Fucking Amal

di Lukas Moodisson

(Svezia, 1999)

Sinossi

Elin e Agnes sono due adolescenti di Åmål, una cittadina svedese di provincia dove la vita scorre tranquilla, forse un po’ troppo per chi ha la loro età. Frequentano la stessa classe e, quanto Elin è estroversa e apparentemente sicura di sé, tanto Agnes è timida e riflessiva

: dopo un anno che la sua famiglia s’è trasferita ad Åmål non è ancora riuscita a inserirsi in un gruppo di coetanei. Agnes è diversa dalle sue compagne, in tutti i sensi: è innamorata di Elin ma, ovviamente, non riesce a confessarglielo, anche perché l’oggetto del suo desiderio fa parte di un gruppo di ragazze che la emargina e deride regolarmente. Spinta per scommessa da sua sorella a baciare Agnes, Elin scopre di esserne attratta. Tra le due ragazze nasce, più che un vero e proprio amore, una sorta di complicità, favorita dalla delusione di Elin nei confronti del suo ragazzo, conformista quanto tutti i suoi coetanei. Non sarà facile, soprattutto per Elin, perfettamente integrata in un gruppo, trovare il coraggio di distinguersi dagli altri e ammettere di fronte a tutti i suoi sentimenti verso Agnes.

Presentazione Critica

Questo piccolo film, primo lungometraggio di Lukas Moodisson, riesce a sorprendere lo spettatore mostrando come, nel paese che durante gli anni Sessanta fu fautore della cosiddetta “rivoluzione sessuale”, i giovani possano essere imprevedibilmente conformisti e, in fondo, molto simili ai loro coetanei del sud d’Europa. Pur narrando una storia sulla scoperta della sessualità – e, soprattutto, di una sessualità diversa – da parte di due adolescenti, il regista sceglie intelligentemente di non incentrare la vicenda sul disagio giovanile all’interno di una realtà estrema, sul degrado dei valori nella società contemporanea, se non per quella parte che riguarda le umiliazioni che Agnes subisce in ambito scolastico. La sceneggiatura non punta al film di denuncia o al drammone strappalacrime, né vira il tono della pellicola sui moduli della commedia adolescenzial-demenziale. Fucking Åmål si limita, infatti, a rappresentare un microcosmo apparentemente banale, dichiaratamente provinciale, fatto di festicciole a base di alcolici e marijuana, disquisizioni sui telefoni cellulari ultimo modello, ragazzine innamorate e malinconiche che scrivono poesie, piccoli conflitti generazionali con genitori che non sanno che pesci prendere di fronte a dei figli più annoiati della vita che inquieti, ragazzi che vorrebbero provare il brivido di un rave party (quei raduni semiclandestini a base di ecstasy e musica techno a tutto volume), almeno fino a quando non si accorgono che, fortunatamente, una rivista ha decretato che i rave parties sono, oramai, irrimediabilmente fuori moda. Grazie a un uso inquieto e spiazzante della macchina da presa, il regista coglie il vorticoso intrecciarsi delle passioni amorose che appaiono tanto più ingenue quanto più vengono spacciate dai protagonisti per dei rapporti sentimentali maturi: è uno sguardo sgrammaticato, libero, apparentemente senza stile e che si confronta con i frammenti di una realtà apparentemente poco interessante ed emotivamente coinvolgente. E, se si pensa che il film si regge esclusivamente sulla progressiva presa di coscienza da parte di Elin dei suoi reali desideri e sulla difficoltà di confessarli, prima a se stessa e poi alla piccola comunità di adolescenti di cui fa parte, senza che molto altro vada a rimpolpare una trama esile quante altre mai, è davvero sorprendente come l’attenzione resti viva fino alla fine. Il film, invece, coinvolge, diverte e, a tratti, riesce perfino a commuovere, come, ad esempio, nella scena in cui le due ragazze, sedute sul sedile posteriore dell’auto di uno sconosciuto cui hanno chiesto un passaggio per scappare a Stoccolma, si baciano per la prima volta, forse più per l’emozione della piccola trasgressione che le unisce in quel momento, che per una reale attrazione. Spregiudicatezza e ingenuità, esibizionismo e pudore si fondono anche nel finale del film – dopo la dichiarazione coram populo della loro relazione ritroviamo le due protagoniste che conversano tranquillamente su quali siano le dosi giuste per preparare una buona tazza di cacao solubile – confermando la leggerezza del tocco di un regista quasi esordiente che, con questo piccolo film, è riuscito a battere per incassi in Svezia addirittura il kolossal Titanic. Fucking Åmål è un film decisamente riuscito perché riesce a fotografare con rara sensibilità, a dispetto dello stile spontaneo e a tratti impietoso che lo sorregge, una generazione come quella contemporanea con tutti i suoi tic, i suoi status symbol, i suoi modelli culturali – tanto più omologanti proprio perché comuni agli adolescenti di tutto il mondo globalizzato – mostrandoci quanto sia paradossalmente più difficile oggi rispetto al passato, sottrarsi a sedici anni al conformismo e allo spirito di gruppo che, spesso, rischiano di smorzare in un adolescente ogni differenza, qualsiasi sogno.

Fabrizio Colamartino  

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