Il diavolo in corpo

di Claude Autant-Lara

(Francia, 1947)

Sinossi

Parigi, 1918. François Jaubert, diciassette anni, segue a distanza il funerale di Marthe, una giovane donna morta di parto con cui ha avuto, per circa un anno, una relazione: mentre la gente scende in strada per festeggiare la fine della guerra, il ragazzo ricorda le vicende che gli fecero incontrare e amare Marthe. A offrir loro l’occasione del primo incontro è la vicinanza del collegio frequentato dal ragazzo con l’ospedale militare presso il quale Marthe presta servizio come infermiera volontaria. Ma se per François è amore a prima vista, la giovane donna è confusa, affascinata dall’irruenza del ragazzo, ma promessa in sposa a un militare. Un malinteso mette fine al loro primo incontro e, quando dopo alcuni mesi si rivedono, Marthe è già sposata: è ancora la guerra a favorire il loro amore (il marito di lei è impegnato al fronte) che sboccia appassionato, incurante delle dicerie che ben presto giungono alle orecchie delle rispettive famiglie. A nulla valgono i rimproveri dei parenti e il rischio di essere scoperti dal marito di Marthe che, di tanto in tanto, approfitta delle licenze per rivedere la moglie. Quando la giovane donna scopre di essere incinta François progetta di fuggire con lei lontano. Tuttavia, quando tutto sembra pronto ci ripensa, messo con le spalle al muro dal padre che lo inchioda alla dura realtà dei fatti: è ancora uno studente e non sarebbe in grado di provvedere a una famiglia. La guerra volge al termine e, di fronte all’imminente ritorno a casa del marito di Marthe, i due amanti devono dirsi addio per sempre: il bambino non saprà mai chi è il suo vero padre, François tornerà ai suoi studi, Marthe alla vita coniugale. Ma il destino ha in serbo una ben triste sorte per la giovane donna che, provata dalla decisione di non vedere più il suo amante, morirà dando alla luce il bimbo cui verrà messo il nome di François.

Introduzione al Film

Un classico del cinema per épater le bourgeois Sono diversi i motivi che fanno di Il diavolo in corpo uno dei titoli più importanti nel panorama cinematografico francese del secondo dopoguerra. Il film, infatti, segna l’affermazione definitiva di Claude Autant-Lara, regista di solido mestiere ma allo stesso tempo animato da una sorta di furore antiborghese e, per questo, attento ad alcune tra le tematiche sociali all’epoca più scabrose: tratterà l’obiezione di coscienza in Non uccidere, del 1963, l’aborto in Pelle di donna, del 1965. È inoltre uno dei primi grandi successi di pubblico del dopoguerra francese (e questo anche grazie allo scandalo suscitato dalle vicende narrate) e, infine, la trasposizione di uno dei romanzi più discussi del periodo tra le due guerre mondiali (Il diavolo in corpo di Raymond Radiguet). Parzialmente autobiografico (Radiguet aveva pressappoco l’età del protagonista all’epoca della prima guerra mondiale), scritto a soli diciassette anni, alla sua uscita il romanzo suscitò profondo scalpore negli ambienti intellettuali parigini per il forte spirito antimilitarista e antiborghese, nonché per l’alone di torbida e al tempo stesso ingenua sensualità che scaturiva dal rapporto tra l’adolescente François e la più matura Marthe. Tra i pochi che, al di là dello scandalo, compresero appieno il valore letterario del racconto (tutto narrato in prima persona dal protagonista in una sorta di lunghissimo monologo interiore) fu Jean Cocteau che prese il giovanissimo scrittore sotto la sua ala protettrice, per vederlo spirare nel 1923, a vent’anni, ancora prima che il romanzo fosse pubblicato. Sostanzialmente fedele al romanzo, senza tuttavia possederne lo stile, caratterizzato da una concisione lucida e crudele, il film di Autant-Lara, sceneggiato da Pierre Bost e Jean Aurenche, non presenta, sotto il profilo stilistico grosse novità rispetto al cinema francese degli anni Trenta, risultando formalmente corretto e privo di invenzioni nella messa in scena. Al raggiungimento di un risultato decisamente equilibrato contribuiscono la fotografia di Michel Kelber che mitiga i contrasti luministici attraverso i toni di un raffinato grigio (il film si allontana dai forti giochi di luce di matrice espressionista propri di quel “realismo poetico” che caratterizzò il cinema francese del decennio precedente), il montaggio particolarmente fluido grazie all’uso della dissolvenza incrociata che accentua l’aura di romanticismo di cui è pervasa la vicenda. Fondamentali, al pari degli elementi scenici, le interpretazioni di Gérard Philipe, che con il ruolo di François (sostenuto agevolmente dall’attore malgrado una differenza di dieci anni rispetto all’età del personaggio) si cuce addosso un’immagine – quella del giovane amante appassionato inguaribilmente romantico – che gli darà il successo internazionale, e di Micheline Presle capace di donare a Marthe quei tratti di arrendevole dolcezza che ne faranno una tra le figure femminili più memorabili del cinema francese.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

L’ingenuo “fuoco” della passione contro quello dei cannoni Le vicende narrate in Il diavolo in corpo, che oggi possono colpire tutt’al più per l’alone di ingenuo romanticismo che le circonfonde, all’epoca dell’uscita del film nelle sale (siamo alla fine degli anni Quaranta) suscitarono fortissime polemiche e la reazione scandalizzata di una parte consistente dell’opinione pubblica. Ciò che desta stupore è che, malgrado oltre venti anni separassero la pubblicazione del romanzo dalla sua versione cinematografica, il pubblico potesse reagire ancora con un moto di violenta indignazione nei confronti di una vicenda che, alla luce degli orrori prodotti dalla seconda guerra mondiale, doveva invece essere salutata come una sorta di pamphlet pacifista, un inno alla giovinezza e all’amore. Nulla era mutato nella Francia del secondo dopoguerra rispetto a quella tra le due guerre mondiali in fatto di evoluzione del costume e della morale? In realtà, tanto nel 1923 quanto nel 1947 la nazione si trovava a fronteggiare, soprattutto emotivamente, il triste lascito di una guerra devastante, e da parte della popolazione era avvertito fortissimo il bisogno di certezze e di solidi principi ai quali ancorarsi (e conformarsi) per intraprendere una faticosa ricostruzione non soltanto materiale ma anche e soprattutto morale. Difficilmente poteva essere accettata serenamente questa rivolta adolescenziale che minava alle basi valori come la fedeltà coniugale, l’amor di patria e, di conseguenza, istituzioni come il matrimonio, la famiglia, l’esercito (non bisogna dimenticare, tra l’altro, che il simbolo della nazione nel secondo dopoguerra fu il generale Charles De Gaulle, successivamente primo ministro e presidente della repubblica). Fu, infatti, la stampa cattolica e conservatrice a schierarsi in modo particolarmente violento contro il film e lo spirito antimilitarista da cui era animato che aggravava il quadro di individualismo e di rivolta nei confronti del conformismo borghese all’interno del quale si muovevano i due amanti. François, adolescente che vuole giocare a fare l’uomo senza preoccuparsi della guerra e delle regole sociali del mondo degli adulti (rese ancora più oppressive proprio dal clima bellico) e l’appena ventenne Marthe, vivono la contraddizione di un rapporto d’amore guardato con riprovazione da quanti li circondano, una condizione, questa, che li rende sempre più alieni rispetto al contesto sociale nel quale vivono, una realtà dalla quale entrambi si sentono distanti fin dall’inizio della loro relazione. Al di là della passione travolgente (simbolizzata, non senza ingenuità, nei momenti in cui l’amplesso tra i due amanti si fa esplicito dal fuoco che arde nel camino della loro camera da letto), dello scandalo della differenza di età (in fondo non così grande) e dell’adulterio commesso dalla giovane donna (ai danni di un uomo che sta combattendo per difendere la propria patria), ciò che colpisce è il sentimento di complicità che si instaura tra i due giovani, bisognosi di dimenticare gli orrori della guerra cui vengono quotidianamente esposti, lei con il suo lavoro di crocerossina, lui come volontario presso l’ospedale dove giungono i feriti dalle trincee. Françoise e Marthe vivono fino in fondo la contraddizione della propria condizione illegittima: da un lato sembrano volersi proteggere vicendevolmente, chiudersi in una sorta di mondo esclusivo dal quale la guerra sia estromessa, dimenticata; dall’altro sono costretti a sperare che il conflitto duri il più a lungo possibile per poter vivere il proprio amore clandestino alle spalle del marito di lei (una contraddizione ben raffigurata nella prima sequenza in cui François si aggira triste e solo per la città in festa per la fine della guerra). Probabile che quest’aura di cinismo infantile e immorale egocentrismo (sperare che la guerra continui perché solo all’ombra dei suoi orrori il loro amore può sopravvivere) sia stato il dato che più di ogni altro suscitò la reazione indignata dei benpensanti.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

La storia narrata nel romanzo di Radiguet ha più volte colpito la fantasia di sceneggiatori e registi: infatti, dopo la versione di Autant-Lara, sostanzialmente fedele all’originale scritto, sono apparse quella di Marco Bellocchio (1986) che traspone le vicende nell’Italia del post-terrorismo e quella di Scott Murray (1985) che sposta la storia in Australia durante la seconda guerra mondiale. Fabrizio Colamartino

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