I minorenni e l'(ab)uso di alcol

2009/05/08

In Italia il consumo alcolico sta cambiando, si affermano modalità estranee alle abitudini mediterranee e l'alcol conquista le  fasce più giovani della popolazione. Il quadro emerge dall'approfondimento degli ultimi dati Istat sull'uso e abuso di alcol in Italia e dalla ricerca Il Pilota dell'Osservatorio nazionale alcol dell'Istituto superiore di sanità. L'influsso della pubblicità, il più facile accesso alle bevande alcoliche, nuove mode richiedono così un diverso approccio al fenomeno, suggerisce la ricerca Bere a rischio del Centro nazionale per l'infanzia e l'adolescenza: non solo controllo e repressione, ma uno sforzo globale per cambiare i modelli culturali imperanti e spingere a uno stile di vita sano.

Consumo dell'alcol stabile ma aumenta fuori dai pasti. Prima di tutto le buone notizie: per l'Istat in Italia il consumo pro capite nel 2008 rimane tra i livelli più bassi in Europa ed è stabile rispetto a dieci anni fa. I bevitori sono circa il 70% della popolazione sopra gli 11 anni, cioè circa 36 milioni di persone.
Ma cambia il modo in cui vengono assunte le bevande: si riduce la quota di consumatori giornalieri e aumenta l'alcol fuori dai pasti, soprattutto tra i giovani. Il bicchiere fuori dai pasti riguarda 13,5 milioni di persone. Se si guarda la tabella relativa alle persone tra i 14 e i 17 anni che abbiano consumato almeno una bevanda alcolica fuori dal pasto, emerge il trend crescente tra i minorenni: tra il 1998 e il 2008 la quota è passata dal 12,6% al 18,7%. Aumentano in particolar modo le  ragazze (dal 9,7% del 1998 al 14,4% del 2008).
L'Istituto di statistica mette l'accento sul dato relativo ai minori tra gli 11 e i 15 anni: il 19,7% dei maschi e il 15,3% delle femmine ha consumato una o più bevande alcoliche nell'anno. Percentuali forse basse, ma l'Istat ricorda che l'Organizzazione mondiale della sanità, entro il 2010, vorrebbe ridurre a zero la quota di ragazzi fino a 15 anni che bevono: i minorenni infatti rischiano le maggiori conseguenze per la scarsa capacità di metabolizzare la sostanza.

Nuovi modelli di consumo (e abuso). Il cambiamento delle abitudini registra il radicarsi di un comportamento a rischio come il binge drinking, un modello tipico dei paesi anglosassoni e del nord Europa. Sono almeno 8,5 gli italiani che o bevono alcolici ogni giorno o mischiano bevande diverse in un'unica serata. I minori sono una delle fasce più esposte al fenomeno con 635 mila unità (il 18,2% dei maschi e il 12, 2 % delle femmine). Già nella fascia di età 16-17 anni, il binge drinking raggiunge medie simili a quelle del resto della popolazione: 10,6% per i maschi, 3,9% per le ragazze.

Si beve troppo in discoteca. L'Istat annota che i comportamenti a rischio, maggiormente diffusi nelle regioni del nord e nei paesi fino a 2 mila abitanti, si associano soprattutto alle discoteche e ai locali notturni. La ricerca Il Pilota dell'Osservatorio nazionale alcol del Centro nazionale di epidemiologia sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell'Istituto superiore di sanità approfondisce il campo sul rapporto tra giovani, alcol e discoteca: infatti l'86% dei ragazzi e ragazze che frequentano luoghi di aggregazione giovanile come discoteche e pub consuma bevande alcoliche quasi esclusivamente il sabato sera. Il Pilota mette anche l'accento sui pericoli per i minorenni: il 42% dei ragazzi e il 21% delle ragazze che si ubriacano infatti ha meno di 18 anni, e sono percentuali maggiori rispetto alle fasce 19-24 anni e over 25.

Questo comportamento a rischio dei minorenni si riflette nei bicchieri bevuti a sera: 4,5 per i maschi, addirittura 6 per le femmine (valore doppio rispetto alle fasce fino ai 25 anni). Di solito si tratta di policonsumatori, cioè di persone che in una sola serata ingurgitano differenti bevande ad alta gradazione alcolica. Quelle più consumate sono aperitivi alcolici e breezer, con le under 18 che registrano la media-bicchiere più elevata: circa 1,5 a sera. La novità è rappresentata dal vino, bevanda prescelta soprattutto dalle ragazze sotto i 18 anni in costante abbinamento con altre bevande alcoliche, secondo mode importate da altri paesi (come il butellon spagnolo) e che hanno attecchito soprattutto nelle regioni del nord. Le medie più elevate, ancora una volta, tra i minorenni: 1,5 bicchieri per i maschi e 2,5 per le ragazze. Idem per la media di bicchieri di superalcolici: 1 per i maschi, 1,5 per le donne.

Un meccanismo pericoloso. Tra le ragioni di questa impennata nei consumi, Il Pilota punta il dito sulla disponibilità e l'accessibilità delle bevande alcoliche, fortemente aumentata in Italia negli ultimi dieci anni. L'impatto simultaneo di pubblicità, strategie di marketing, allargamento del mercato di vendita spingono i giovanissimi ad acquistare prodotti meno cari ma accattivanti, da loro visti come beni di consumo ordinario. I meccanismi che promuovo l'alcol, come gli happy hours chiudono il cerchio. Solo attraverso questo mix di fattori si spiegano le quote di consumo degli under 18, bevitori poco selettivi e interessati prevalentemente all'alcol come “sostanza” e non come esperienza degustativa. In queste fasce di popolazione si consolidano così comportamenti che normalizzano l'abuso di alcol e il consumo di droghe, moltiplicando le possibili conseguenze dannose.

Alcol droga legalizzata. Sulla stessa lunghezza d'onda l'analisi di Bere a rischio, la ricerca svolta nel 2007 dal Centro nazionale. Nel capitolo dedicato alle riflessioni di testimoni privilegiati (cioè esperti nei campi della salute, della sicurezza e della cultura alcologica), Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale, spiega che il problema «è qualitativo e quantitativo: i consumi di alcol si dirigono per gli adulti più alla qualità che alla quantità», invece i giovani «non possono permettersi di comprare alcolici di qualità, non hanno cultura del vino e non hanno avuto un’educazione al gusto». E così, secondo Cricelli, il bere in quantità diventa «un fenomeno fortemente sociale, non un costume alimentare». Tanto che i ragazzi bevono per socializzare e questa conformazione a modelli culturali diversi dalle usanze mediterranee trova sostegno nelle loro maggiori disponibilità economiche e nel minore controllo sociale di famiglie accondiscendenti. Polemizza da par suo il fotografo Oliviero Toscani, secondo il quale il binomio alcol/giovani è «la rappresentazione della ricerca del disagio». «Abbiamo tolto il disagio ai giovani e è stato un grande sbaglio perché era un aiuto all’educazione – dice - Questa eliminazione del disagio, del darsi da fare, del fare sacrifici è anche l’eliminazione della palestra di cui i giovani hanno bisogno per crescere: non avendola, abusano e questo ricorso all’alterazione quindi è quasi naturale». L'alcol diventa così «l'unica droga legalizzata», sui cui rischi l'informazione è carente a tutti i livelli con costi sociali altissimi e, per le generazioni future, tutti da definire.

Un approccio globale al problema. Quali soluzioni adottare allora? Gli intervistati propendono per una strategia complessa su più fronti. Il semplice proibizionismo, con una rigida regolamentazione dell'accesso agli alcolici, potrebbe essere un boomerang: «Al divieto scatta lo stimolo alla trasgressione – osserva il direttore generale di Federvini Ottavio Cagiano de Azevedo - Lavorare sui giovani con divieti o minacce non porta a grandi risultati. È come dire: te non sei capace e quindi decido io».
Sicuramente c'è bisogno di maggiori controlli sulle strade, nelle quali il triste fenomeno delle “stragi del sabato sera” non accenna a diminuire. La ricerca cita numeri diffusi dall'Osservatorio nazionale alcol: i controlli in strada sono pari a 230 mila contro il milione della Francia. In pratica si rischia di essere fermati una volta ogni 176 anni. Antonio Giannella, direttore generale della Polizia stradale, promette il traguardo dei 2 milioni di controlli annui. Questi controlli più sistematici e coordinati potrebbero diventare davvero efficaci favorendo le misurazioni all'etilometro all'uscita dei locali e dei ritrovi, favorendo il ragionamento e la consapevolezza dei rischi che si corrono. Rispetto al vietare, infatti, per un volontario degli Alcolisti anonimi «è più importante che si sappiano quali sono le conseguenze di determinati comportamenti»

Spingere i giovani a ragionare. Questo approccio globale, la promozione di una “cultura della moderazione”, può costruire allora un sistema che offra e assicuri a tutti una migliore qualità di vita. Rispetto a una cultura sanitaria che accetta il bere, «è necessario un cambiamento rispetto al rischio», dice l'ex vicepresidente dell'Associazione italiana dei club degli Alcolisti in trattamento Guido Guidoni. Informare e rendere consapevoli di una responsabilità personale e comune con una «politica dei ragionamenti», in modo da formare una nuova sensibilità nel singolo che contagi a cascata. Per Guidoni bisogna formare «consumatori responsabili, che capiscano l'impatto che può avere l'alcol». Questa educazione precoce deve partire dalla famiglia e trovare sostegno nella scuola e nelle scuole-guida. Facendo attenzione al linguaggio, «deve far ragionare» dice Toscani, in un piano educativo che investa tutti i campi sociali (insegnanti, medici, genitori) ma modulando il messaggio alla platea cui è rivolto e utilizzando testimonial che possano fare presa in uno sforzo corale lungo una linea strategica. Ma, conclude l'ex alcolista, «bisogna lavorare credendoci, con passione». (mf)

(la foto è tratta da una campagna contro l'abuso di alcol del governo spagnolo)