicidatisi dopo la partenza del ragazzo, addossati al muro di cinta del cimitero, seminascosti dalla spontanea vegetazione), nel tentativo di occultare la cattiva coscienza di un intero popolo, balza prepotentemente in superficie con la presa di coscienza da parte di Hans di essersi soltanto allontanato da un amico sincero, ritrovato decine di anni dopo nella sua effettiva e autentica valenza. La Storia dispone, accomuna, disfa e divide, ma è il ricordo del fatto storico, l’alacre tentativo di lacerare le nebbie dell’apparenza che permettono di accettare ed amare nella perfezione dell’assenza quello che il presente non consentiva di apprezzare. Giampiero Frasca  

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