Good Bye Lenin!

2010/05/20 Type of resource Film cards Topics Family relationships Titles Rassegne filmografiche

di Wolfgang Becker

(Germania, 2003)

Sinossi

26 agosto 1978. Il piccolo Alex Kerner osserva affascinato alla Tv la telecronaca del lancio dell’astronave Soyuz 31. Nella stanza accanto, due agenti della polizia politica interrogano la madre di Alex, Christiane, il cui marito è fuggito all’Ovest, sembra per amore di una donna. Superata la depressione successiva all’abbandono, Christiane si trasforma in una compagna modello: dirige i canti dei bambini, partecipa alle manifestazioni; l’unica ribellione che si concede è scrivere lettere di protesta al partito, ironiche e graffianti, quando qualcosa non va come dovrebbe. Undici anni dopo; è l’ottobre del 1989. La DDR festeggia i quarant’anni in quelli che saranno i suoi ultimi giorni. Durante una manifestazione di protesta, Christiane assiste al pestaggio di Alex da parte della polizia; sconvolta, cade in coma. Quando si risveglia, qualche mese dopo, il mondo è cambiato: il muro è caduto, la Germania è di nuovo una nazione unita e il capitalismo muove arrogante alla conquista di un territorio vergine. Il medico, però, raccomanda che la donna non subisca altri stress; e Alex decide di ricreare nella stanza della donna una DDR che ormai non esiste più. Mentre si innamora dell’infermiera Lara e lavora come installatore di parabole televisive, Alex si ingegna nel ricreare finti telegiornali e nel procurarsi i prodotti dell’economia sovietica ormai introvabili. La menzogna prosegue, anche se via via diviene sempre più difficile da sostenere. Un giorno, Christiane confessa di essere stata lei ad abbandonare il marito, poiché non ebbe il coraggio di raggiungerlo nella fuga verso ovest: la donna chiede al figlio di rintracciare l’uomo, prima di essere colpita da un nuovo infarto. All’ospedale, Lara rivela a Christiane la verità sul mondo che la circonda; ma la donna, con Alex, continua a fingere di ignorare tutto, commossa dagli sforzi del figlio, che ha creato per lei una DDR mai esistita, in cui il socialismo aveva davvero un volto umano; dopo aver rivisto il marito Robert, Christiane muore.

Introduzione al Film

Campione d’incassi in Germania nel 2003, Good Bye, Lenin! è il film di maggiore successo del regista tedesco Wolfgang Becker, autore di numerosi documentari e film per la TV oltre che di lungometraggi, tra cui Life Is All You Get (1997), altro film dal buon esito al botteghino. Attraverso la storia di Alex e della sua ardita quanto goffa finzione per risparmiare alla madre lo choc della fine del socialismo reale, il regista traccia un ritratto dolceamaro della Germania unificata a pochi mesi dalla caduta del muro. Anche se non è esente da qualche luogo comune – la prima cosa che fa Alex una volta attraversato il confine è andare in un sexy shop; lo stereotipo dell’anziano dirigente comunista ridotto all’alcolismo – la storia narrata dal regista ha il merito di rileggere la storia recente con lievità ma anche con un certo acume. Il tono leggero del film è dettato dallo spirito di commedia, evidente soprattutto nelle sequenze che vedono Alex all’affannosa ricerca di prodotti ormai introvabili – e che assumono subito il gusto malinconico e dolce di ciò che non c’è più: i cetriolini Spreewald, il caffè Moka Fix Oro, gli abiti di fattura mediocre – oppure impegnato, con l’amico Dennis, a creare finti telegiornali per cullare Christiane nell’illusione che niente è cambiato. Ma, nella realtà, Honecker non c’è più: al suo posto, enormi striscioni della Coca Cola, dirigibili che reclamizzano sigarette occidentali e, su tutto, l’offensiva di un capitalismo spregiudicato che tutto fagocita. Così, nonostante l’entusiasmo per la vittoria della nazionale tedesca ai mondiali di calcio del ’90, Alex si trova a dover fare i conti con una società cambiata, in cui alla mediocre e burocratica tristezza del socialismo si sostituisce il carrierismo impietoso del nuovo sistema economico. Per reazione, la DDR che il ragazzo ricostruisce per la madre è un mondo ideale e mai esistito, in cui davvero gli ideali socialisti vengono applicati e la solidarietà non è soltanto uno slogan. È questo il pregio maggiore del film: la bolla temporale che Alex ricrea per la madre è anche un modo per leggere la società tedesca e condannarne, anche se velatamente, l’abbuffata consumistica seguita al crollo di molti (troppi?) ideali. Lo spaesamento degli anziani amici di Christiane, le ingenue speranze di Ariane, sorella di Alex, che lascia gli studi di economia per lavorare da Burger King indossando una ridicola uniforme, la delusione di Alex nello scoprire che i risparmi della madre ormai non valgono più niente, danno al film una certa profondità di analisi, allontanandolo dal rischio di una rappresentazione soltanto comica o grottesca e perciò poco convincente.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

È in particolare la prima parte del film ad avere come protagonista Alex bambino. La sequenza che apre il film è composta da una serie di filmati che imitano i modi del film di famiglia: vediamo la famiglia Kerner unita, durante le vacanze in campagna o nei giochi sulla neve. È un modello di famiglia ideale che esiste solo grazie all’azione livellatrice della memoria, che cancella le asperità e lascia nella mente il ricordo di un periodo fatto solo di giorni di sole; ma rimane questo, comunque, il punto di riferimento per Alex, un’idea di unità familiare che non avrà più e che da grande tenterà faticosamente di riconquistare. In effetti, viene da pensare che il microcosmo che il ragazzo costruisce per la madre e di cui tiene saldamente in mano le fila sia un tentativo di riportare le cose al passato, a come erano, e insieme la sensazione di poter controllare (anzi, di manipolare a proprio piacimento) gli eventi: una ricerca di sicurezza forse crudele nei confronti della donna, magari ingenua, certo rivelatrice di un grande bisogno di conforto. L’infanzia è anche l’età dei sogni e delle grandi aspirazioni: e, davanti alla TV che trasmette il lancio di una navetta spaziale, Alex sogna di diventare un astronauta e di esplorare gli spazi infiniti del cosmo. L’infatuazione per il connazionale Sigmund Yen, primo tedesco dell’est a salire su una capsula spaziale sovietica, è quella tipica del ragazzino che vede nel suo eroe l’incarnazione di tutte le qualità; e per questo suonano un tantino retorici sia la sequenza in cui un Alex ormai cresciuto incontra lo stesso Yen, ormai ridotto al rango di guidatore di taxi, sia la trovata finale di fargli interpretare, nel falso telegiornale ricostruito per la madre, il segretario del partito successore di Honecker. Ma l’espressione incantata del piccolo Alex davanti alla Tv che trasmette l’immagine del suo eroe e il suo disperato tapparsi le orecchie per non sentire la voce dei due poliziotti che interrogano la madre – e non guastare così la magia dello spettacolo cui sta assistendo – sono colte dal regista con un tocco delicato e sensibile; è come se Alex si tappasse le orecchie per non distruggere il mito del padre, per esorcizzarne l’abbandono. In effetti il film suggerisce come la sofferenza per quest’assenza paterna non sia mai stata superata da Alex; è un rapporto, quello con una figura mancante e poi, alla fine del film, improvvisamente presente sebbene estranea, che il ragazzo non riesce a ricucire – o perlomeno ad affrontare razionalmente – neanche quando scopre che se abbandono c’è stato lo si deve a Christiane, che non ha mai avuto il coraggio di raggiungere il marito all’Ovest. In ogni caso, la situazione di solitudine ha portato Alex a un rapporto di dipendenza affettiva totale dalla madre che, nella seconda parte del film, sembra rovesciarsi: così come Christiane ha fatto credere ai figli qualcosa che non era vero (il padre fuggito con un’altra donna), ora è il figlio a ingannare la madre facendole credere in una realtà che non esiste, per proteggerla da quello che ritiene un mondo nuovo e troppo duro da affrontare. In fondo, è come se Alex offrisse alla madre una seconda infanzia: un mondo ovattato in cui tutto va come dovrebbe andare e il male può essere cancellato con un semplice taglio di montaggio. Ne emerge un’idea di infanzia duplice: da una parte essa è vista, tradizionalmente, come l’età dei sogni e delle grandi speranze; dall’altra viene proposta come un’età da proteggere e se necessario da ingannare, anche se a fin di bene; un’età d’oro, da assaporare finché dura, perché non tornerà mai più, se non al prezzo di una menzogna.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Se si vuole esplorare la rappresentazione che il cinema ha dato della DDR la pellicola più adatta è il recente Le vite degli altri (Das Leben der Anderen, Germania 2006) di Florian Henckel Von Donnersmarck, in cui si abbandona la chiave comico-nostalgica del film di Becker per affrontare, in tono più drammatico, la vicenda parallela di uno scrittore che viene spiato dalla Stasi e del poliziotto che, incaricato di tale compito, finisce per appassionarsi alla vicenda umana e artistica dell’uomo fino a difenderlo coprendone l’attività di oppositore. Sulla situazione attuale dei Paesi facenti parte dell’ex blocco sovietico, divisi tra l’agognata apertura all’Occidente e il rimpianto per un passato che è stato cancellato forse troppo indiscriminatamente si veda il bel film rumeno 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (4 luni, 3 saptamini si 2 zile, Romania 2007), di Cristian Mungiu, in cui la vicenda di due ragazze costrette a procurarsi un aborto clandestino si staglia sullo sfondo di una società, quella rumena, che, nel tentativo di rinnovarsi, rischia di perdere del tutto identità e punti di riferimento. Chiara Tognolotti

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