Terza generazione

di Kate Woods

(Australia, 2000)

Sinossi

La famiglia Alibrandi – come afferma nonna Katia – è “dannata nei secoli”: sono rimaste solo in tre, Katia, abbandonata dal marito Francesco anni addietro, la figlia Christina, lasciata sola al momento del parto dal padre Michael Andretti, la nipote diciassettenne Josie, l’ultima della “dinastia”, convinta di poter rompere la tradizione e scegliere – per una volta nella storia della famiglia – il proprio destino. Josie è una brillante studentessa di un esclusivo college di Sidney e, seppur discriminata da alcune compagne altezzose perché di origine italiana, ha uno splendido rapporto con le proprie coetanee e con il bel John Barton, figlio del primo ministro australiano. Anche Jacob, un ragazzo ribelle e sensibile, le fa una corte spietata. A parte l’invadenza della comunità italo-australiana, la vita di Josie sembra filare liscia, fin quando non si rifà vivo il padre e – qualche tempo dopo – John si toglie la vita sotto il peso delle troppe pressioni dei genitori. Per la ragazza, il doppio tragico evento pare un colpo definitivo alle sue aspirazioni, ma non è così. Il padre si rivela un uomo capace di affetto e protezione nei confronti della figlia, Jacob le sta vicino dopo la scomparsa di John e l’aiuta a superare il dolore. Riacquistata la fiducia, Josie supera brillantemente l’esame di maturità e, dopo aver scoperto i terribili segreti che celano la nonna Katia e la mamma Christina, contribuisce a portare un po’ di serenità e chiarezza in famiglia.

Introduzione al Film

Nuovi generi crescono (e si evolvono) Lo possiamo considerare, ormai, un genere a tutti gli effetti, in cui si stanno specializzando i paesi anglofoni: stiamo parlando della “commedia etnica”, un filone cinematografico ambientato nelle comunità di emigranti sparse in Occidente, basati sui conflitti che si generano da una parte dall’esigenza di mantenere le proprie radici culturali e dall’altra dal dovere di adattarsi alla società che le ospita e alla globalizzazione galoppante. Le minoranze etniche portate sullo schermo ormai sono numerosissime: i pakistani (East is east di Damiel O’Donnel), gli indiani (Sognando Beckham di Gurinder Chadha), i greci (Il mio grosso grasso matrimonio greco di Joel Zwick), i libanesi (Jalla! Jalla! di Josef Fares, di produzione svedese, tuttavia) e, in questo caso, gli italiani, in un film non più ambientato in qualche Little Italy statunitense, bensì in Australia. La “commedia etnica” ha ormai fissato alcuni consolidati canovacci narrativi che prevedono invariabilmente: gag comiche che scaturiscono dall’incontro tra la cultura autoctona e quella della minoranza; conflitti di natura generazionale che contrappongono adulti e anziani da una parte, giovani e minori dall’altra; conflitti generati dai diversi modi di concepire ed intendere l’integrazione e/o il mantenimento delle proprie radici; un happy end teso a sottolineare la bontà di una società interrazziale; rappresentazioni parodistiche delle tradizioni e dei riti della nazione di origine. Pur mantenendosi sostanzialmente fedele alle caratteristiche sopra elencate, Terza generazione prova a discostarsi dal modello descritto inserendo, qua e là, alcuni elementi di novità. Intanto, la protagonista, Josie, nonostante la discriminazione messa in atto da alcune compagne particolarmente viziate (più invidiose che razziste), è perfettamente integrata nel tessuto sociale della sua comunità, forse perché fa parte della terza generazione di una famiglia immigrata, e quindi immemore delle fatiche provate dai suoi nonni o dai suoi genitori per farsi accettare dagli australiani. E’ rappresentante d’istituto, brillante nel rendimento scolastico, a suo agio con i ragazzi, è addirittura amica del figlio del primo ministro australiano. In secondo luogo i conflitti generazionali sembrano avere poca sostanza: le tre donne Alibrandi si sentono unite da un destino comune, la stessa nonna Katia – che si professa garante dell’ordine morale di fronte ad una figlia e ad una nipote alquanto emancipate – nasconde un segreto inquietante, l’aver messo al mondo una bambina frutto di una relazione extraconiugale. In terzo luogo è presente, tra le righe della commedia, un’anima cupa e nera solitamente assente da questo tipo di produzione. Come avviene nei film australiani di Jane Campion o di Peter Weir, il lato oscuro delle cose fa capolino solo a tratti, ma quel tanto che basta a spazzare via quell’aria spensierata che vorrebbe caratterizzare il genere: si pensi ai segreti delle tre donne, al suicidio di John assolutamente imprevisto o al finale che, nonostante la sua leggerezza, di fatto non dissolve le ansie dei personaggi.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Il dna non si cancella Il periodo della vita che sta attraversando Josie è uno dei più delicati. È l’età in cui si progetta il futuro e si cerca di iniziare il lungo percorso che dovrebbe portare alla realizzazione delle proprie aspirazioni (nella prima parte vediamo non a caso la raffigurazione dei sogni della ragazza che si immagina procuratore generale e first lady); è il periodo in cui nascono i primi amori e si fanno le prime esperienze sessuali; è la stagione in cui ci si ribella ai propri genitori per verificare la propria autonomia e maturità. Sembrerebbe uno di quegli stadi della crescita, superato il quale non si può più tornare indietro. Tuttavia, a contraddire questa generale convinzione di ineluttabilità, interviene l’andamento circolare del racconto che mostra, sia all’inizio sia alla fine del film, la protagonista nel bel mezzo di una festa famigliare (il giorno della conserva in un caso, l’imbottigliamento del vino nell’altro). Se durante la narrazione degli eventi la ragazza afferma di aver imparato molte cose dall’ultimo periodo della sua vita e, implicitamente, ammette di essere maturata, è altresì vero che il ripetersi meccanico dei gesti con cui i parenti fanno la conserva o il vino sancisce l’impossibilità – per Josie – di allontanarsi dalla sua famiglia. Non si tratta, tuttavia, di una forma di prigionia, della sottomissione a un destino già segnato, ma di protezione, di ciclicità che dà conferme e sicurezze. E’ importante notare, inoltre, che tale riparo dalle brutture della quotidianità nasce e si fonda sul non detto, sul segreto condiviso, sulla sicurezza che esiste un diaframma tra ciò che si dice e ciò che si pensa, tra come si appare e come si è, che permette ai singoli personaggi di vivere con maggiore serenità anche le più desuete tradizioni famigliari. Questa discriminante regola i rapporti interpersonali, innanzi tutto con John, vero e proprio doppio di Josie: anch’egli ha il destino segnato, deve ripercorrere la strada di suo nonno e di suo padre (entrambi primi ministri), ma a differenza della ragazza, non riesce a discernere l’apparire dall’essere, i propri sogni dai condizionamenti esterni. Jacob, al contrario, è consapevole che l’aspetto esteriore di una persona non racchiude la sua essenza (si veda come si presenta al primo appuntamento con Josie), i suoi genitori non pretendono un conformismo di facciata (la madre è morta, il padre spesso è assente) ed ha capito che l’autenticità è un bene raro da condividere solo con le persone più care. Le richieste che gli adulti rivolgono agli adolescenti sono un misto di conformismo, paura dell’ignoto (è più sicuro chiedere ai figli di ripercorrere i propri passi), obblighi imposti dal ruolo che si ricopre. Per Josie, una volta svelate le ragioni del comportamento della nonna Katia e della madre, Christina, è più facile riscoprire e apprezzare la cultura italiana di riferimento e i riti necessari per mantenerla viva.

Riferimento ad altre pellicole

Terza generazione è un’opera interessante anche per il tipo di rappresentazione che viene data della cultura italiana, senz’altro diversa dai film dei registi italoamericani (Coppola, Scorsese). Il film potrebbe servire come spunto per riflettere sulle peculiarità e le tradizioni tipiche della nostra cultura e su quali aspetti di essa occorre rinverdire per sentirsi ancora italiani: il sugo, le canzoni, il vino, ecc… Parallelamente si può fare un lavoro analogo con le comunità di immigrati che vivono nelle nostre città. Quali sono le tradizioni che continuano a mantenere? Che tipo di immagine hanno le popolazioni autoctone? Marco Dalla Gassa