La coppa

07/05/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Adolescenza Sviluppo psicologico Titoli Rassegne filmografiche

di Khyentse Norbu

(Australia/Buthan, 1999)

Sinossi

In un monastero buddhista situato nel nord dell’India il giovane monaco Orgyen alterna alle preghiere e agli obblighi monastici una passione sviscerata per il calcio. Proprio nei giorni in cui si gioca la fase finale del Campionato del mondo, giungono al monastero dal Tibet due novizi che fraternizzano subito con Orgyen, facendosi coinvolgere dal suo entusiasmo per le partite. Durante la notte i ragazzi, guidati da Orgyen, sgattaiolano fuori dal monastero per recarsi in un bar dove è possibile assistere alle partite. Tornati al monastero vengono scoperti da Geko, il loro maestro, che riferisce l’accaduto all’anziano abate. Per evitare altre fughe notturne, i due monaci decidono di concedere ai giovani il permesso di affittare un televisore. Orgyen si dà da fare per raccogliere il denaro necessario per l’affitto dell’apparecchio ma, quando si accorge che i soldi non bastano, chiede a uno dei nuovi arrivati di impegnare un orologio donatogli dalla madre. Mentre assiste alla partita, Orgyen, che ha capito di aver procurato un dispiacere al suo compagno, si affretta a trovare il denaro necessario a riscattare il pegno. Geko lo rassicura: penserà il convento a pagare il suo piccolo debito.

Presentazione critica

Cinema e sport sono due attività ricreative che la religione cattolica ha da tempo imparato a utilizzare per attirare a sé i giovani: un campo da calcio dietro la parrocchia, magari in terra battuta, e il cineforum allestito alla meglio in sagrestia si sono dimostrati, nel corso degli anni, molto più efficaci di tante prediche. Più difficile è immaginare quale possa essere l’impatto provocato dal Campionato mondiale di calcio sull’immaginario di un gruppo di giovanissimi monaci buddhisti esiliati in India. Decisamente insolito è scoprire, poi, quanto sia potente il richiamo esercitato dai miti calcistici che riempiono gli stadi in Occidente anche su chi ha fatto dell’ascesi una scelta di vita. Non è certamente un caso che, per il primo film interamente girato in lingua tibetana, per di più da un monaco buddhista, sia stata scelta una prospettiva tanto particolare: l’obiettivo del film è, infatti, quello di demistificare una certa concezione occidentale della religione buddhista. Dovuta per larga parte a un immaginario (creato soprattutto dal cinema) che dipende da una serie di luoghi comuni dovuti alla distanza geografica, ma anche da una concezione tendente a banalizzare le culture troppo diverse dalla nostra per semplice comodità, la visione occidentale del buddhismo come pratica volta a isolare l’individuo dal mondo, come forma di ascesi mistica basata sulla rinuncia a qualsiasi piacere o svago terreno, deve essere completamente riveduta. L’approccio scelto da Khyentse Norbu potrebbe sembrare il meno originale tra quelli possibili: anche per i due film occidentali che hanno in massima parte contribuito a informare il pubblico cinematografico su questa cultura (Piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci e Kundun di Martin Scorsese) fu scelto, infatti, uno sguardo ad altezza di bambino. E tuttavia non è così: è proprio la prosaicità della passione dei piccoli monaci, l’apparente estraneità del calcio al loro mondo semplice e rarefatto, a esaltare ancora meglio quello che, probabilmente, è uno dei pregi più grandi di questa dottrina: la tolleranza. Alla trasgressione della regola da parte dei giovani monaci, l’abate risponde nella maniera più razionale ed equilibrata possibile, ovvero concedendo il permesso a tutti i monaci di assistere alla finale del campionato. Quella che in un contesto culturale diverso (il nostro) sarebbe stata un’occasione di conflitto, qui si risolve in un onorevole compromesso tra fede e tifo calcistico che rende merito tanto alla bonaria comprensione degli adulti quanto all’intelligenza caparbia dei giovani. Nessuno stupore, dunque, nel constatare che la passione del piccolo Orgyen, per quanto coinvolgente, non lo renda cieco: il ragazzino comprende di aver chiesto al suo compagno un sacrificio troppo grande e, senza aspettare che la partita termini, si dà da fare per porvi rimedio. Il film, insomma, è costellato di scene, situazioni, piccoli particolari che rimescolano la nostra visione tradizionale sul buddhismo e ci inducono a tentare un approccio nuovo con quella cultura. Un’inquadratura, in particolare, appare emblematica: quella in cui sul fondo di una tazza di tè sollevata da un giovane monaco appare una svastica, un simbolo che, ben prima di divenire l’emblema del nazismo, da sempre rappresenta in Oriente il movimento cosmico. Un piccolo messaggio ‘subliminale’ che spiazza e al tempo stesso ricolloca la coscienza che lo spettatore ha dell’Oriente e, forse, anche di se stesso e della propria cultura. Malgrado il tono leggero del film, Norbu (già consulente religioso di Bertolucci per Piccolo Buddha) riesce anche a ricordarci, attraverso brevi ma significativi accenni, il dramma del Tibet occupato dalla Cina, i problemi della convivenza dei monaci esiliati con la popolazione indiana, la necessità per chi non ha più una patria di mantenere i contatti con il resto del mondo, di sentirsene parte forse anche grazie alla passione per lo sport. Fabrizio Colamartino

E' possibile ricercare i film attraverso il Catalogo, digitando il titolo del film nel campo di ricerca. Le schede catalografiche, oltre alla presentazione critica collegata con link multimediale, contengono il cast&credits e una sinossi. Tutti i film in catalogo possono essere richiesti in prestito alla Biblioteca Innocenti Library - Alfredo Carlo Moro (nel rispetto della normativa vigente).