Uova di garofano

regia di Silvano Agosti

(Italia, 1991)

Sinossi

Silvano torna, dopo molti anni, nella casa della sua infanzia insieme al figlio Lorenzo. Davanti all’abitazione, ormai in rovina, inizia a ricordare i primi anni della propria vita, vissuta insieme al padre, simpatizzante fascista, la madre e le sue sorelle maggiori. La mente torna così ai piccoli episodi che hanno costellato la sua infanzia, vissuta per lo più in silenzio ad osservare il mondo degli adulti e quello, diversissimo, dei suoi coetanei. Il ricordo si volge allora alle recite teatrali, alle feste fasciste dove, davanti a gerarchi e a cardinali, i bambini posavano fiori sul busto del duce, all’incontro e all’amicizia con un vecchio soprannominato “l’orco” (perché si riteneva che avesse mangiato la moglie), alle prime sigarette, alla scoperta del cinematografo. Il ritorno alla memoria diventa un’occasione per ritrarre una nazione e tutte le sue contraddizioni, dal periodo fascista a quello della guerra, dalle torture e dalle esecuzioni naziste alle ritorsioni partigiane e americane, per rappresentare lo sguardo di un bambino, chiuso nel silenzio e per questo il solo capace di vedere l’extra sensoriale e di trovare le “uova di garofano”, magiche uova capaci di avverare i desideri.

Presentazione critica

Questo film è dedicato ai bambini che volevano vivere e sono morti durante le guerre”, così recita la chiosa che conclude la pellicola. Il regista Silvano Agosti segnala allo spettatore una delle intenzioni iniziali, nonché uno dei maggiori meriti del film: dedicare la storia ai bambini, e quindi cercare di raccontare gli avvenimenti secondo un linguaggio che appartenga al loro mondo. Uova di garofano, infatti, non è un film “per ragazzi”, costruito cioè seguendo le regole classiche del cinema di genere, dalla costruzione dell’eroe in cui identificarsi alle prove da fargli superare e all’happy end finale, anzi proprio perché è un film con “lo sguardo e le contraddizioni dei ragazzi” ha il merito di allontanarsi da questo modello e di far propri i chiaroscuri dell’età. Grazie ad una narrazione sottovoce, sia nello stile, mai ridondante o eccessivo, sia nei dialoghi recitati in tono sommesso, come spesso capita ai piccoli per non farsi sentire dai grandi, la pellicola riesce a descrivere bene il mondo dell’infanzia, in continuo movimento tra la tragicità del reale e la necessità del sogno – richiamato dalle simboliche delle “uova di garofano” – tra la scoperta affascinante e crudele del mondo e la necessità di cercare un equilibrio tra le proprie esigenze e le richieste degli adulti. La narrazione non segue così un filo logico che voglia portare lo spettatore ad una conclusione scontata – anche se ci sono elementi che ritornano nel corso del film, come il busto di Mussolini o la comparsa di alcuni personaggi (la zia, il prete) – ma segue inesorabile le vicende dell’Italia sempre con un certo distacco ed un’incomprensione storica di fondo comune a tutti i bambini. I toni pastello con cui Agosti tratteggia la storia permettono di tollerare, con minore fatica, alcune soluzioni prevedibili sia nell’impianto narrativo sia nella scelta degli episodi rappresentati: si pensi all’uso del flash back, inflazionato e troppo semplice pretesto per raccontare la storia della propria infanzia, al finale ciclico, con la simbolica fuga di Leonardo, figlio di Silvano, nei luoghi cari al padre, alle scene “già viste” sulle sigarette fumate di nascosto, alla voce fuori-campo del protagonista che rilegge gli avvenimenti con il senno di poi. Il ricorso ad alcune scene “consolidate”, come quella in cui i due fratelli spiano la famiglia dall’alto della scala, potrebbero in realtà essere un omaggio al film di Ingmar Bergman Fanny ed Alexander, da cui Agosti riprende la delicatezza del racconto e la spietatezza con cui viene denudata la miseria degli adulti. Tra le poche parole pronunciate dal protagonista restano, infatti, quelle che Silvano rivolge senza alibi alla sua famiglia, odiata per la piccolezza delle sue azioni, per i pianti impotenti della madre e della sorella, per la fuga codarda del padre, una famiglia, proprio per questo, teneramente amata e commiserata. Questa è, infine, la visione inesorabile che il regista ci dà del mondo dei grandi. Rinunciarvi – il rifiuto di parlare da parte di Silvano va proprio in questa direzione – sembra un’azione irrimediabilmente persa. Il film, autobiografico, non è solo un piccolo omaggio alla propria infanzia, ma diventa, così, motivo per raccontare le paure e le contraddizioni degli uomini e dei bambini. Marco Dalla Gassa