Edward mani di forbice

2009/07/17 Type of resource Film cards Topics Family relationships Adoption Titles Rassegne filmografiche

di Tim Burton

(USA, 1990)

Sinossi

Una nonna racconta una favola alla nipote per farla addormentare: diversi anni prima, nella stessa cittadina, durante un giro di vendite di prodotti di bellezza, Peg ritrova nel tetro castello sulla sommità di una collina un ragazzo particolare, creato da un inventore morto poco prima di potergli trapiantare le mani. Edward, questo il nome del ragazzo, al posto della mani ha infatti delle forbici che se da un lato gli impediscono le pratiche più elementari, dall’altro gli permettono di forgiare perfette statue dalle siepi e altrettanto perfetti tagli di capelli. Il ragazzo, che Peg ha adottato, diventa subito molto popolare nella cittadina e suscita anche l’attenzione dei media che lo invitano ad una popolare trasmissione televisiva. Ad Edward viene prospettata l’ipotesi di aprire un salone da parrucchiere grazie all’aiuto della comunità, ma la banca non gli concede il prestito necessario e Joyce, un’amica di Peg, visitando quello che dovrebbe essere il salone, cerca di approfittare del ragazzo, che fugge via scosso. Edward è innamorato di Kim, la figlia di Peg, la quale è però fidanzata con l’arrogante Jim, figlio di una famiglia ricchissima e avara. Un giorno Jim decide di servirsi delle capaci forbici di Edward per svaligiare la casa dei suoi genitori, ma una volta aperta la porta della stanza in cui si dovrebbe trovare il bottino, scatta un nuovo allarme che blocca il povero Edward all’interno della casa, mentre Jim e i suoi complici fuggono, nonostante le vibranti proteste di Kim, che vede l’abbandono di Edward come un atto di grande vigliaccheria. Edward viene catturato ed accusato del furto, ma il ragazzo non dice una sola parola per discolparsi. Riaffidato alla famiglia di Peg e del marito Billy, Edward vive in silenzio quella che gli altri abitanti della città pensano sia una colpa, ma Kim, progressivamente, comincia ad allontanarsi da Jim, che non ha voluto ammettere le sue colpe. Jim non accetta passivamente la situazione e decide di dare una lezione a Edward e contemporaneamente riconquistare Kim. Ubriaco e accompagnato da un amico, Jim rischia di investire Kevin, il fratello di Kim, ma Edward riesce a scongiurare il pericolo, pur ferendo lievemente il ragazzo con le lame delle sue forbici. Ma la comunità crede che Edward, ormai in calo di popolarità, abbia ferito Kevin volontariamente e lo insegue fin nel castello in cui il giovane si è rifugiato. Nel castello avviene lo scontro finale tra un Jim accecato dall’odio e un Edward che punta soltanto a salvare Kim: Edward uccide Jim e Kim esce dal castello dicendo alla folla che Edward è morto nel crollo del tetto. L’azione ritorna alla nonna e alla bambina: la nonna non è altri che Kim, che da quel giorno non ha più visto Edward.

Presentazione Critica

C’è una scena che, forse più di ogni altra, fornisce la dimensione della disparità esistente tra Edward mani di forbice e il mondo apparentemente perfetto che lo circonda nella cittadina in cui ormai, dopo l’adozione di fatto nella famiglia di Billy e Peg, si trova a vivere la sua esistenza ‘normale’. Subito dopo il furto che Jim lo ha costretto a tentare nell’abitazione dei suoi genitori e la conseguente scarcerazione, Edward ritorna in famiglia. Durante la cena, il momento in cui il nucleo domestico si riunisce e si confronta, Billy cerca di fare una superficiale lezione di morale al povero e silente Edward, chiedendogli che cosa farebbe nel caso ritrovasse una borsa piena di soldi lungo una strada, ponendogli come condizioni la possibilità di tenere il denaro, di comprare regali per i propri amici, di donare i soldi ai poveri oppure di restituire l’oggetto dello smarrimento alla polizia. Kevin, non interrogato, sostiene dapprima che avrebbe tenuto i soldi, poi consiglia scaltramente a Edward che la risposta ‘giusta’ è dire di restituirli alla polizia. Edward, invece, molto candidamente, opta per la seconda possibilità, quella di utilizzare il denaro per comprare regali per gli amici e per le persone care. Questa è la differenza esistente tra Edward e la variopinta comunità cittadina: ognuno si preoccupa del suo interesse nascondendolo dietro una patina di necessaria rispettabilità. Così fa Joyce, attratta da ogni uomo per disposizione, che cerca di irretire Edward salvo poi ribaltare la situazione in gioco dicendo di aver rischiato l’abuso sessuale in modo da salvare il suo presunto decoro; così fa Jim, il quale vuole appropriarsi delle ingenti ricchezze di cui i genitori lo tengono escluso, lasciando che la comunità della cittadina pensi che Edward sia colpevole per salvarsi da una pena certa e dal violento rimbrotto del padre; così fanno tutte le conoscenti di Peg, dapprima entusiaste del nuovo arrivato perché veicolo per sottrarsi alla monotonia di un’esistenza sempre uguale a se stessa, basata sul pettegolezzo e sull’invidia, successivamente refrattarie e timorose per la loro stessa incolumità nei confronti di quello che, improvvisamente, si era trasformato in un mostro assetato di sangue, soltanto perché l’apparenza, che tutto regola, aveva fatto in modo che Edward sembrasse tale. Il principio di Edward, aldilà di qualunque risposta abbia fornito al test sulla morale di Billy, è invece il candore con il quale si rapporta con le persone: egli non conosce né legge delle apparenze (così come simbolicamente è sottolineato dall’impossibilità di cancellare le cicatrici che il ragazzo si è volontariamente autoinferto, nonostante gli sforzi a base di maschere compatte e trucco di Peg), né convenzioni da rispettare, per Edward conta solo l’affetto per le persone che gli hanno voluto bene e che lo hanno rispettato. Strano destino quello del ragazzo con le forbici come appendice: poco prima che gli venissero trapiantate le mani, il suo inventore/padre muore lasciandolo solo in un mondo per il quale non è assolutamente attrezzato (si pensi soltanto alla difficoltà per nutrirsi nel corso della prima cena a casa di Peg e Bill) e del quale egli, considerato il mostro, il diverso di cui diffidare, ha timore. Edward è pallido, di un pallore quasi da oltretomba, e contrasta apertamente con i colori pastello prepotentemente proposti all’interno della cittadina: il ragazzo è vestito costantemente di bianco (camicia) e di nero (pantaloni) e si sottrae anche simbolicamente dal gioco di sfumature e di atteggiamenti variabili che invece, altrettanto allegoricamente, gli abitanti della sgargiante città mostrano attraverso i loro vestiti, specchio fedele dei loro comportamenti. O bianco o nero, Edward non è per le sfumature, se ama lo fa veramente, con tutto se stesso, anche al punto di sapere benissimo che quello che sta compiendo è un furto, ma, come ammette candidamente, continua nell’esecrabile impresa soltanto perché in un primo momento glielo aveva chiesto anche Kim. Altrettanto comprensibili, a questo punto, sono le reazioni del ragazzo, indifferente al fatto di distruggere tutto, carta da parati, gomme di auto parcheggiate, statue fatte con le siepi. Il candore di Edward appare incontenibilmente anche nelle reazioni spropositate: il ragazzo sa perfettamente cosa significhi abbandono ed esclusione per non apprezzare compiutamente un sentimento forte e devastante come l’amore per Kim, una figura che amerà per tutta la vita, al punto tale da continuare anche nella perpetua assenza della donna a creare quella neve – pure scorie derivate dalla creazione delle statue di ghiaccio – che segnalò irresistibilmente il loro amore prima dell’esclusione definitiva. Giampiero Frasca  

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