Minori fuori famiglia si raccontano

Il convegno Dal nostro punto di vista. L'agency e la partecipazione delle ragazze e dei ragazzi nei percorsi di protezione e cura, tenutosi venerdì scorso, a Padova, ha offerto l'occasione per presentare alcune esperienze innovative che puntano a creare nuove forme di ascolto collettivo e di partecipazione dei ragazzi coinvolti nei percorsi di cura, raccontate dagli educatori e dagli stessi ragazzi che vi hanno preso parte.

Una di queste è la Ricerca bambini e adolescenti fuori dalla famiglia di origine – Un approfondimento qualitativo sulla loro esperienza, indagine promossa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e coordinata dal Centro nazionale che ha coinvolto alcuni minori in comunità e in affido e ragazzi più grandi di quattro città (Roma, Milano, Firenze e Bari). I ragazzi hanno partecipato a una serie di focus group, incontri tra pari alla presenza di un ricercatore e un facilitatore, organizzati per dar voce al punto di vista dei bambini e degli adolescenti che vivono fuori dalle famiglie di origine.

Della ricerca abbiamo parlato con Vincenza Nastasi, facilitatrice dei focus group a Milano, che ci ha raccontato l'esperienza fatta nel capoluogo lombardo.

Quali sono gli argomenti più ricorrenti emersi dalle riflessioni dei ragazzi durante i focus group?

Il progetto ha dato la possibilità di conoscere le due realtà, l'affido e la vita in comunità. Le domande più frequenti hanno riguardato le regole in vigore in una comunità, le regole in vigore in una casa (nell'affido), e i pregiudizi sulla vita in comunità e sulla vita in famiglia. Il tema fondamentale di questa indagine è stato il confronto tra i due percorsi di accoglienza.

Cosa è emerso da questo confronto?

La cosa importante che è emersa dalla ricerca è il fatto di potersi raccontare, sia per i ragazzi in comunità che per quelli in affido, e far conoscere davvero le due realtà, sfatando tutti i pregiudizi presenti in entrambi i gruppi.

Ci sono stati racconti o frasi che l'hanno colpita in modo particolare?

Mi è piaciuto il racconto di una delle ragazze in comunità quando si è parlato del ruolo dell'educatore all'interno delle strutture residenziali dal punto di vista dei minori accolti. La ragazza ha riportato un episodio che l'ha colpita molto: un educatore che non era di turno quel giorno ha dato la sua disponibilità per accompagnarla a comprare la divisa per la scuola, in una zona molto distante della città. Lo ha indicato come esempio della passione che gli educatori mettono nel loro lavoro, anche quando non lavorano. Una ragazza in affido, invece, nel racconto della sua esperienza ha riportato una frase della madre affidataria che le è servita moltissimo: «prendi per mano la vita e fanne una cosa meravigliosa».

Quali sono le indicazioni più significative offerte dai ragazzi?

Si può riassumere tutto in una frase: «ascoltateci di più e fateci parlare». I ragazzi hanno tanto da raccontare. Come educatrice e ricercatrice ho imparato moltissimo da questa esperienza. La cosa più importante che si può dire rispetto alle raccomandazioni da dare alle istituzioni è questa: «ascoltare di più quello che hanno da dire i ragazzi».

Qual è il bilancio di questa esperienza?

L'effetto sui ragazzi è ottimo; i giovani che vi hanno preso parte hanno avuto l'opportunità di conoscere delle realtà diverse. Un punto di debolezza, invece, è la mancata organizzazione dell'evento finale di restituzione dei risultati dell'esperienza nelle quattro città coinvolte: per i ragazzi, infatti, sarebbe stato molto importante raccontare il progetto in occasione di un evento pubblico.

(Barbara Guastella)