Protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale

2013/05/22 Type of resource Rules and case law Topics Sexual exploitation Titles Legal comments Activities Legal review

Con la legge 172/2012[1] è stata finalmente ratificata, dal nostro Paese, la Convenzione di Lanzarote del Consiglio d’Europa del 25 ottobre 2007 (entrata in vigore il 1° luglio 2010) per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. In questo modo la Convenzione - considerata ad oggi lo strumento più avanzato sulla materia e il primo che impone agli Stati di criminalizzare globalmente le forme di abuso sessuale nei confronti dei minori compresi gli abusi commessi all’interno della famiglia, con l’uso di forza, costrizione o minacce- è diventata uno strumento giuridico che impegna anche lo Stato italiano. La Convenzione, infatti, unificando la legislazione degli Stati sul tema della tutela dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, ha gettato le basi per riuscire a combattere più efficacemente questi fenomeni che spesso si caratterizzano proprio per essere trans-nazionali. In essa si chiede agli Stati di perseguire i reati anche quando vengono commessi da propri cittadini sul territorio di un altro Stato, e di applicare la propria giurisdizione anche agli autori di reati che, senza avere la cittadinanza di quello Stato, vi risiedono abitualmente prevedendo, altresì, misure preventive e programmi di sostegno alle vittime.

Il legislatore italiano, per migliorare la tutela offerta ai minori dall'ordinamento giuridico sul tema della lotta alla pedofilia e alla pedopornografia, è poi andato oltre al semplice recepimento della normativa contenuta nella Convenzione[2], offrendo non solo importanti adeguamenti al testo della Convenzione delle norme nazionali di contrasto alla pedofilia e della pedopornografia[3], ma cogliendo l'occasione per prevedere l'introduzione di incisive modifiche al Codice penale e al Codice di procedura penale[4] rispetto ai crimini previsti dalla Convenzione stessa. Viene, quindi, anticipata la soglia di punibilità dei comportamenti dei pedofili, ponendo l'attenzione a tutti quegli atteggiamenti che spesso si riscontrano nei momenti che precedono l'abuso (come il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati abitualmente da minori), viene prevista una risposta repressiva caratterizzata da un aumento delle pene e dei tempi di prescrizione[5] dei reati, e definita una disciplina più stringente sulle modalità di partecipazione ai programmi di recupero sociale previsti per gli autori di questi crimini.

Fra le nuove fattispecie di reato introdotte nel codice penale troviamo l'art. 414 bis c.p. (pubblica istigazione o apologia a pratiche di pedofilia e di pedopornografia) che punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni (oltre che con le pene accessorie di cui all’art. 600-septies e sempre che il fatto non costituisca più grave reato) la pubblica istigazione: "chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione”, istiga a commettere in danno di minori, i reati di prostituzione minorile, di pornografia minorile e detenzione di materiale pedo-pornografico[6] (quindi non si persegue solo la condotta di colui che lo produce o commercia, ma anche chi lo detiene e chi accede consapevolmente a siti pedopornografici), di violenza sessuale nei confronti di bambini e di corruzione. Alla medesima pena soggiace anche chi, "pubblicamente, fa l'apologia di questi reati". In questo caso ciò che il legislatore richiede è semplicemente che l’istigazione sia idonea[7] ad indurre a commettere il reato, quantomeno sul piano della prova della concreta pericolosità della condotta e, quindi, che vi sia un nesso che lega l’istigazione alla commissione del fatto istigato. La pubblica apologia, poi, è intesa come istigazione indiretta consistendo, secondo la giurisprudenza[8] nel persuadere un gran numero di persone mediante un linguaggio suggestivo ad un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione del reato.

Altro nuovo reato introdotto dalla legge in esame è quello disciplinato dall'art. 609 undeciesc.p. - rubricato Adescamento di minorenni - che interviene sulla delicata questione dell'adescamento dei minori anche tramite web. La Convenzione, all’art. 23, si limitava a chiedere che tale adescamento andasse a buon fine, mentre nella legge 172 il legislatore ha voluto evidenziare una netta anticipazione della tutela penale a comportamenti non ancora effettivamente lesivi della sfera sessuale del minore definendo il reato di "adescamento" come "qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l'utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione" e che tale condotta di adescamento di un minore infra-sedicenne sia punita con la pena da uno a tre anni. Qui è prevista una clausola di riserva che subordina la punibilità all’impossibilità di ricondurre il fatto in altra e più grave fattispecie incriminatrice.

La legge riscrive, poi, anche il reato di prostituzione minorile (art. 600 bis) provvedendo innanzitutto a rideterminare le pene pecuniarie previste e a fissare nuovi limiti edittali (la reclusione da sei a dodici anni e la multa da 15.000 a 150.000 euro) per chiunque: "recluta o induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto; favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione di una persona di età inferiore agli anni diciotto, ovvero altrimenti ne trae profitto"; mentre, "salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità, anche solo promessi, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000". Se, poi, tali fatti sono commessi nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni sedici la pena è aumentata da un terzo alla metà. Qui la novità rispetto alla normativa che già prevedeva il reato (vedi art. 3 della L.75/1958) consiste nell’aumentata cornice sanzionatoria applicabile alla nuova disposizione e all’autonomia della condotta di reclutamento - perché l’agente si attiva al fine di porre la vittima nella disponibilità di chi vuole trarre vantaggio dall’attività di meretricio - rispetto a quella di induzione (qui non si richiede attività di persuasione al fine di far prostituire il minore).

Un’altra novità della legge 172/2012 è, infine, quella di avere introdotto nel nostro codice penale (art. 602 quater) una disposizione sull’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile, dovendosi intendere cioè ignoranza non rimproverabile quantomeno a titolo di colpa ed estendendo la minore età dai quattordici anni (richiesta precedentemente) a minore età in generale.

 

Tessa Onida

 

[1] L. 1 ottobre 2012, n. 172, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno, pubblicata nella GU 8 ottobre 2012, n. 235.

[2] Tra le norme più innovative della Convenzione, che con questa legge entrano a far parte del nostro ordinamento, si annoverano le seguenti: la proibizione della diffusione di materiale che pubblicizzi in qualunque modo le attività delittuose considerate tali dalla Convenzione; la partecipazione del settore privato, in particolare dei settori del turismo, bancario, dei provider, l’elaborazione e l’implementazione di politiche di contrasto allo sfruttamento sessuale dei minori, anche attraverso strumenti di autoregolamentazione (es. codici di condotta); l’introduzione della fattispecie criminosa del “grooming” (cioè dell’adescamento anche a mezzo Internet), la creazione di Unità investigative specializzate per effettuare indagini sotto copertura sulla pedopornografia on-line, il reato di corruzione di minore (quando si obbliga un minore ad assistere ad abusi sessuali o ad attività sessuali che coinvolgano uno o più adulti), il rafforzamento delle procedure di identificazione dei minori raffigurati in materiale pedopornografico, l’allontanamento del reo dal nucleo familiare, la previsione fra le circostanze aggravanti dei reati sessuali a danno di minori, l’indurre o obbligare la vittima attraverso l’uso di alcool, droghe, o altre sostanze che possano arrecare grave danno alla vittima.

[3] Si prenda come esempio la disciplina prevista dalle leggi n. 66/1996 "Norme contro la violenza sessuale", la legge n. 269/1998 "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori", infine la disciplina della legge n. 38/2006 "Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet".

[4] Vedi art. 5 della legge in esame. Di questo articolo, tra i vari altri aspetti che qui non prendiamo in esame, è importante la lettera c) dove il legislatore nazionale ha previsto (quando debbano essere raccolte in fase investigativa le dichiarazioni di un minore riguardo a reati di abuso, violenza e sfruttamento sessuale) la necessaria presenza di un esperto in “psicologia o psichiatria infantile”. L’esperto deve essere presente non solo quando si escute la vittima del reato, ma in tutti i casi in cui debbano essere raccolte dichiarazioni di minori nell’ambito di procedimenti relativi ai reati indicati nell’art. 351 comma 1 ter c.p.p. (come modificato).

[5] Vedi il raddoppiamento dei termini di prescrizione art. 4, comma 1 lett. a) per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) e per i reati di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale.

[6] Cfr. Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza del 18 febbraio 2013, n. 5143, che si sofferma sulle modifiche apportate dalla legge 172/2012 agli articoli 600-ter, quater e septies c.p riguardanti la definizione di materiale pedopornografico e sul concetto di detenzione di immagini pedopornografiche.

[7] Cfr. Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 26907/2001 sulla natura di reato di pericolo concreto.

[8]  Cfr. Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza 13541/1986.