Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano

di François Dupeyron

(Francia, 2003) 

Sinossi

Parigi, anni ’60: Mosè, detto Momò, di famiglia ebrea, abbandonato quand’era piccolo dalla madre, abita con il padre in un quartiere periferico della città. Dalla finestra della sua stanza osserva la sfilata delle prostitute che lavorano proprio sul marciapiede nell’isolato di casa sua. Il rapporto con il padre non è certo buono, anche perché il genitore, spesso depresso o arrabbiato per le sue pessime condizioni lavorative, è sempre pronto a rinfacciare a Momò di non essere come il fratello Popol, partito con la madre molti anni prima. Alla soglia dei sedici anni, deciso a perdere la verginità, contrariamente ai rigidi precetti del padre, dà fondo ai suoi risparmi per pagarsi un rapporto sessuale. Inoltre, per continuare a frequentare le prostitute, comincia a rubacchiare nel negozio di fronte a casa, gestito dall’arabo Ibrahim, e a fare la cresta sulla spesa. Tra Momò e il vecchio Ibrahim si innesca lentamente una complicità sempre più forte, con l’arabo (appellativo utilizzato come sinonimo di musulmano), che dispensa le sue perle di saggezza coraniche alle orecchie insieme ingenue e disilluse del ragazzo. Perso il lavoro, il padre si allontana da casa per la vergogna abbandonando il figlio e ben presto arriva la notizia del suo suicidio. Momò è ormai indipendente e in grado di compiere consapevolmente le scelte migliori per se: all’arrivo della madre, dopo moltissimi anni, dichiara di chiamarsi Mohamed per non dover essere affidato alle sue cure e viene a sapere da lei che Popol non è mai esistito. Il rapporto con Ibrahim, intanto, è diventato a tutti gli effetti genitoriale, e dopo aver proceduto all’atto di adozione, padre e figlio partono sulla loro nuovissima decappottabile per un viaggio in Turchia. In realtà quello, per Ibrahim, si rivelerà l’ultimo viaggio: a causa di un incidente stradale muore nel suo minuscolo villaggio di origine. Tutta la sua eredità, un vecchio Corano con due fiori tra le pagine, è per il figlio Momò. L’ultima sequenza ci restituisce un Momò cresciuto, ormai noto come Mohamed, sulla soglia della piccola bottega del quartiere, intento a dispensare ad altri i suoi “fiori del Corano”.

Introduzione al Film

Vecchia Nouvelle Vague

Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano si pone prima di tutto come un omaggio agli anni ’60. Sulla strada che Momò osserva instancabilmente dalla sua finestra, sfilano, è proprio il caso di utilizzare questo termine, bellissime donne con abiti variopinti e retrò sfiorate da enormi automobili colorate e meravigliose, tra le note sincopate che la radio trasmette come un invito a sciogliersi in un ballo scatenato. Ed ancora, con questo film, Francois Dupeyron costruisce un piccolo monumento alla Nouvelle Vague, la nuova corrente cinematografica che proprio a partire dalla Francia, in quegli anni, rivoluzionava, con autori-critici come Godard, Truffaut, Resnais, Rohmer, il modo di fare e pensare il cinema. Un cinema che in quegli anni finiva per le strade come quelle perlustrate dal protagonista dove, non a caso, sulle note di una canzonetta intitolata “Nouvelle vague” ci si prepara a girare una scena curiosamente simile a Fino all’ultimo respiro, con un regista curiosamente simile proprio a Jean-Luc Godard. Con un divertente esercizio di imitazione e modernizzazione, Dupeyron ri-tenta quello scavalcamento emotivo delle barriere di sicurezza, quel tentativo straordinariamente riuscito di abbassare la macchina da presa al livello del cuore dell’uomo e della realtà, di andare oltre la finzione pur mantenendo la poesia; ecco allora che la macchina scende continuamente dal cavalletto, in groppa all’operatore, per respirare, muoversi e traballare liberamente al fianco, di fronte e dentro i protagonisti. Un modo efficace di affrontare una storia che vive sui volti degli attori, quello perfetto di Omar Sharif e quello bellissimo di Pierre Boulanger, e nelle loro parole vive pronunciate con i denti, con le labbra, con la lingua. Vano e deludente, invece, cercare nel film un approfondimento sull’Islam o sui rapporti profondi tra le religioni monoteiste, risolto sbrigativamente da un excursus sull’odore dei luoghi di culto (incenso nelle chiese ortodosse, candele in quelle cattoliche, sudore in Moschea), e con il Corano ridotto quasi ad un libro di aforismi.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

La scelta del padre

Mosè, emblema dell’adolescenza come età della trasformazione dolorosa ma necessaria, vive una sorta di lacerazione interiore: da un lato agisce come un adulto, rompendo simbolicamente il salvadanaio a cui fin dall’infanzia aveva affidato i propri risparmi per poter perdere la verginità e sentirsi finalmente cresciuto, dall’altro è in cerca di qualcuno che lo aiuti a sviluppare una propria consapevolezza, un maestro di vita che lo traghetti nella maturità spirituale. Il padre, abbandonato a sua volta dalla moglie per la sua incapacità di amare e di affrontare la vita, incapace persino di controllare il proprio corpo, invece di occuparsi di lui si rifugia nella finzione dei suoi libri polverosi e nell’invenzione di un fantomatico figlio perfetto, Popol, insieme alter-ego ed emanazione, proiezione onirica del padre stesso. Mosè vive quest’eterno confronto oppressivo pensando che la madre abbia preferito il fratello a lui e sentendosi continuamente inadeguato e insicuro, non sapendo dare forma alle proprie inclinazioni ed alla propria interiorità. Il suicidio del padre, odiato e disprezzato, pone il protagonista di fronte alla necessità/possibilità di trovare un sostituto finalmente all’altezza del compito: all’arrivo della madre, riapparsa dopo anni e colpevole di un primo, originario, imperdonabile abbandono, la scelta è gia compiuta, con una sorta di cambio di identità, Mosè dichiara di chiamarsi Mohamed, che sancisce il rifiuto totale delle proprie origini insieme famigliari e culturali. È nel vecchio Ibrahim, placido dispensatore di saggezza e di pratici consigli, che Momò trova un maestro amorevole ed una guida autorevole, un padre spirituale in grado di placare la sua sete metafisica ma anche un benevolo complice nei piccoli insegnamenti della vita quotidiana. L’adozione, tenacemente voluta e ottenuta nonostante le lungaggini burocratiche, sancisce un’alleanza perfetta che, ben prima di essere interreligiosa, interrazziale o intergenerazionale, è il punto di arrivo di due persone in cerca l’una dell’altra. Gli insegnamenti di Ibrahim non sono, dunque, le regole e i precetti islamici, ma costituiscono uno stimolo fondamentale all’educazione ed alla formazione del carattere. Quello che gli adolescenti di oggi cercano nei loro idoli, le grandi star della musica leggera, gli attori, i personaggi controversi, vale a dire dei simboli di una controcultura, di una rivoluzione rispetto agli schemi e alle rigidità degli adulti, Momò li trova condensati nelle parole semplici ma illuminanti di questo padre-nonno e nel suo sorriso disarmato e disarmante. La morte di Ibrahim arriva alla fine di un viaggio fisico e simbolico e la sua eredità, quel Corano vecchio e consumato, è una filosofia di vita, una ricerca della serenità, una via per la pace interiore. Momò ora è adulto: non più figlio, è pronto a diventare padre.

Riferimento ad altre pellicole e spunti didattici

Un riferimento tematico e stilistico obbligato sull’abbandono, sull’adolescenza difficile e sulla ricerca di riferimenti è I quattrocento colpi di Francois Truffaut. Questo film si pone nei confronti di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano come un predecessore imprescindibile sia per lo stile della regia (il film di Truffaut è uno dei manifesti e dei capolavori proprio della Nouvelle Vague), sia per la vicenda narrata: con forti tratti autobiografici Truffaut rende in tutta la sua complessità la storia di un adolescente abbandonato e incompreso alla ricerca di una identità e di un modo per uscire dalla propria condizione oppressiva; il viaggio si scontra con le gabbie sociali (il riformatorio) e con la fuga in un meraviglioso finale aperto e irrisolto. Se la pellicola è poco utile, come si è già detto, per approfondire le differenze che ci sono tra islamismo, ebraismo e cattolicesimo, in compenso il film può rappresentare un buon esempio – almeno nella sua prima parte – per riflettere sul rapporto tra ragazzi ed anziani. Sullo stesso tema segnaliamo Tolgo il disturbo di Dino Risi, Azzurro di Denis Rabaglia, Un giorno da ricordare di James Foley. Ludovico Bonora  

E' possibile ricercare i film attraverso il Catalogo, digitando il titolo del film nel campo di ricerca. Le schede catalografiche, oltre alla presentazione critica collegata con link multimediale, contengono il cast&credits e una sinossi. Tutti i film in catalogo possono essere richiesti in prestito alla Biblioteca Innocenti Library - Alfredo Carlo Moro (nel rispetto della normativa vigente).