"Coinvolti di diritto" a Padova

Ascolto e partecipazione: questi i due temi al centro del convegno Dal nostro punto di vista. L'agency e la partecipazione delle ragazze e dei ragazzi nei percorsi di protezione e cura, che si è tenuto venerdì scorso, a Padova. Durante l'incontro, organizzato dall'Università degli studi di Padova e dal Coordinamento nazionale comunità di accoglienza del Veneto per dare voce alle storie, alle idee e alle riflessioni dei giovani, sono state presentate alcune esperienze innovative che puntano a creare nuove forme di ascolto collettivo e di partecipazione dei ragazzi coinvolti nei percorsi di cura. A presentarle, gli educatori e alcuni dei giovani partecipanti.

Fra queste esperienze c'è Involved by right (in italiano Coinvolti di diritto), progetto europeo mirato a promuovere la partecipazione di ragazze e ragazzi nei percorsi di accoglienza in affido e nelle comunità educative e familiari, che in Italia ha coinvolto 111 bambini e adolescenti tra gli 11 e i 16 anni accolti in affido e in comunità, in diverse località del Veneto.

Il progetto, promosso dalla Regione del Veneto e da altre realtà e gestito dall'Azienda Ulss n. 3 di Bassano del Grappa, si è articolato in cinque fasi, che hanno previsto, fra l'altro, una serie di incontri tra pari a cui hanno partecipato due facilitatori esperti (educatori e animatori con il compito di facilitare la comunicazione tra bambini e adolescenti), durante i quali i ragazzi hanno svolto varie attività, volte a stimolare il confronto e la riflessione sulle esperienze di accoglienza.

A margine del convegno abbiamo rivolto qualche domanda a Riccardo Nardelli, facilitatore del progetto.

I ragazzi hanno avuto difficoltà ad aprirsi durante gli incontri oppure hanno mostrato fin da subito entusiasmo e partecipazione?

Ci sono due cose fondamentali da dire: innanzitutto c'è stata una partecipazione cosiddetta “a grappolo” (i ragazzi hanno cominciato da livelli di partecipazione blandi); in secondo luogo, i giovani erano liberi di partecipare o meno ad ogni fase del progetto. La prima fase ha visto il nostro passaggio nelle singole comunità e nei gruppi di affidati per ogni area. La seconda fase è stata realizzata attraverso incontri tra pari, durante i quali veniva chiesto ai ragazzi di raccontare, attraverso il gioco del post-it, un episodio, una parola, una frase significativa della vita in comunità e in affido. C'è stato chi ha raccontato da subito cose molto personali e chi, invece, si è limitato a raccontare la gita a Gardaland. La terza fase ha previsto l'incontro collettivo tra tutti i ragazzi e le ragazze in affido e in comunità di ciascun territorio che hanno scelto di proseguire nel progetto. In questa occasione c'è stato un approfondimento più ampio: il fatto di confrontarsi ha permesso una grande apertura da parte dei ragazzi, che hanno raccontato anche cose molto intime e difficili. Le fasi successive hanno previsto altre attività, tra cui la partecipazione di alcuni ragazzi agli incontri internazionali del progetto.

L'ascolto collettivo ha migliorato i rapporti tra pari e quelli tra ragazzi ed educatori?

Questo è il tema fondamentale dell'intero progetto: l'ascolto collettivo come strumento di crescita delle relazioni, del proprio vivere e della qualità del processo di cura. Come è stato detto anche nel corso del convegno, le resistenze da parte degli adulti sono molte. Lavorare con tanti ragazzi riuniti in gruppo non è facile, ma dà un esito che supera le aspettative. L'ascolto collettivo migliora sia le relazioni tra pari sia la consapevolezza dei ragazzi nel percorso di cura. Anche per noi adulti è stato molto utile capire questa potenzialità; l'ascolto collettivo ha migliorato molto le relazioni quotidiane con i ragazzi e ha fatto nascere la voglia di lavorare in questo modo.

Quali sono le indicazioni più interessanti emerse dalle riflessioni dei ragazzi?

Lasciando stare le indicazioni offerte a educatori, psicologi, ecc., riassumo in tre punti le indicazioni più forti che noi adulti abbiamo ricevuto. Innanzitutto i ragazzi accolti hanno una consapevolezza enorme, inaspettata; hanno un quadro molto chiaro della loro situazione e sono anche capaci di esprimerla e rielaborarla, pur con tutte le difficoltà del caso. In secondo luogo sono capaci di riciclarsi in ruoli di affiancamento e accompagnamento di ragazzi più piccoli di loro che si trovano in situazioni analoghe. Terzo punto: questi giovani possono dare alle istituzioni un'opinione, una voce che fino ad oggi non c'era.

Quali sono, in sintesi, i punti di forza e gli aspetti critici di questa esperienza?

I punti di forza: il fatto che i ragazzi iniziano ad avere un loro ruolo forte e il miglioramento delle relazioni e dei percorsi di vita in comunità e in affido. Gli aspetti critici: si tratta di esperienze nuove, sperimentali, e quindi ci sono delle resistenze forti anche a livello di investimenti, che in qualche modo devono essere superate; l'altro punto di debolezza su cui bisogna cominciare a lavorare è il fatto che questi ragazzi crescono e devono trovare altri ruoli per continuare a esserci. A questo proposito tengo a sottolineare che alcuni ragazzi che hanno partecipato al progetto hanno scelto di continuare a lavorare per riproporre questa esperienza ad altri ragazzi più giovani.

(Barbara Guastella)