Boys don't cry

17/07/2009 Tipo di risorsa Schede film Temi Adolescenza Sessualità Titoli Rassegne filmografiche

di Kimberly Peirce

(USA, 1999)

Sinossi

Teena Bandon è una ragazza che soffre di una profonda crisi di identità sessuale: è attratta dalle altre donne ma non è lesbica, si sente (ed è) uomo in tutto e per tutto tranne che dal punto di vista anatomico. In fuga da una ragazza con cui si era fidanzata e che ha scoperto la verità, Teena cambia il proprio nome in Brandon e, spacciandosi per uomo, si imbatte in un gruppo di giovani il cui leader è John, uno sbandato con precedenti penali che decide di prenderlo sotto la sua ala protettrice. Brandon si stabilisce da Candace, una giovanissima ragazza madre, ma soprattutto conosce Lana, operaia in una fabbrica di conserve, che vive con la madre alcolizzata. Brandon è attratto da Lana e, malgrado sappia che è stata la ragazza di John, non esita a corteggiarla, anche perché contraccambiato. Quando Brandon riceve una convocazione in tribunale per un furto commesso tempo addietro, decide di non presentarsi e di ritornare da Lana. Con la ragazza fa progetti per il futuro: sognano di partire, rifarsi una vita altrove, lontano dallo squallore della provincia. Ma Brandon viene nuovamente convocato dalla polizia, questa volta per una multa: riconosciuto come Teena Brandon viene arrestato. In carcere è costretto a rivelare la verità a Lana che, tuttavia, non è interessata a conoscerla: è comunque innamorata di lui e, pagata la cauzione, lo fa uscire di galera progettando di fuggire insieme una volta per tutte. Ma John e gli altri hanno scoperto tutto: Brandon viene prima umiliato, poi violentato, infine ucciso insieme a Candace colpevole solo di averlo ospitato.

PRESENTAZIONE CRITICA

INTRODUZIONE AL FILM

Una storia vera tradotta in spettacolo Le tragiche vicende narrate in Boys Don’t Cry sono la ricostruzione di un fatto di cronaca del 1993 accaduto a Falls City, una cittadina del Nebraska, uno degli stati americani più conservatori e intolleranti nei confronti della diversità, sia essa politica, razziale o sessuale. Il film è frutto di un paziente lavoro di ricerca portato avanti per diversi anni dalla regista Kimberly Peirce e dallo sceneggiatore Andy Bienen che, attraverso una serie di interviste ai reali protagonisti dei fatti, hanno raccolto una documentazione completa di tutti i retroscena della vicenda. Un lavoro, questo, che tuttavia non si è imposto con incisività sul risultato finale che resta nella memoria dello spettatore più per elementi quali la scabrosa tematica affrontata, la superlativa interpretazione di Hilary Swank nei panni di Teena Brandon, la mano sicura della regista nel condurre in porto un film decisamente rischioso, che per la capacità di affrontare una storia di certo molto affascinante con altrettanta originalità. Sono molti, infatti, gli elementi presenti in Boys Don’t Cry che richiamano un certo immaginario cinematografico sulla devianza giovanile, la marginalità e il degrado sociale elaborato dal cinema indipendente americano soprattutto nell’ultimo decennio. Su tutto l’ambientazione nella provincia più depressa degli Stati Uniti, quella degli stati del cosiddetto Midwest, alveo naturale per ogni genere di intolleranza e razzismo, ma soprattutto attraversata da quell’ideologia maschilista che sarà la causa principale dell’epilogo tragico della vicenda. Poi la scelta di uno stile il più possibile “realistico”, dalle movenze spesso scomposte, proprio nel tentativo di mettere meglio in evidenza il degrado degli ambienti e lo squallore delle situazioni, ma al tempo stesso attento a punteggiare con inquadrature “atmosferiche” (riprese a passo ridotto del cielo che danno un effetto di accelerazione al moto delle nuvole, quasi a voler sottolineare lo scorrere inesorabile del tempo, la corsa della protagonista verso un destino segnato) importate direttamente dal mondo del videoclip. Boys Don’t Cry è, infatti, una pellicola che costruisce il proprio realismo da film di denuncia con grande abilità, riuscendo a trasformare in spettacolo (nel senso migliore del termine) anche l’universo degradato che fa da sfondo alla storia. La decisione di ambientare gran parte dell’azione di notte, ad esempio, è volta a sottolineare la marginalità dei protagonisti, l’irregolarità delle loro storie, ma è pur vero che l’obbiettivo reale di questa scelta è quello di utilizzare al massimo delle sue potenzialità una fotografia dalle tonalità acide, solo apparentemente trascurata, in realtà studiatissima ad esempio nell’uso del controluce, della sovraesposizione dei soggetti che, in questo modo, assurgono alla statura di vere e proprie icone della devianza giovanile. Un’aura di maledettismo che inficia soprattutto la rappresentazione dei personaggi secondari, a tratti eccessivamente schematici, bidimensionali e che, tuttavia, non impedisce al film di portare in profondità l’analisi della personalità della protagonista in continua e pericolosa oscillazione tra l’angosciosa ricerca della propria identità sessuale e il proposito ostinato di vivere a qualunque costo la sua età seguendo la propria reale natura. Non del tutto esente da difetti, Boys Don’t Cry è un film comunque solido per la costruzione narrativa, diretto nella presentazione degli eventi, restituito dallo sguardo della stessa protagonista la cui condizione viene data fin dall’inizio per accettata e sull’origine della quale non vengono dati motivi, spiegazioni o, peggio, giustificazioni, utili soltanto a tranquillizzare la cattiva coscienza dello spettatore.

IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE

Maschio tra i maschi

Film di forti contrasti stilistici, Boys Don’t Cry sembra volersi adeguare dal punto di vista formale (riuscendovi solo in parte) alla scelta coraggiosa e radicale della sua protagonista: la Peirce sceglie di descrivere il mondo maschilista del Midwest statunitense attraverso lo sguardo di un personaggio fragile e turbato che ha scelto di farsi passare per uomo (e successivamente di diventare tale) in una società nella quale, forse più che in ogni altra, l’essere uomini passa essenzialmente attraverso l’ostentazione di una serie di attributi esteriori e comportamenti atti a fugare ogni possibile dubbio sull’appartenenza di genere. Il grado di intolleranza verso la diversità, verso l’individuo che potrebbe mettere in dubbio, anche solo attraverso la propria presenza, i ruoli acquisiti una volta per tutte, quelli sui quali si fonda una concezione d’ordine decisamente razzista, si misura proprio attraverso una serie di atteggiamenti esteriori e di prove che la protagonista deve superare per potersi fare accettare in quanto uomo, oppure tentare di evitare per non essere smascherata. Per questo in Boys Don’t Cry assistiamo a un’iniziazione (fatalmente destinata all’insuccesso) ad un mondo, quello dei maschi, che sembra tanto più entusiasmare la protagonista quanto più diviene problematico il tentativo di farsi accogliere al suo interno. L’aspetto androgino di Brandon è solo uno degli elementi che ne fanno un adolescente alla ricerca di se stesso in un mondo di adulti: è proprio il tentativo, a tratti disperato altre volte spavaldo, di farsi accettare all’interno di un gruppo attraverso l’assunzione di un ruolo del tutto estraneo alla propria natura a costituire il motivo portante della pellicola, al di là degli aspetti più appariscenti e, in definitiva, pruriginosi della vicenda. Brandon non è il diverso che chiede di essere accettato in quanto tale all’interno di una comunità e che, dunque, vuole cambiarne le regole, sconvolgerne l’ordine, tutt’altro: nella sua identificazione assoluta e inconsapevole con il ruolo maschile (si veda in proposito la scena della vestizione nella prima sequenza, il compiacimento di Teena nell’aver mutato il proprio aspetto originario e, al tempo stesso, di corrispondere a uno stereotipo di maschio che è l’opposto), desidera essere accolto all’interno del gruppo in quanto uomo, ovvero proprio in base a quei valori, a quelle prerogative e a quegli attributi dai quali è tanto affascinato e che, tuttavia, saranno la causa della sua espulsione, del suo rigetto da parte del gruppo stesso. Un gruppo i cui membri sono, paradossalmente, a loro volta dei diversi, comunque degli emarginati (la madre di Lana è alcolizzata, John e il suo amico Tom sono pregiudicati, Candace e la sua amica Kate sono ragazze madri) e che proprio attraverso la discriminazione di Brandon riescono, almeno per un po’, a sentirsi “normali”. L’unica persona che riesca ad accettare Brandon per quel che è, è Lana: a differenza di tutti gli altri, fossilizzati nei propri rispettivi ruoli, incapaci di guardare appena fuori da Falls City, Lana sogna, proprio come Brandon, un futuro diverso, lontano dalla squallida vita divisa tra una madre alcolizzata e un lavoro alienante. Fabrizio Colamartino

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