Dove siete? Io sono qui

di Liliana Cavani

(Italia, 1993)

Sinossi

Fausto è un ragazzo non udente di vent’anni di famiglia benestante. La madre lo ha costretto fin da bambino – la cui età ed educazione è descritta attraverso il ricorso ad alcuni flash back – a ignorare il suo handicap, costringendolo a comportarsi come una persona normale, frequentando solo normodotati, prendendo al suo posto e ‘per il suo bene’ le decisioni importanti della vita (la scuola, il lavoro). Non basta l’azione della zia, con cui Fausto ha un buon rapporto e che è di mentalità più aperta, ad arrestare le tentazioni prevaricanti della madre. Grazie a fortunate coincidenze, Fausto incontra, però, Elena, una ragazza diciassettenne anche lei audiolesa. Tra i due ragazzi, dopo un’iniziale difficoltà, nasce una storia d’amore, naturalmente osteggiata dalla madre, perché Elena rappresenta tutto ciò che Fausto non deve seguire: una relazione con una sua ‘simile’ e, per di più, di classe sociale più bassa. La morte improvvisa della zia avvicina ancor di più i due ragazzi che vanno a vivere insieme. Fausto riesce così a liberarsi dell’oppressione materna e a convincere Elena a tornare al liceo per prendere la maturità, anche senza l’insegnante di sostegno. Il superamento dell’esame diventa, per la coppia, il varco verso una nuova vita, matura e adulta.

Presentazione critica

Il mondo dei sordi è sempre stato poco rappresentato dal cinema, nel filone, quanto mai eterogeneo e difficilmente codificabile, dei film ‘sociali’ che trattano gli handicap umani. Forse per una claustrofobica chiusura in sé stessi, forse per la diversità di codici linguistici rispetto a qualsiasi altra categoria di persone e, nel contempo, l’universalità della lingua dei segni che rende i sordi una vera e propria comunità mondiale, forse, al meno dal punto di vista cinematografico, perché il linguaggio per immagini e suoni della settima arte mal si concilia con il loro linguaggio, essenzialmente semantico, ma sta di fatto che poche pellicole hanno indagato il mondo dei non udenti. Tra i pochi altri da annoverare nella lista c’è sicuramente il film di Liliana Cavani. Quali speranze di adattamento nel tessuto sociale hanno i sordi? Che tipo di educazione è più adatto a loro? Che approccio si meritano, duro, pietistico, solidale? La regista prova ad avviare il suo personale itinerario di scoperta proprio a partire da queste semplici e condivise domande e lo fa mettendo a confronto due esempi diversi di sordi: da una parte Fausto, ricco di famiglia, con una madre che decide per lui, costretto a vivere e interagire solo con normodotati, in un bell’ufficio dove lavora senza diversità di compiti e funzioni, alle prese con l’apprendimento dell’inglese per poter andare a lavorare in Inghilterra; dall’altra Elena, figlia di operai, costretta ad abbandonare la scuola prima della maturità per mancanza di insegnanti di sostegno, decisa a rifiutare tutto quello che è normalità. L’incontro tra le diverse esperienze riesce a evidenziare le costrizioni che vivono i due giovani. Gli ostacoli di Elena, in particolare, non sono quelli di un’adolescente qualsiasi: si deve scontrare contro la mentalità discriminante della preside, che vorrebbe sbolognare la ragazza ad una scuola speciale per disabili, l’insofferenza dei professori costretti a rallentare il programma o a spiegare meno velocemente, l’indifferenza dei compagni, la fatica di leggere il labiale degli insegnanti o di parlare di fronte alla classe. Se il tentativo di Liliana Cavani, per far riflettere su una condizione che spesso è più complessa di altre forme di handicap e soprattutto per ragionare su quale proposta educativa sia più adatta agli audiolesi, si può considerare coraggioso, non si può dire che tale sforzo abbia avuto successo, per ragioni che vanno al di là del soggetto o della buona interpretazione degli attori udenti Chiara Caselli e Gaetano Carotenuto. Innanzi tutto, appaiono troppo schematiche e stereotipate le scene di descrizione del disagio: non convince l’ambientazione scolastica, dove i comportamenti della preside e degli insegnanti sembrano francamente esagerati, anche se portatori di una mentalità probabilmente presente nella scuola italiana, tanto meno il precipitoso e scontato ravvedimento della classe quando Elena supera brillantemente l’interrogazione di latino; né sono verosimili le scene dell’ufficio di Fausto o della casa di Elena nelle quali gli adulti non sanno far altro che prendere in giro i sordi o approfittarsi, anche sessualmente, di loro. I personaggi che fanno da corollario alla coppia non superano mai lo stereotipo: la madre cattiva, la zia buona, il padre comprensivo ma assente, la fidanzata perbene ed esigua, sono tutti personaggi senza profondità psicologica. Appare sconclusionato anche il ricorso ai simboli che risultano vacui, senza un vero legame con la realtà rappresentata, dai film muti di Chaplin all’ascolto della musica attraverso le vibrazioni, passando per il mimo orientale che ‘parla col corpo’ e la cui presenza è assolutamente estranea all’intreccio. Ben più significativo appare invece il ricorso metaforico alle lingue. Fausto con l’inglese ed Elena con il latino devono imparare un idioma diverso da quello dei segni e dall’italiano che in parte conoscono. In tal modo è allegoricamente resa la difficoltà, presente sempre negli audiolesi, di tradurre costantemente da una lingua all’altra, di scontrarsi spesso con oscuri codici linguistici, il cui passaggio dall’uno all’altro non può che essere particolarmente complesso. Tuttavia, nonostante ciò, gli interrogativi iniziali da cui partiva la Cavani, rimangono, alla fine del film, elusi. Quale percorso educativo è più adatto ai sordi? É meglio indirizzarsi verso l’integrazione totale o la costituzione di comunità parallele? Quale comportamento bisogna adottare nei loro confronti? La risposta, suggeriamo noi, si può trovare in un altro film, purtroppo quasi invisibile: Nel paese dei sordi di Nicolas Philibert. Marco Dalla Gassa  

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