White Oleander-Oleandro Bianco

 

Sinossi

La quindicenne Astrid è figlia di Ingrid, un’artista dalla forte personalità. Il rapporto di Ingrid con Barry, un giornalista, è burrascoso al punto che la donna decide di uccidere il suo amante avvelenandolo. Con Ingrid in prigione, condannata a trentacinque anni di reclusione, per Astrid inizia la girandola degli affidamenti alle famiglie. La famiglia deputata ad ospitarla è quella di Starr Thomas, una spogliarellista ex alcolista convertitasi alla fede in Cristo. Starr convive con Ray, un uomo che ad Astrid ricorda il padre che non ha mai conosciuto, e la ragazza gli si affeziona sempre di più, fino a vivere un rapporto ambiguo che provoca l’isteria della donna. Starr, che nel frattempo ha ricominciato a bere, una sera, infatti, spara un colpo di arma da fuoco verso Astrid, che si salva per miracolo. Guarita, la fanciulla è condotta nella comunità che ospita i ragazzi in attesa di affidamento. L’ambiente è squallido e la convivenza con le compagne risulta difficile a causa dell’aggressività di queste ultime. Nella comunità Astrid conosce però Paul, un ragazzo sensibile, dotato di uno spiccato talento artistico, dal rapporto con il quale nasce una piccola storia d’amore. Ma la relazione è subito interrotta: Astrid si trasferisce a casa di Claire Richards, una delicata attricetta che, in crisi per la costante lontananza lavorativa del marito (del quale sospetta una relazione extraconiugale), le dona incondizionatamente tutto il suo affetto. Ma Ingrid, gelosa del rapporto nato tra la figlia e la donna, spinge per conoscere Claire e imporre così tutta la sua personalità: durante l’incontro in carcere, Ingrid esaspera le insicurezze di Claire al punto da spingerla nei giorni successivi (e dopo l’intenzione palesata dal marito di lasciare l’abitazione) al suicidio. Profondamente addolorata e furente nei confronti della madre, reputata responsabile del suicidio, Astrid si chiude in se stessa, rifiutando l’affetto di Paul e l’affidamento ad altre famiglie, per accettare quello ad una donna bizzarra di origine russa, Rena, che la obbliga a girovagare per trovare nei rifiuti vestiti da vendere successivamente nei mercati. Trascorsi tre anni dall’omicidio di Barry, l’avvocato di Ingrid propone ad Astrid di testimoniare a favore della madre per ottenere una revisione della pena. La ragazza, ormai alle soglie della maggiore età e sempre più ostile nei confronti di Ingrid, baratta la sua falsa testimonianza con la verità della donna sul rapporto con il marito. Astrid scopre così che il padre era un artista, fuggito dopo sei mesi dalla sua nascita e che Ingrid stessa, impaurita dalla responsabilità della maternità, la abbandonò per circa un anno. Astrid, riconosciuto l’egoismo della madre, accetta di testimoniare. Il giorno del processo, tuttavia, Ingrid non la chiama in causa per non coinvolgerla, accettando completamente la sua pena detentiva. Astrid si trasferirà a New York per vivere con Paul.

Introduzione al Film

Un ritratto variabile

White Oleander si propone come affresco/carrellata sulle diverse caratteristiche delle famiglie americane, vissuto attraverso l’esperienza della quindicenne Astrid, figlia di un’artista dalla personalità ingombrante, egoista e possessiva, tiranna di una ragazza che deve ancora sbocciare. Per fare questo, il regista Peter Kosminsky, esperto di film per la televisione, utilizza un registro molto variabile, che accompagna lo spettatore nelle varie stazioni del particolare percorso di formazione di Astrid, grazie alla macchina da presa a mano, che aderendo al personaggio, seguendolo passo per passo, mostra un mondo in costante e progressiva rivelazione. Giostrando tra le diverse tonalità dei generi cinematografici (si passa, infatti, dal melodramma familiare al thriller causato da motivi passionali, passando per le sequenze proprie di un prison movie, il film d’ambientazione carceraria, il dramma urbano, non dimenticando il personale percorso di formazione condotto da Astrid all’interno delle varie famiglie cui viene affidata), Kosminsky offre uno spaccato delle differenti possibilità che si offrono al disagio adolescenziale, mostrando un necessario tragitto a ritroso fatto di responsabilità indirette e successive redenzioni. Grazie ad una fotografia che cambia a secondo dell’ambiente in cui Astrid è inserita (candido e ovattato quello materno, acceso e pronto ad esplodere quello di Starr Thomas, placido e apparentemente sereno lo spazio di Claire Richards, squallido e alienante per la comunità di soggiorno in attesa dell’affidamento, bizzarro e kitsch quello della russa Rena), Kosminsky suggerisce fasi differenti del variegato e doloroso cammino da compiere per ritrovare quella serenità mancata negli anni dell’adolescenza indifesa e dolente.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Un percorso di formazione al contrario

L’oleandro che dà il titolo alla pellicola è un fiore dalla grande eleganza e dalla particolare fierezza. Ma è anche pianta velenosissima. La metafora su cui si basa il film è chiara: la bellezza e l’eleganza di Ingrid Magnussen, artista di talento, nascondono un veleno insidioso pronto a colpire chi si frappone tra lei e suoi disegni, tra lei e i suoi affetti, tra lei e i suoi obiettivi. Ma, nonostante le apparenze, White Oleander non è un oscuro thriller con protagonista una sorta di mantide religiosa: la storia, infatti, mette in evidenza quanto sia velenosa la bella Ingrid fin dalle prime scene, mostrando l’omicidio di Barry Kolker, il suo l’amante. Nessuna tensione rivolta alla scoperta di un assassino, nessun colpo di scena: il crimine di Ingrid viene piuttosto osservato e analizzato nelle nefaste conseguenze sulla delicata Astrid, adolescente bisognosa di affetto e attenzioni da parte di una madre troppo attenta a se stessa e alla sua vita irregolare per preoccuparsi dei piccoli ma importantissimi bisogni della ragazza. Abbandonata nel suo percorso scolastico (Astrid comunica al suo insegnante che, nonostante il suo rendimento non sia dei migliori, la madre non potrà partecipare all’incontro con gli insegnanti), lasciata sola per il lunghissimo periodo della detenzione, Astrid inizia un viaggio negli inferi della trascuratezza e, allo stesso tempo, un percorso all’interno della varietà dei nuclei familiari americani. Dapprima Starr Thomas, integralista religiosa che cerca di cancellare un passato difficile fatto di eccesso di sostanze alcoliche ed esibizione disperata del proprio corpo. Starr cerca di costruire un altrettanto precario presente con una famiglia da inventare e con rapporti problematici da gestire (soprattutto quello con la ribelle figlia Carolee, che ritiene la madre una debole ipocrita schiava delle idee religiose del predicatore Daniels; ma anche quello con il compagno Ray, attratto dal candore di Astrid, la quale rivede nell’uomo una figura vicaria del padre mai conosciuto). Poi Claire Richards, vulnerabile attrice innamoratissima del marito, belloccio, importante e indifferente, sempre lontano da casa per lavoro. Infine la russa Rena, pronta a gestire come una famiglia una sorta di “corte dei miracoli” formata da ragazze disadattate, pronte ad investire il loro tempo in una vita trasandata, vissuta per la mera sopravvivenza, senza alcuna speranza di un futuro migliore. Quello di Astrid appare come un autentico percorso di formazione a ritroso, una specie di viaggio agli inferi dell’affetto e della sicurezza familiare, iniziato da una situazione di apparente equilibrio (con una madre che, nonostante le mancanze, è pur sempre l’unica presenza certa) e vissuta come una spaventosa progressione verso il basso dei sentimenti, della sensibilità e del rispetto umano. Astrid, da candido giglio diventa un oscuro e tetro fiore notturno: il suo stesso aspetto, da ingenuo e limpido (vestiti chiari e capelli biondissimi), passa ad essere crepuscolare e torbido (capelli dapprima tagliati irregolarmente, poi tinti di nero; vestiti non più delicati e gradevoli, ma volgari e provocanti), una serie di elementi, questi che sottolineano il suo trauma affettivo anche sul piano iconico. Una madre che ha sempre pensato a se stessa, tentando arrogantemente di emergere, di influire anche sulle famiglie a cui Astrid è stata affidata, provoca uno sconvolgimento da cui la ragazza può uscire soltanto con la redenzione della stessa Ingrid. La redenzione avviene: la donna rinuncia alla libertà per amore della figlia. Astrid, dal canto suo, recupera una madre e può finalmente pensare a sé e alle proprie future, entusiasmanti esperienze di vita.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Artisti e famiglia

Si riscontra una singolare coincidenza di temi e situazioni narrative tra White Oleander e un film poco noto di Stuart Heisler del 1947 dal titolo Una donna distrusse. Anche in questo caso si racconta di una giovane artista (come Ingrid in White Oleander) che sposa un collega (che nel film di Kosminsky fugge dopo sei mesi dalla nascita della figlia), ma se nella pellicola con Michelle Pfeiffer la donna rimane terrorizzata e delusa dall’esperienza materna, tanto da fuggire affidando la figlia ad una vicina di casa per un anno, per poi ritornare e assumersi a modo proprio le sue responsabilità di madre, in Una donna distrusse l’artista si dà per insoddisfazione all’alcool, causando la ripulsa del compagno che chiede l’affidamento della bambina. La conclusione sarà inevitabilmente tragica, a differenza di White Oleander, in cui la tragedia quotidiana diventa il percorso obbligato per redimere le colpe altrui e recuperare un rapporto perso miseramente per egoismi, perversità e paura di essere sostituiti nella considerazione affettiva. Queste pellicole possono servire come esempio all’interno di nuclei didattici in cui si prenda in esame la figura dei minori affidati a famiglie diverse per mancanze, incapacità o impossibilità dei genitori legittimi. Giampiero Frasca