Alza la testa

2013/03/21 Type of resource Film cards Topics Family relationships Sports Titles Rassegne filmografiche

regia di Alessandro Angelini

(Italia, 2006)

 

Sinossi

Mero, operaio di mezza età impiegato in un cantiere nautico del litorale romano, è un padre single. Ha tirato su da solo suo figlio Lorenzo (nato sedici anni prima dalla relazione con Denisa, una donna di origini albanesi) proiettando sul ragazzo le proprie ambizioni pugilistiche abbandonate da giovane in seguito a un infortunio. I progressi del figlio sul ring sono la sua ragione di vita, l’obiettivo è quello di fare di Lorenzo un campione di boxe: Mero lo allena in palestra ma il suo controllo si estende anche alle scelte personali del ragazzo che l’uomo vuole proteggere dai colpi della vita così come da quelli degli avversari. Da vero allenatore Mero riesce a gestire ogni aspetto dell’esistenza del figlio, almeno fino a quando il ritorno di Denisa e l'incontro di Lorenzo con la coetanea Ana, anche lei di origini albanesi, non innescano il conflitto tra padre e figlio. Una sera, al termie di un incontro, dopo un’accesa discussione con il padre, Lorenzo muore in un incidente stradale. Per Mero la vita sembra finita, fino a quando non scopre a chi è stato donato il cuore di suo figlio: l’uomo intraprende così un lungo viaggio nel Nordest d’Italia alla ricerca di questa persona e dall’incontro che ne scaturisce riuscirà forse a trovare un parziale risarcimento al proprio dolore.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Paternità a rischio

Nel cinema di Alessandro Angelini, qui alla seconda regia di una fiction ma con alle spalle una solida esperienza nel documentario, la paternità, il rapporto tra padri e figli, rappresenta certamente uno dei nodi tematici fondamentali del racconto. Fin da Ragazzi del Ghana, sua prima prova nel documentario, Angelini si avvicinava alla singolare figura di uno scopritore di talenti calcistici che aveva fatto del proprio lavoro una vera missione: con spirito paterno il protagonista cercava i suoi giovani campioni nei villaggi più sperduti, spiegava alle famiglie i termini della sua offerta e, giunto in Italia, ospitava a casa propria i ragazzi fino all’inserimento in una squadra e anche dopo. In L’aria salata, suo primo film di fiction, un padre carcerato incontrava dopo molti anni il figlio nei panni di un educatore: in questo caso erano l’inversione dei ruoli, la distanza del tempo e un passato troppo doloroso a rendere impossibile il rapporto genitore-figlio. Con Alza la testa è paradossalmente l’eccessiva vicinanza e attenzione di un padre, troppo preoccupato di difendere il figlio da una vita che gli ha già riservato l’assenza della madre e un’esistenza non certo facile, a essere problematica.

Il film, che a livello di interpretazione, ha il suo punto di forza nel confronto tra un attore navigato come Sergio Castellitto e il giovane Gabriele Campanelli, risulta equilibrato nella prima parte, quella relativa al rapporto tra Mero e Lorenzo, per slabbrarsi nel corso della seconda, quando l’uomo resta solo e cerca un improbabile risarcimento al proprio dolore nella ricerca di colui che ha ricevuto il cuore di suo figlio per un trapianto. Con il procedere del racconto, verso il finale la sceneggiatura affastella temi importanti e situazioni improbabili, dando luogo a un film irrisolto ma che conserva alcuni buoni momenti nella descrizione del rapporto tra padre e figlio e dell’ambiente della boxe dilettante.

Afflitto dalla misoginia, ossessionato da un passato deludente, Mero cerca di soffocare i naturali desideri del ragazzo che, del resto, si trova proprio nell’età in cui le amicizie, i sentimenti, le emozioni hanno un ruolo fondamentale. Da un lato la ricomparsa della madre di Lorenzo toglie all’uomo – almeno momentaneamente – l’esclusiva nell’educazione del ragazzo, dall’altro l’attrazione che quest’ultimo prova per Ana, la coetanea di origini albanesi, sembra prefigurare una replica del suo rapporto con Denisa e la prospettiva di un fallimento in campo sentimentale. Mero proibisce al figlio di vedere Ana, giustificando tale decisione con l’esigenza di eliminare ogni distrazione dalla sua vita di giovane atleta, con la necessità di tenere chiuso alle donne e a ciò che rappresentano un universo esclusivamente maschile costruito a difesa di quanto ha faticosamente costruito. Nel rapporto esclusivo con il figlio, che forse Mero avrebbe volentieri diviso con la moglie quando Lorenzo era piccolo, non può esserci posto per nessuno, tanto meno per una ragazza che ha, almeno all’apparenza, gli stessi connotati della sua ex compagna. Da qui deriva anche quella componente di diffidenza xenofoba presente nel personaggio di Mero che rifiuta qualsiasi contatto o coinvolgimento emotivo con il  diverso: un atteggiamento che contraddice lo spirito dell’uomo, animato dal rispetto nei confronti dei tanti compagni di lavoro straneri e da una carica umana a stento trattenuta dai panni di padre necessariamente inflessibile di fronte alle prospettive di carriera del figlio e ai pericoli della vita.

Razzismo, misoginia, isolamento, eccessivo (e un po’ illusorio) investimento emotivo nel futuro del figlio: Mero sconta tutti i problemi tipici di quei genitori costretti a farsi carico di un’intera famiglia da soli, senza la possibilità di confrontarsi sui problemi e dividere le responsabilità con altri. La boxe, attività sportiva praticata necessariamente a livello agonistico, programmata in ogni dettaglio, scandita da impegni giornalieri inderogabili è la giusta metafora per calare nella concretezza di un rapporto quotidiano il sentimento di paura vissuto da Mero nei confronti del futuro e, più in generale, verso il cambiamento. Non è un caso che l’uomo abbia scelto per suo figlio proprio la disciplina alla quale aveva dovuto rinunciare, alla ricerca di riscatto ma anche di conferme, di certezze, di un itinerario già tracciato: che questa sia la boxe, uno sport dove conta soprattutto proteggersi dai colpi e poi, solo in un secondo momento, attaccare, risulta ulteriormente significativo.

L’uomo teme che la situazione possa sfuggirgli di mano e per questo ha creato per sé e per Lorenzo una tabella di marcia a lunga scadenza, che non lascia spiragli alla libera iniziativa del ragazzo: le prescrizioni riguardanti la dieta, i comportamenti, gli orari, sono altrettante garanzie a tutela di quel riscatto economico, ma ancor prima morale, che sempre più ossessivamente l’uomo cerca per sé e per Lorenzo . Il disagio tipico di tante famiglie monogenitoriali viene così bypassato attraverso l’organizzazione meticolosa di ogni aspetto della propria vita, salvo constatare che la vita stessa non si può programmare.

 

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Il tema della genitorialità e soprattutto della paternità problematica è divenuto sempre più attuale anche nel cinema italiano, probabilmente sotto la spinta dei cambiamenti sociali che hanno messo in discussione ruoli che potevano apparire immutabili. Nell’ultimo decennio i film che si sono occupati di personaggi maschili alla ricerca di un difficile equilibrio familiare sono decisamente molti: si va dal capomastro rimasto vedovo di La nostra vita di  Daniele Luchetti che, per dare un futuro migliore ai propri figli, tenta la scalata sociale, al cameraman protagonista di Anche libero va bene di Kim Rossi Stuart, padre di due figli adolescenti che, abbandonato dalla moglie, incontra enormi difficoltà nel provvedere da solo all’educazione e al mantenimento dei figli, alla figura totalmente negativa ma umanissima del padre sbandato interpretato da Filippo Timi nel film di Gabriele Salvatores Come dio comanda che, contro il parere dei servizi sociali, cerca di tenere con sé il figlio adolescente, ai padri divorziati appartenenti alla borghesia partenopea di Non è giusto di Antonietta De Lillo che non sanno come dividersi tra esigenze dei figli, richieste delle ex mogli e delle nuove compagne, attività lavorative da mandare avanti in qualche modo.

Altro tema importante in Alza la testa è quello dell’eccessivo investimento emotivo dei genitori nei risultati (scolastici, sportivi, artistici) conseguiti dai figli. Alla figura di Mero possiamo accostare quella del padre di David Elfgott, il celebre pianista australiano tanto geniale quanto psicologicamente fragile protagonista di Shine (1996) di Scott Hicks, così come quella di Maddalena, la popolana interpretata da Anna Magnani in Bellissima (1951) di Luchino Visconti, melodramma satirico sul falso mito del cinema ambientato durante negli anni Cinquanta nel quale la protagonista non esita a esporre la figlioletta a pesanti umiliazioni (la bimba non possiede nessuna dote artistica) pur di perseguire una propria personalissima illusione di successo e affrancarsi da un'esistenza onesta ma modesta.

Infine l’ambientazione nel mondo della boxe, universo sportivo privilegiato dal cinema per narrare formidabili successi capaci di riscattare intere vite fatte di umiliazioni e povertà, spesso attraverso il miraggio di una carriera non per i protagonisti ma per i loro figli (o per coloro che diventano pressoché tali per allenatori e impresari): si va dal pluripremiato Million Dollar Baby diretto da Clint Eastwood nel quale un burbero allenatore porta al successo internazionale una giovane emarginata, al meno blasonato (ma non meno interessante) Girlfight di Karyn Kusama dove una adolescente problematica trova il luogo nel quale convogliare la sua rabbia proprio sul ring, a Shiner di John Irvin, film a cavallo tra il dramma a sfondo sociale e il thriller, che vede un impresario investire tutto sul successo del figlio che è una promessa della boxe britannica: analogamente al Mero di Alza la testa l’uomo dovrà mettere da parte i propri sogni di gloria e assistere alla morte del ragazzo, deceduto in circostanze poco chiare.

È utile accennare in chiusura a un tema importante come quello dell’integrazione: non sono pochi i film che negli ultimi anni hanno descritto l’incontro tra culture diverse nel nostro Paese: se il caso di Alza la testa ha una sua particolarità nell’assegnare al figlio lo stesso destino del padre (Lorenzo si innamora di una coetanea albanese, proprio come era successo a Mero), altrettanto interessanti sono quei film che raccontano le storie semplici di quegli adolescenti che si ritrovano uniti da un sentimento ma divisi dalla cultura di appartenenza come Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi (anche questo ambientato sul litorale romano) dove un adolescente egiziano di seconda generazione entra in conflitto con la famiglia a causa del legame con una coetanea italiana.

Uno dei temi fondamentali di Alza la testa è quello della paternità, soprattutto di quel genere di paternità difficile, complessa, problematica che coincide con la condizione di monogenitorialità. Oltre alla visione dei film suggeriti nella precedente sezione è auspicabile un lavoro in aula sulle nuove forme di famiglia attraverso un confronto tra gli alunni sulle proprie esperienze personali, ma che può estendersi anche a uno studio della legislazione in materia soprattutto attraverso il confronto tra quella italiana e quelle dei principali paesi europei.

Altro tema portante del film è quello dei rapporti tra italiani e immigrati che, all’interno di Alza la testa, si dispiega sul doppio piano dei rapporti tra Mero e i suoi compagni di lavoro all’interno dell’officina e tra suo figlio e Ana (albanese come lo è la sua ex moglie). È opportuno confrontare il film di Angelini con i molti documentari usciti negli ultimi anni sull’intercultura e sull’immigrazione e favorire una discussione in classe sul tema. Sulla rappresentazione dell’intercultura nella scuola italiana si rimanda anche alla Rassegna bibliografica infanzia e adolescenza 1/2010.

Fabrizio Colamartino

 

Per approfondire

Trailer

Recensione del film

Videointervista ad Alessandro Angelini su www.cinematografo.it

 

 

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