Nel corso della sua lunga esperienza di critico cinematografico che precedette la carriera di cineasta, François Truffaut ebbe l’occasione di confermare a più riprese il proprio disprezzo per l’immagine dell’infanzia proposta dal cinema a lui contemporaneo. Gli unici due film che il giovane critico portava come esempi di una maniera diversa di raffigurare il mondo dei bambini erano Zero in condotta di Jean Vigo e
I quattrocento colpi si distacca, infatti, dagli stereotipi scelti all’epoca per descrivere il mondo dell’infanzia Il senso di commossa partecipazione di Truffaut alle vicende di Antoine Doinel (l’opera fu definita dallo stesso autore una ‘sintesi oggettiva’ della sua adolescenza) scaturisce da una concezione del film come un progetto intimo e per questo libero da vincoli, una forma di scrittura attuata attraverso l’uso della macchina da presa che riuscì a far emergere la realtà in una maniera fino allora inedita nel cinema francese e internazionale.
I quattrocento colpi, girato in otto settimane con una spesa relativamente modesta, fu selezionato al Festival di Cannes del 1959 dove ottenne il Grand prix de la mise en scène e fu salutato dalla critica come uno dei film capostipiti di quella nuova tendenza del cinema francese che sarebbe poi passata alla storia come nouvelle vague.