Il ragazzo selvaggio - scheda critica

2009/07/16 Type of resource Film cards Topics Education Psychological development Titles Rassegne filmografiche

Parola come irruzione della discontinuità nel Selvaggio dell'Aveyron

di Giovanna De Luca*

 

"L'enfant invente la vie, il s'y cogne, mais il développe en mème temps toutes ses facultés de résistance." Francois Truffaut. In un suo commento sulla storia del selvaggio dell'Aveyron, Truffaut affermava: "Je crois que la force de cette histoire réside dans la situation: cet enfant a grandi a l'écart de la civilization, si bien que tout ce qu'il fait dans le film, il le fait pour la première fois."1 Film dove "tutto avviene per la prima volta" L'enfant Suvage (1970) raccoglie soprattutto implicazioni tematiche e ideologie ricorrenti nell'opera cinematografica del regista: le alternate entrate e uscite tra vita privata e arte, il personalizzato adattamento cinematografico di un testo letterario, la solitudine dell'infanzia abbandonata, la riflessione metalinguistica sul cinema, la dimensione didascalico-pedagogica dell'intervento dell'adulto nella vita infantile. Questi diversi motivi sottilmente intrecciati, non si aprono verso una soluzione della dicotomia cultura-natura sottesa al lavoro medico-pedagogico del medico francese Itard sul piccolo selvaggio dell'Aveyron (basato sul recupero della sensorialità, memoria ed ordine sotto il controllo empirico della punizione e della ricompensa), né tantomeno portano ad una coesa proposizione di etica dell'infanzia da parte del regista, ma estrinsecano piuttosto l'impossibilità risolutiva di giudizio dettata dall'ambigua matrice artistico-biografica Itard-Truffaut e dallo slittamento cronologico tra i documenti del medico (il rapporto di Itard del 1801 era destinato all'Accademia di Medicina per mettere a conoscenza i colleghi dei suoi progressi, l'altro del 1806 al Ministero degli Interni per il rinnovo della pensione a Madame Guérin, la governante che si occcupava del bambino) e la trasposizione cinematografica. Il film stabilisce un doppio io autoriale, assieme a un doppio io dei personaggi per cui è diffìcile individuare una gerarchizzazione delle voci narrative. Le sovrapposizioni di ruoli, Truffaut attore nelle vesti di Itard, Truffaut regista che dirige Truffaut attore, i pensieri e i precetti pedagogici di Truffaut sovrapposti e integrati a quelli di Itard, provocano un'atomizzazione dei punti di vista la cui coerenza risiede proprio nella loro irriconciliabilità di base. Così anche se Truffaut nel film dà una valenza prevalentemente positiva alla parola come mezzo di comunicazione, tale credo viene costantemente messo in discussione dal polisemico contenuto del messaggio visivo che riflette una molteplicità di voci sincroniche e diacroniche sulla lettura del testo originario. Tuttavia il film risulta un testo compatto grazie al senso d'unità fornito da una rappresentazione obiettiva e decisamente antiautoritaria, sostenuta stilisticamente dalla fotografia in bianco e nero, dalle inquadrature principalmente in campi medi e lunghi e dalle scarse soggettive e l'uso di mascherini in apertura e dissolvenza. A livello attanziale la messa a distanza dalla materia trattata viene realizzata dal regista affidando a Itard il ruolo dell'impertubabile illuminista, la cui relazione con il selvaggio è basata soprattutto sulla severa applicazione di esercizi linguistici; anche con i personaggi di Victor e Madame Guérin, Truffaut riesce a mantenere un tono distaccato registrando l'affetto che si instaura tra di loro solo come un ulteriore passo avanti nel progresso evolutivo del bambino. Pur rifacendosi al documento di Itard, la sceneggiatura di Truffaut dà spessore soprattutto al bambino. I documenti del dottore specialista nella riabilitazione dei sordo-muti, che con un elaborato schema medico-pedagogico basato su una empirica dinamica di punizioni e ricompense mira a un totale recupero psico-fisico del piccolo "selvaggio", diventa prima di tutto la storia di un bambino che, rifiutato alla nascita dalla società, viene in essa reintegrato non senza che questo rientro provochi in lui smarrimenti, lotte e rassegnazione. Il selvaggio, inizialmente attrazione del bel mondo parigino, comincia una vita "regolare" quando viene affidato alle cure di Itard e Madame Guérin. I duri esercizi di apprendimento ai quali viene sottoposto, la sollecitazione sensoriale attraverso bagni caldi e notti al freddo, se da una parte favoriscono il suo processo di civilizzazione, dall'altra evidenziano il lato coercitivo della società degli adulti nell'imposizione delle proprie regole e nello sradicamento di un bambino dal mondo originario. Per Victor (Itard gli dà questo nome perché il ragazzo risponde al suono della o) la nostalgia per la madre natura che lo ha accolto quando tutti lo hanno rifiutato, è sempre in agguato. Alla fine il ragazzo riesce a scappare, ma proprio quando Itard sta notificando con una lettera la fuga di Victor e il suo fallimento educativo alle autorità, l'ex selvaggio ritorna, ormai consapevole di essere entrato a far parte definitivamente delle regole sociali del consorzio umano. Seppure Truffaut più volte faccia emergere come la natura senza cultura sia matrigna, la pluridiscorsività fìlmica per contro sostiene la difficoltà di una presa di posizione assoluta, in particolare in riferimento alla cultura quando questa diventa non tanto strumento di erudizione, quanto elemento manipolatore dell'infanzia. Così viene smentita dalla stessa pellicola anche la polemica anti-godardiana e anti-antonionana seguita al film in cui Truffaut affermava "Ciò che amo del Selvaggio è che abbiamo sgombrato il campo da tutti questi recenti luoghi comuni per tornare all'essenziale: è formidabile poterci far capire, è formidabile tenersi in piedi, è formidabile camminare con le scarpe...... Ho voluto andare contro i raffinati della moda che affermano che è meglio non leggere affatto piuttosto che leggere un libro tascabile..."2 L'elogio alla comunicazione viene coscientemente tradito dalla revisione visuale applicata al documento d'Itard, dove traspa­re la messa in questione dell'improprio uso del linguaggio-comunicativo quando ci si fonde in esso annullando quella soggettività che per contrasto è alla base della sua acquisizione. Nella trasposizione cinematografica di Truffaut, i documenti del Dottor Itard sul selvaggio vengono tratteggiati sull'asse paradigmatico di silenzi-suoni-immagini sui quali alternativamente si impongono i punti di vista diegetici ed extra diegetici di personaggi, autori e regista. La prima sequenza ci fornisce un valido esempio di tale combinazione prospettico-tematica, dove predomina la voce del regista. Egli isola la figura del selvaggio in una dimensione edenica mitica inviolabile, dando rilievo al silenzio e all'immagine. Prevale in questa scena lo stupore dello sguardo che si manifesta attraverso gli stilemi ricorrenti nelle scene "naturali": l'inquadratura distanziata che assorbe il personaggio nel paesaggio e che si impone come presenza assoluta e totale; ampie panoramiche che assumono di volta in volta una cadenza quasi musicale all'unisono con i rumori della natura. Il film comincia con un'apertura a iride su una contadina che raccoglie dei funghi. Di sottofondo si ode il cinguettio d'uccelli. La camera, in un alternanza di campi medi e lunghi mostra un ragazzo che camminando a quattro zampe si avvicina a dei funghi, ne mangia alcuni e poi li abbandona per correre ad un ruscello e bere dell'acqua a grandi sorsi. È nudo, sporco con i capelli lunghi. Si arrampica su un albero e guarda in alto il sole che penetra attreverso le foglie. Si culla in un movimento automatico (che ricorda quello dei bambini autistici) avanti e indietro. Attorno il silenzio. Uno zoom sugli alberi cede lentamente ad una panoramica veduta della foresta, presentando allo sguardo l'indistinta visione dell'albero su cui si trova il selvaggio, inserito nell'immensità della vegetazione. Un altro zoom all'indietro termina con un iride che definisce la prima visione del selvaggio. Il bambino è ripreso in un rapporto simbiotico-metamorfìco con il mondo naturale che sottolinea l'inestricabile appartenenza dell'uno all'altro. Quando sgattaiola a quattro zampe nella foresta è difficile distinguere la sua figura da quella dell'ambiente nel quale si muove. L'allontanamento della camera in zoom indica l'impossibilità di accesso dell'occhio educato a questa mistica unione, sollecitando così il rispetto per la pura armonia uomo-natura. La primordialità della sequenza è stata ottenuta con una tecnica di ripresa da cinema muto, imponendo un bianco e nero che rispecchiasse, con una maggiore stilizzazione, l'atmosfera positivista del film. Al direttore di fotografìa Nestor Almendros (al primo film con il regista) Truffaut aveva chiesto di adoperare dei mezzi tecnici che riuscissero ad evidenziare il parallelismo tra iniziazione visuale cinematografica e inizio dell'esperienza umana alla base del film. L'uso dell'iride e lenti di grand'angolo con lo sfruttamento massimo della luce naturale (o quella delle candele) hanno aiutato a definire l'intento di comparare la primordialità con un'assoluta visualità. La chiusura della prima sequenza celebra la coincidenza dell'origine dell'uomo con quella dell'inizio del cinema, includendo nel campo dell'emozione della prima volta anche lo spettatore attraverso un linguaggio cinematografico defamiliarizzante dove la purezza dell'immagine e il silenzio del suono si sostituiscono all'ammiccamento e all'accondiscendenza che spesso si ritrovano nei film dell'infanzia. Come il selvaggio, la macchina da presa di Truffaut è in sintonia con il linguaggio dei suoni della natura. Grazie alla sua superiore sensibilità visiva e auditiva, senza distaccarsi dall'amorfo flusso del fenomenico, riesce a farsi strada nell'oscurità e nel mormorio confuso dei suoni e a ricavarne immagini distinte e forme sonore limpide, epifanie artistiche del totale naturale delle origini. Lo sguardo del selvaggio sull'albero rivolto in alto verso il sole, metaforizza l'istintivo movimento ascensionale dell'uomo tendente a una totale immersione nell'ambiente. La luce pura del sole, con una funzione equivalente a quella artificiale delle candele per Itard, è il primo elemento "illuminante" con il quale il bambino viene a contatto. In questa scena iniziale, Truffaut isola la luce diretta del sole sul selvaggio facendolo emergere dall'indistinta oscurità degli alberi intorno, enfatizzando come in questo frangente il sole sia lume più importante di cui il bambino abbia bisogno per sopravvivere nella foresta. Ancora nella prima sequenza ciò che si impone allo spazio sonoro naturale è il suono del respiro muto del ragazzo. Truffaut ci porta così per mano nel mondo pre-simbolico del selvaggio dove il suo relazionarsi all'esterno avviene attraverso l'olfatto, la vista, l'udito in un rapporto di immanenza e coincidenza con la natura: il selvaggio è la natura. Come scrive Giorgio Agamben in riferimento allo stadio pre-verbale dell'infanzia: "In questo processo unitario il 'bambino selvaggio' è tutt'uno, riprendendo Mane, con la sua attività vitale mescolandosi ad essa senza mai contrapporla a sé come oggetto."3 Il selvaggio dell'Aveyron è immerso nella lingua, ovvero nella natura dell'uomo, in un blocco unitario continuo in cui l'infrazione può essere apportata solo dalla genesi della differenza tra lingua e discorso. "Natura - scrive ancora Agamben - se ben si riflette, può solo significare lingua senza parola, genesis syneches, 'origine continua', nella definizione di Aristotele, ed essere natura significa essere sempre già nella lingua."4 Come vedremo, l'intervento linguistico del Dottor Itard sul selvaggio va inteso come irruzione della discontinuità discorsiva nell'immanenza della dimensione uomo-natura, inizio della soggettività e di una nuova relazione soggetto-oggetto, soggetto-soggetti. Alla sequenza della cattura del selvaggio da parte dei contadini, segue quella di Itard che dal suo studio legge l'articolo di giornale sull'accaduto, reiterando verbalmente ciò che è stato appena mostrato. La rottura del discorso visivo del film stabilisce il passaggio del punto di vista dal regista a quello sovrapposto di Itard personaggio e Truffaut attore. Lo stesso episodio dà spazio stavolta alla parola piuttosto che all'immagine, adattandosi alla diversa valenza prospettica da cui viene osservato. La visione idillica della scena d'apertura da parte dell'artista, diventa prima cronaca per i giornali e poi "caso" scientifico da analizzare per il dottor Itard. Quella di Itard è anche l'elaborazione verbale, quindi necessariamente culturale, dell'accaduto. Con questo gioco dei punti di vista, Truffaut facendo "ridire" la sequenza precedente a Itard, consente al medico di stabilire un contatto con lo spettatore secondo i propri fini, ossia usando "illuministicamente" il linguaggio come "mezzo di comunicazione destinato a fare conoscere immediatamente i propri bisogni."5 Per lo scienziato, tali necessità sono legate alla sua egoistica volontà di controllare la natura con la civiltà nell'assolvimento di una missione a lungo cercata.6 A questo punto è chiaro l'avvenuto scollamento tra i punti di vista del medico e del regista riguardo alla funzione dell'educazione linguistica di Victor. Il piano di Itard per lo sviluppo della personalità di Victor si articola su tre livelli: primo, l'associazione della parola all'oggetto e viceversa; secondo, l'astrazione della parola dall'oggetto affinchè possa avere un significato in sé; il terzo livello è quello della formazione di Victor come soggetto morale, con una coscienza di sé che gli permetta di diventare un "giovine ben educato." Ciò che interessa ad Itard è soprattutto la formazione del cittadino, a Truffaut invece la pari dignità degli esseri umani ai quali indistintamente spetta un'educazione. Nel film abbondano presentazioni di oggetti concreti (pettini, chiavi, piume) a cui la parola dà poi identità, mostrando il graduale effetto animistico sugli oggetti del senso. Metaforicamente questo mutamento è traslato nella figura stessa di Victor, che da oggetto concreto da osservare e analizzare diventa soggetto umano con una propria personalità. Quando è ancora imprigionato nel villaggio dove è stato catturato, Truffaut, attraverso un primo piano sul volto del ragazzo appena lavato e sbiancato da un guardiano, ne visualizza l'io nascente, la sua emersione primaria dall'indistinta "oscurità" naturale di provenienza. Nell'ufficio del dottor Pinel, collega di Itard presso l'Istituto per sordomuti a Parigi, Victor viene misurato e analizzato come un oggetto. Il bambino è stato da poco prelevato dalla foresta e preserva ancora le caratteristiche fìsiche del selvaggio (capelli incolti, unghie lunghe, postura a quattro zampe, corpo pieno di cicatrici) di quando è stato ritrovato. L'oggettivazzione del bambino è resa ancora più evidente dalle annotazioni che lo scrivano-segretario fa delle misurazioni di Pinel. Il bambino comincia a muoversi fermandosi davanti ad uno specchio. Guarda la sua immagine riflessa e cerca i due medici dietro di sé. I due osservatori, Pinel ed Itard si avvicinano e le tre figure, disposte gerarchicamente l'uno dietro all'altro, si guardano e guardano Victor nello specchio. Itard prende una mela, il frutto del desiderio, e la riflette nello specchio dietro la testa di Victor. Questi dapprima cerca di afferrarla sullo specchio, poi realizza che è un'immagine e la prende dalle mani di Itard. Con una ritardata entrata nella fase lacaniana "dello specchio", Victor riconosce la differenza tra sé stesso e l'immagine riflessa, muovendo il primo passo verso la costituzione dell'io nella sua differenziazione dall'ambiente. Includendo nella bilanciata inquadratura in campo medio le figure di Itard e Pinel, Truffaut estende la prima volta della soggettività di Victor anche agli altri due personaggi. L'incrocio dei tre sguardi allo specchio, dà rilievo al progressivo accesso verso una riconosciuta identità basata tutta sull'immagine, accompagnata solo dal sonoro della musica della descrizione di Itard e quella del flauto che sancisce una tregua tra Victor e gli "altri." Itard crede nel linguaggio come mezzo per dare a Victor gli strumenti di autodefinizione necessari per inserirsi nella società. Lo schematismo e la ripetitività degli esercizi a cui sottopone il bambino (la cui accumulazione non implica mai il pieno raggiungimento dell'obiettivo prefissato), rivelano un disinteresse per il recupero dello stato emotivo infantile, ormai completamente compromesso, mirando invece alla formazione dell'uomo civile. L'iterazione da parte del ragazzo delle prove senza soluzioni definitive, ha anche la funzione indicata da Jean Pierre Oudart di sintesi del desiderio senza fine, mirante ad una regressione ad uno stato di natura anteriore a qualsiasi compromesso.7 Il desiderio, questa volta di Itard, che non verrà mai esaudito è il vero filo narrativo che Truffaut si propone di analizzare, conscio dell'impossibilità e inutilità della soluzione del "caso Victor". Come Itard, anche Truffaut (attraverso la sua opera) ha sempre riconosciuto la centralità del linguaggio nella formazione dell'individuo. Similmente agli altri suoi personaggi infantili, anche per Victor il regista crede che la parola possa avere una funzione salvifica. In Les 400 Coups (1959) la letteratura e il cinema sono per Antoine Doinel il suo clandestino "Eureka! Ho trovato"8 per opporre resistenza al mondo esterno; in L'argent de poche (1976) il rifiuto degli alunni di recitare Moliére secondo richiesta della maestra per poi dare una performance eccellente per i soli compagni di classe alla sua uscita dalla classe, rivendica il desiderio di libertà e indipendenza dai grandi.9 Nel caso specifico de L'enfant sauvage, Truffaut uomo-regista-pedagogo desidera dare a Victor attraverso la parola quell'infanzia che non ha mai avuto. Riformulando il pensiero di Agamben in Infanzia e storia, possiamo affermare che per Victor l'acquisizione della parola, la sua possibilità di dare un'interpretazione al segno, diventa definizione di una soggettività che si forma con l'esperienza (origine e conseguenza della soggettività) del mondo, interrompendo la contigua continuità con la natura, nell'ambito della quale si genera, cresce, si storicizza il linguaggio. Come afferma il critico: «Poiché la pura lingua è, in sé, astorica, è considerata assolutamente, natura, e non ha alcuna necessità di una stona. Si immagini un uomo che fosse sempre già parlante. Per un tale uomo senza infanzia, il linguaggio non sarebbe qualcosa di preesistente, di cui doversi appropriare, e non vi sarebbe per lui né frattura tra lingua e parola né divenire storico della lingua. Ma un tale uomo sarebbe, per ciò stesso, immediatamente unito alla sua natura e non troverebbe in questa da nessuna parte una discontinuità e una differenza in cui qualcosa come una storia potrebbe prodursi.»10 Metaforicamente per Truffaut, scientificamente per Itard, le immersioni nell'acqua bollente del ragazzo affinchè possa acquistare sensibilità, sottolineano la necessità di stimolare una diversa percezione, di attuare un'effrazione con il proprio mondo riattivando una capacità di sentire e quindi di conoscere, che è solo il primo gradino verso l'esperienza della lingua. Dare un'infanzia a Victor, significa dargli la possibilità di "espropriarsi di essa costituendosi come soggetto del linguaggio"11 attuando un'entrata nella sfera umana. Ciò avviene penetrando il "segno chiuso" della lingua della natura, trasformandola e dandole un senso trasferendola nel discorso. In questo modo, al problema dell'incomunicabilità sostenuto dai suoi contemporanei a cui abbiamo precedentemente accennato, Truffaut replica con un auspicato ritorno all'infanzia con cui costruire una nuova storia del "discorso umano". Nella considerazione truffautiana dell'approccio alla lingua, le tecniche riabilitative itardiane sono necessariamente destinate a fallire per la loro negligenza della formazione storica del linguaggio. Itard passa dall'oggetto al segno e all'astrazione dell'oggetto con metodica ossessione, senza preoccuparsi del vuoto esistente dietro al significante se privato dell'imput soggettivo-percettivo di Victor. Nonostante Truffaut abbia positivizzato l'intervento di Itard perché "meglio leggere un libro tascabile che non leggere affatto", le parole per Victor resteranno sempre e solo degli oggetti. In realtà il ragazzo rimasto al servizio nella casa di Madame Guerin fino alla sua prematura morte a quarant'anni, non sarebbe mai riuscito a dominare appieno la funzione simbolica della parola.12 Anche l'ibrida integrazione del selvaggio nella società civile, può essere ascritta ad un compromesso unitario sviluppo della sfera immaginativa e cognitiva In una sua analisi dell'Enfant sauvage, Jean Collet riconosce una struttura narrativa binaria sviluppata secondo un'asse verticale, quella della natura, e una orizzontale quella della cultura. Con la sua iniziale verticale caduta dall'albero, il selvaggio abbandona la dimensione mitica della foresta, per addentrarsi, a carponi a terra, in quella cognitiva della civiltà. In tale costante tensione tra verticalità e orizzontalità, possiamo quindi registrare nella prima un'evoluzione nel campo immaginario-creativo e nella seconda in quello cognitivo. Una volta lasciata la foresta, Victor non riesce a stabilire con la natura lo stesso contatto "integrale" precedente al suo ingresso nella società. Pur mantenedo il desiderio di ricongiungimento, il suo modo di relazionarsi è stato per sempre contaminato da quello della cultura, intensificando nell'approccio ad essa la dimensione orizzontale terrena piuttosto che quella verticale aerea. Significative nella visualizzazione di questo cambiamento sono le due scene in cui Victor è sull'albero. In apertura, quando ancora nudo si dondola tra le copiose fronde, e dopo la cattura quando a casa di Itard, va a rifugiarsi ripulito e vestito sull'albero del giardino. Nella prima, come discusso, Victor dirige lo sguardo verso il sole, la cui luce ne illumina il volto evidenziano la sua appartenenza alla dimensione ideale. Victor è qui ancora nella fase precognitiva, nel territorio del simbolico e immaginario. Nella seconda scena, entrata già in contatto con la civiltà, Victor pur sopra alll'albero, non riesce a rivolgere lo sguardo in alto. I suoi occhi sono attaccati al suolo, alla nuova prospettiva dalla quale osserva il mondo. Una volta acquisiti gli strumenti della conoscenza, il ristabilimento dello spontaneo amalgama con gli elementi è per sempre corrotto. E la fuga finale è una maggiore conferma del nuovo approccio. Scappato dalla casa di Itard, Victor cerca di riaccedere alla vita precedente, ma ne è incapace. Non solo non riesce a rubare del cibo senza essere scoperto, ma emblematicamente non riesce neanche a salire più sugli alberi. Non gli resta che rientrare a casa, cercando di controllare gli elementi del nuovo mondo. Se la fuga era avvenuta scavalcando con irruenza la finestra, dimostrando una resistenza alla disciplina di Itard e la permanenza del passato da selvaggio, il rientro nella casa è mediato da un "civile" accostamento a una finestra. Victor si avvicina ad essa per la prima volta dall'esterno per guardare il mondo conosciuto dell'interno della dimora di Itard. Questa volta non la scavalca ma si fa strada (dopo essersi fatto vedere dal medico) attraverso la porta d'ingresso. Se all'inizio del film Victor istintivamente si arrampicava sugli alberi, alla fine lo vediamo invece salire le scale con un'abilità acquisita grazie a lunghi esercizi fisici. Un piano medio leggermente inclinato dal basso inquadra il ragazzo sulla cima delle scale mentre rivolge lo sguardo indietro, sulla terra, verso Itard che gli ricorda contento che l'indomani riprenderanno gli esercizi. Negli occhi di Victor si riflette il dubbio di Truffaut, di Itard e dello spettatore sulla giustezza dell'intervento educativo della società e quanto esso abbia leso lo spazio di unione con la natura (prima della civiltà) che apparteneva al ragazzo. Un'iride con una dissolvenza in nero sul volto di Victor conclude il film, in una inquadratura che rimanda al finale di Les 400 coups, a quel noto fermo immagine sul volto di Antonie Doinel che interrompe d'improvviso la sua corsa sulla spiaggia voltandosi con un inquisitivo sguardo in camera. Entrambi i volti danno voce ad un interrogativo " Che ne sarà di me?" che appartiene a tutta l'infanzia e in particolare a quella maltrattata. Prendendo in prestito il concetto di Serge Daney sull'immobilità della fotografia come segno di morte, lo sguardo di Doinel verso lo spettatore è la prima immagine di morte del cinema di Truffaut.13 La fotografia come momento di interpunzione nel movimento vitale del film, è stato spesso legato dal regista ad una situazione di morte (La chambre verte) o comunque di distruzione. Nel fermo immagine di Doinel e nella chiusura ad iride sul volto di Victor, Truffaut ha voluto imprimere l'infanzia demistificata, segnandone la sua morte con la nascita della consapevolezza della solitudine dell'uomo, dell'improvviso vuoto intorno a quello che dovrebbe un mitico stadio nella vita dell'uomo. Ma come tutti i bambini del cinema di Truffaut, Victor, come Doinel fronteggerà "i 400 colpi" con la "pelle dura" cercando di non tradire mai la vita, che per quanto "non facile" vai la pena di essere vis­suta in quanto "elle est belle puisqu'on y tient tellement".14  

 

* pubblicato in <<Filmcritica>> n. 538, sett-ott 2003, pp. 367-375   ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

1 François Truffaut, “Comment j'ai tourné L'Enfant Sauvage », Filmcritica , n. 211, nov. Dic. 1970
2 Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema , a cura di Anne Gillain (Roma, Gremese, 1990), p. 162
3 Agamben, Infanzia e storia , p. 50
4 ibidem
5 Octave Mannoni, Clefs pour l'imaginaire ou l'autre scene , (Paris, Edition du Seuil, 1969) p. 187
6 Truffaut tuttavia pensava che questo sentimento fosse inconscio. Vedi Paola Malanga, Tutto il cinema di François Truffaut (Milano, Baldini & Castoldi, 1996) p. 338
7 Jean Pierre Oudart, “L'enfant sauvage”, Cahiers du Cinéma , n. 220, 1970
8 Per aver citato questa frase da La ricerca dell'assoluto di Balzac, Antoine Doinel è accusato di plagiarismo dal suo maestro.
9 Anne Gillain afferma che per Truffaut l'emozione appartiene anzitutto ai film della sua gioventù unica primaria e sola ordinatrice della sua sensibilità. Se l'emozione trae origine da un'infanzia che è unica esperienza generatrice dell'ordine, si comprende come il processo creativo si collochi per lui sotto il segno dell'incoscienza. Truffaut rimane impressionato da un modo di rappresentazione sensibile che si sottrae ai principi del pensiero cartesiano. I meccanismi della finzione si impongono come la sola griglia di intelligibilità., i soli garanti dell'incoerenza. Così dona alla sua opera un'appartenenza istintiva rifacendosi ai racconti e ai miti, ovvero forme narrative che mettono direttamente in gioco le strutture profonde dell'incoscienza collettiva. In François Truffaut: le secret perdu, pp. 17-18
10 Agamben, op.cit., p. 51
11 Ivi, p. 49
12 Vedi Mannoni, pp. 184-201
13 Su L'enfant sauvage cfr. Filmcritica n. 214, marzo 1971, p. 146
14 Dal discorso finale del maestro alla sua scolaresca in L'argent de poche