Istat, l'Italia paese sempre più vecchio

2010/06/23

L'Italia si conferma un paese per vecchi: è una delle considerazioni che si possono trarre dall'ultimo Rapporto dell'Istat, pubblicato nelle scorse settimane. Il documento, dedicato soprattutto alla crisi economica che ha colpito l'Italia in questi ultimi due anni, offre comunque alcuni interessanti spunti sulla situazione giovanile, su quella femminile e sulla presenza degli stranieri nel nostro Paese.

Dalle oltre 400 pagine di tabelle e testo contenute nel documento annuale dell'Istituto nazionale di statistica è interessante prima di tutto mettere l'accento su alcuni numeri. Si conferma infatti il calo della percentuale di minorenni sul totale dei residenti: dal 18,1% del 1996 si è arrivati al 17 % del 2008 (con un calo dello 0,1% rispetto all'anno prima).

Due indici evidenziano l'invecchiamento del Paese: quello di dipendenza giovanile, cioè il numero di individui non autonomi per ragioni demografiche (età inferiore ai 14 anni) ogni 100 individui potenzialmente indipendenti (età 15-64), che permette di valutare quanti giovani ci sono ogni 100 adulti, è rimasto stabile negli anni e si attesta al 21,3%. Quello di vecchiaia, cioè il rapporto tra residenti over 65 ogni 100 ragazzi tra i 0 e i 14 anni, è salito dal 115,5% del 1996 al 142,8 del 2008.

Tuttavia il quoziente di natalità mostra una leggera ripresa: dal 9,4 del 1996 al 9,6 del 2008. Ma, come avvertono gli estensori del Rapporto, «la ripresa della fecondità (1,42 figli per donna), in atto dalla metà degli anni Novanta, è da ascrivere principalmente alla popolazione straniera e comunque non permette di mantenere gli attuali livelli di popolazione». Il numero dei nati é diminuito rispetto al 2008 (-7.802, pari all'1,4%), anno in cui si era registrato un incremento superiore a quello medio degli ultimi anni. Il decremento si registra in particolare al Centro (-3,3%), Sud (-1,5%) e risulta più contenuto nel Nord-est, nelle Isole (-0,9%) e nel Nord-ovest (-0,3%). L'incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati della popolazione residente è passata dall'1,7% al 13,6%, cioè  da poco più di 9 mila nati nel 1995 a più di 77 mila nel 2009.

L’Italia presenta perciò «un forte squilibrio generazionale: il rapporto di dipendenza tra le persone in età inattiva (0-14 anni e 65 anni e più) e quelle che “teoricamente” si fanno carico di sostenerle economicamente (15-64 anni) è passato dal 48 al 52 per cento in dieci anni, per effetto del peso crescente delle persone anziane (da 27 ogni 100 in età attiva nel 2000 a 31 nel 2009)».

Per sostenere la crescita futura e garantire un sostegno alla popolazione inattiva, «l’investimento in chi oggi è giovane dovrebbe essere concepito come una condizione indispensabile per assicurare la sostenibilità della società italiana. Purtroppo, le evidenze contenute nel Rapporto segnalano gravi debolezze del sistema formativo e lavorativo, alcuni rischi per la coesione sociale e segnali di disagio espressi direttamente dai giovani non più soddisfatti come in passato di permanere a lungo nella famiglia di origine». Ma la situazione è ancora critica: «La disoccupazione tra i giovani raggiunge il 25,4 per cento e coinvolge circa 450 mila persone tra i 15 e i 24 anni».

Non migliorano neppure alcuni aspetti della condizione femminile. Per esempio, il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni è sceso al 46,4% nel 2009, mentre in Europa si attesta al 58,6%. Questo calo, dovuto alla crisi, ha colpito soprattutto nel Mezzogiorno: sebbene presentasse già bassi tassi di occupazione femminile, ha assorbito quasi la metà del calo complessivo delle occupate (-105 mila donne). Tra gli altri elementi da segnalare, si accentuano «le difficoltà per le donne in coppia con figli, elemento già critico della situazione italiana: considerando la classe di età 25-54 anni, e assumendo come base le donne senza figli, i tassi di occupazione sono inferiori di quattro punti percentuali per quelle con un figlio, di 10 per quelle con due figli e di 22 punti per quelle con tre o più figli. Tale andamento non si riscontra per i principali paesi europei», si legge nel Rapporto. (mf)