"Crescere nonostante": intervista a Stefano Laffi

Gli autori del volume Crescere nonostante, ricercatori dell'agenzia di ricerca sociale Codici, propongono nel libro punti di vista e riflessioni sui temi sui quali Codici ha lavorato di più negli ultimi tempi: la scuola, il lavoro, l'attivismo e il volontariato, l'esperienza della migrazione, il viaggio esperienziale. Crescere nonostante è un “romanzo” in cui gli adulti sono invitati a porsi in modo nuovo rispetto ai ragazzi, in ultima analisi rispetto a se stessi.
Ne abbiamo parlato con il curatore, Stefano Laffi.

 

Com'è nata l'idea del libro?

 

Codici è un gruppo di lavoro che da dieci anni fa ricerca e intervento sul campo. Ci troviamo a lavorare su mandati che derivano da amministrazioni locali o da bandi di finanziamento che interpretiamo lavorando insieme alle amministrazioni locali o agenzie del terzo settore. Abbiamo sempre lavorato molto attorno al tema delle esperienze trasformative, cercando di capire che cosa riesce oggi a determinare cambiamenti significativi nella vita delle persone, e dei ragazzi in particolare, per accompagnare questi processi. Lavorare sul campo significa avere tanti appunti, di lavoro e di ricerca (che nascono dagli incontri, dai confronti con i ragazzi, dalle valutazioni sui progetti realizzati), e magari non avere invece sedimentato nulla in termini di pubblicazioni, volumi o articoli di ricerca. Ci siamo detti: «fermiamoci un attimo, sono dieci anni di lavoro, ciascuno di noi ha fatto tante cose, proviamo a consolidare il sapere negli apprendimenti che derivano da questo lavoro sul campo».

 

Nell'introduzione si dice che l'apprendimento che si vuole condividere con i lettori è il cambiamento osservato, il mutamento sociale in corso nelle fasce di età giovanili. Quali sono le principali caratteristiche di questo cambiamento?

 

Quando diciamo che l'apprendimento che si vuole condividere con i lettori è il cambiamento osservato vogliamo sia dar conto di quanto osserviamo succedere nella vita dei ragazzi, sia raccontare ciò che si può invece far succedere con progetti di intervento e azione sociale. Possiamo definire la condizione dei ragazzi che incontriamo di esilio sociale, di difficoltà di trasformare e incidere sul contesto di vita. I luoghi dove i ragazzi sono costretti a stare (la scuola, ecc.) non sono minimamente governati, regolati, condivisi secondo elaborazioni e confronti con loro, sono già completamente normati. È così da tanto tempo, ma questa è un'epoca che da un lato regala a tutti i ragazzi un senso di forza, potenza e possibilità (pensiamo a quello che le tecnologie ci suggeriscono di poter fare) e dall'altro è segnata da questa caratteristica: i giovani si trovano nell'impossibilità di agire e contare.
 
Nel volume si parla molto di relazioni, terreno delicato e complesso, spesso difficile anche per noi adulti: come vivono i ragazzi di oggi i rapporti tra pari e quelli con gli adulti?

 

L'amicizia e il legame tra pari sono le cose più significative nella vita dei ragazzi. La relazione tra pari ha da alcuni anni strumenti come il cellulare e il web, che consentono una connessione continua e sottopongono costantemente i ragazzi a un confronto tra loro e a una ricerca di consenso. La relazione tra pari è condizionata da questi strumenti, che da un lato hanno una spinta narcisistica particolare, che è quella della continua ricerca del consenso tra pari, e dall'altro hanno sicuramente aspetti interessanti, in termini di confronto di idee e di punti di vista. Cercare il proprio posto nel mondo, anche attraverso un confronto tra pari, continua a essere un'esigenza dei ragazzi, così come lo era in passato. Oggi questa esigenza ha un'unità di misura particolarmente raffinata, data da tutti i tipi di feedback che riesce a raccogliere nei social network. Da una parte, dunque, c'è il problema della continua ricerca del consenso tra pari, dall'altra occorre considerare che sono stati i giovani e gli adolescenti a inventare quell'economia della condivisione che consente loro di sopperire al primo problema, cioè il fatto di non avere soldi, e poter fare delle cose: studiare scambiandosi lezioni via web, viaggiare condividendo i passaggi e l'ospitalità. La capacità di interpretare i legami come risorsa è dei ragazzi e gli adulti la stanno imparando da loro.
Le generazioni si stanno separando, in termini di distanza, riconoscimento e condivisione, al punto che l'esperienza di vita degli adulti diventa sempre meno utile per un ragazzo in termini di istruzioni per l'uso. Quando un'epoca cambia rapidamente le sue coordinate, inevitabilmente c'è anche un'inversione di saperi: i nuovi nati si costruiscono il loro futuro senza seguire una tradizione, una strada maestra, ma inventandoselo di giorno in giorno. Questo fa sì che la testimonianza dell'adulto perda un po' di significato in termini cognitivi; oggi un genitore non sa cosa dire al figlio né un insegnante riesce a orientare un ragazzo rispetto al futuro che l'attende. I ragazzi sentono che le generazioni si stanno separando e fanno fatica a trovare negli adulti delle guide, dei buoni collaboratori, soprattutto quando gli adulti continuano a recitare il ruolo normativo. La generazione di pionieri di cui si parla nel libro non è una generazione di allievi, ma di ricercatori e scopritori. Il genitore che torna a casa non deve chiedere «hai fatto i compiti?», ma «che cosa hai scoperto oggi?». L'adulto dovrebbe tornare in ascolto di un ragazzo che è il suo pioniere e attraverso il dialogo costruire insieme ai giovani le piste per quello che ci attende. Anche l'adulto comincia a sentire la fatica della precarietà e dell'incertezza.

 

Come si potrebbe accorciare questa distanza tra generazioni?

 

Se gli adulti si rendessero conto che sono sulla stessa barca, assumessero questa condizione di incertezza e precarietà come condizione generale e provassero a relazionarsi con i ragazzi in una logica di apertura e scambio, rispetto a un cambiamento che riguarda tutti, allora le cose funzionerebbero molto meglio. Credo che oggi il sapere degli adulti sia fortemente in difficoltà. Pensiamo, ad esempio, a un colloquio di lavoro: il ragazzo che cerca lavoro sa più lingue dell'adulto che lo deve selezionare. Gli adulti dovrebbero ripensare i meccanismi di incontro tra le generazioni. Le lezioni in classe, ad esempio, dovrebbero essere basate molto di più sui dialoghi che sulle lezioni frontali, perché i dialoghi valorizzano i saperi di tutti e forse questa è un'epoca che ha bisogno dei saperi di tutti.  

 

Prima ha parlato dell'ascolto dei giovani, un altro tema ricorrente in Crescere nonostante: come intervenire per promuoverlo e valorizzarlo?

 

Tutte le situazioni in cui ci sono un adulto e un ragazzo (a scuola, a casa, ecc.) tendenzialmente prevedono una chiara disparità: il ragazzo è lì e deve mettersi in ascolto dell'adulto che tiene una lezione o impartisce una regola. Una disparità che prevede anche turni di parola e sequenze che partono dall'adulto; in questi turni e sequenze il ragazzo deve ascoltare o rispondere a quelle che nel libro sono definite come domande illegittime (l'adulto che domanda sa la risposta e il ragazzo che risponde sa di dover aderire a quella risposta che ha in mente l'adulto). In un mondo fermo ha senso fare domande illegittime, mentre in un mondo in movimento dobbiamo fare domande legittime, con le quali tutti andiamo alla scoperta della verità e c'è chiaramente un ascolto perché si ha bisogno del sapere dell'altro. Quando guardo un bambino o un ragazzo come risorsa lo ascolto, perché il suo sapere mi dà indicazioni preziose e precise.

 

Il libro indaga sul ruolo degli educatori: com'è cambiata, oggi, questa professione?

 

È un tema delicato. In molte circostanze gli educatori hanno agito con l'intento di contenere il disagio e prevenire i rischi della condizione di minori e giovani che potevano fare del male a sé stessi o ad altri. Le istituzioni che gli educatori hanno alle spalle sono oggi in difficoltà e meno cristalline. Quindi è poco verosimile che sia il modello a cui tendere e che un educatore possa essere il mediatore tra questo modello e il mondo dei ragazzi. Il lavoro educativo negli anni è diventato più promozionale, ha cercato di lavorare di più sull'agio, le risorse, le possibilità e le potenzialità. Oggi il lavoro degli educatori è particolarmente in difficoltà, perché gli stessi educatori si trovano in una condizione sempre più simile a quella dei ragazzi che incontrano (spesso sono precari, come loro). Penso che questa sia anche un'opportunità per ridurre le distanze e sentire cosa significa essere in quella condizione di incertezza e disorientamento. Credo che il grande sforzo del lavoro educativo sia trasformare l'energia dei ragazzi e metterla al servizio della collettività. Un educatore deve portare in luce nello spazio pubblico le potenzialità di bambini e ragazzi e promuovere incontri significativi fra giovani e adulti che possano aprire delle strade alle nuove generazioni.

 

(Barbara Guastella)