Il mio piccolo genio

2010/05/18 Type of resource Film cards Topics Childhood Psychological development Titles Rassegne filmografiche

di Jodie Foster

(USA, 1991)

Sinossi

Dede Tate fa la cameriera e vive con suo figlio Fred di sette anni. Fred è un bambino prodigio ma a scuola non riesce a legare con i coetanei ed è talmente assorto nei propri pensieri da far supporre agli insegnanti che sia ritardato. La dottoressa Jane Grierson, direttrice di una scuola per bimbi precoci, scopre il talento di Fred e lo invita a passare un periodo con altri bambini come lui: Dede accetta a malincuore. Tornato a casa, Fred ha ormai preso coscienza delle proprie doti e la precaria situazione economica in cui vive non rende semplice la sua già difficile esistenza. Preoccupata per la salute del figlio, Dede acconsente, sia pur a malincuore, ad affidarlo per le vacanze estive a Jane che, nel frattempo, ha provveduto a iscriverlo a un corso universitario. Anche così, però, Fred non è felice: all’università è guardato da tutti come un piccolo mostro, la vita con Jane è monotona e asettica e, quando viene invitato a una trasmissione televisiva, fa di tutto per mostrarsi al di sotto delle aspettative del pubblico. Tornato a casa trova Dede ad aspettarlo, ormai convinta di dover collaborare con Jane alla costruzione del futuro del figlio. Alla festa per l’ottavo compleanno di Fred ritroviamo tutti i protagonisti riuniti all’insegna di una rinnovata armonia: il bambino, del resto, è più sereno da quando Jane ha scoperto un altro piccolo genio di soli sei anni.

Introduzione al Film

Lo spunto di maggior interesse fornito da Il mio piccolo genio è quello sul tema della diversità, ampiamente sfruttato dal cinema, ma qui sviluppato a partire da un capovolgimento dei presupposti. Il film ha, infatti, il pregio di sgomberare subito il campo da un’equivalenza divenuta pressoché automatica: la diversità corrisponde, soprattutto nell’immaginario cinematografico, all’handicap fisico o intellettuale e mai a quello che, a prima vista, può apparire come un indiscutibile vantaggio. Fred, che è un piccolo prodigio praticamente in tutti i campi dell’attività intellettuale, non può essere un bambino normale: l’ipotetica superiorità di cui dovrebbe godere ne ha fatto, in realtà, un emarginato, un individuo sostanzialmente solo, soprattutto con i propri pensieri. In realtà, ciò che impedisce a Fred di essere uguale agli altri non è il suo genio, bensì la sua sensibilità: il suo problema non è soltanto quello di essere un mostro di intelligenza e abilità in molte discipline, ma è soprattutto il possedere una sensibilità fuori del comune. Tra tutte le prove cui viene sottoposto da Jane la più strabiliante è anche quella meno prevedibile (e forse meno evidente): non la capacità di svolgere a mente calcoli complessi o l’eseguire al pianoforte difficili brani musicali – attività che appartengono all’area dell’abilità – ma il commento illuminante di fronte al dipinto di Van Gogh “Gli iris”. Il pittore avrebbe dipinto un solo fiore bianco tra tanti altri blu, afferma il bambino, perché si sentiva solo. Nessuno meglio di Fred sa cosa sia la solitudine e, ciò che lo distingue dai suoi coetanei – geniali e non – è proprio questa capacità di rielaborare le esperienze quotidiane, trasformandole in riflessioni di strabiliante profondità. Insomma, in Fred convivono due qualità opposte: troppo sensibile, il bambino è privo di quei meccanismi di difesa che i suoi coetanei possiedono nei confronti del reale e, al tempo stesso, la sua straordinaria intelligenza lo mette in condizione di comprendere ciò che è più grande di lui. A livello simbolico è significativo il mappamondo Fred, in una scena del film, riceve in testa e che, in una successiva, gli sarà regalato da uno studente universitario suo amico: al protagonista è stato sì regalato il mondo, date le infinite possibilità che può offrirgli il suo genio, ma Fred è anche colui che sente di doversi fare carico del mondo e di tutti i suoi problemi. È inevitabile allora che la grave forma d’ulcera sviluppata dal bambino sia causata, come afferma Dede dalla “angoscia per la fascia dell’ozono, per le foreste amazzoniche e per tutti gli innocenti che vengono assassinati ogni giorno”. Logico, anche, che sua madre voglia difenderlo dal troppo sapere e che, al tempo stesso, sia costretta dalla propria condizione economica e sociale ad allontanarsi da lui affidandolo a Jane, ex bambina prodigio e ora brillante scopritrice di talenti precoci. Se Fred non ha un padre ha di certo bisogno di due madri – una naturale e affettiva, l’altra putativa e razionale – che possano riequilibrare l’un l’altra i propri rispettivi ruoli. Non è certamente un caso se a essersi battuta strenuamente per dirigere Il mio piccolo genio sia stata proprio Jodie Foster. Ex bambina prodigio – la sua carriera di attrice inizia a dieci anni, a quattordici è già interprete della giovanissima prostituta Iris in Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese – la Foster, a differenza di molti suoi colleghi coetanei, ha saputo liberarsi presto dei ruoli infantili maturando professionalmente molto in fretta, fino ad approdare alla regia con questo suo primo film. A tal proposito, nella sequenza in cui Fred appare in televisione – il bambino decide di deludere le aspettative di quanti lo guardano recitando una poesia composta da un suo compagno di scuola assolutamente normale – sembra riecheggiare, più che in ogni altra parte del film, la consapevolezza di chi ha avuto un destino segnato dal successo ma anche dall’obbligo di stupire continuamente il pubblico con la propria intelligenza e bravura. Fabrizio Colamartino

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