Born into Brothels

2010/05/07 Type of resource Film cards Topics Poverty Social marginalization Titles Rassegne filmografiche

di Zana Briski, Ross Kauffman

(USA, 2005)

Sinossi

Il film documenta l’esperienza della fotografa Zana Briski in uno dei più famosi quartieri a luci rosse di Calcutta. Arrivata per documentare la condizione delle prostitute, viene catturata dalla presenza di moltissimi bambini che vivono in condizioni di povertà ed emarginazione estreme. Con un piccolo gruppo di bambini crea un laboratorio di fotografia: affidata ad ognuno una macchina fotografica e una riserva di rullini, Zana insegna loro a scattare fotografie e a fare la selezione degli scatti migliori. Le fotografie vengono utilizzate per organizzare una serie di mostre il cui obiettivo è quello di raccogliere fondi e di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, anche locale, sulla condizione di questi bambini, cui è negata la possibilità di affrancarsi dal mondo da cui provengono. Le uscite del gruppo di fotografi, da soli in giro per le strade di Calcutta o tutti insieme in gite organizzate, sono intervallate dagli sforzi estenuanti che Zana Briski compie per cercare di migliorare la condizione di vita dei suoi “alunni”: frustrata dalla delirante burocrazia indiana, fa di tutto per iscrivere i bambini in collegio e riesce ad ottenere per il più talentuoso dei bambini il passaporto che gli consente di trascorrere una settimana in Olanda in occasione di un meeting internazionale di fotografia. Le didascalie sui titoli di coda riassumono i risultati di questi sforzi: per alcuni bambini un futuro migliore è possibile, per altri invece il destino è di rimanere nel quartiere a luci rosse.

Introduzione al Film

Un viaggio all’inferno

Born into Brothels nasce dall’esperienza pluriennale della fotografa Zana Briski all’interno di uno dei quartieri più impenetrabili di Calcutta. Il film è introdotto dalla voce narrante della protagonista che racconta il suo lavoro in quel “girone infernale”, la sua scelta di vivere in quel quartiere e il suo impegno in favore dei tanti bambini figli delle prostitute. La macchina da presa manovrata dal regista Ross Kauffman pedina, con coraggio e scaltrezza, i bambini nei vicoli più impenetrabili e segreti, evitando accuratamente uno sguardo malizioso sulle attività sordide in favore di un punto di vista che si immedesima con lo sguardo infantile. Il documentario marcia su binari paralleli: da un lato c’è il resoconto dell’attività di Zana, soprannominata zia dai bambini, il suo impegno nel cercare di inserire i piccoli in collegio così da strapparli a quelle condizioni di vita e ad un destino segnato, il suo lavoro di maestra in condizioni estreme, i suoi viaggi da un capo all’altro del pianeta per cercare di raccogliere fondi; dall’altro c’è la coralità dei bambini, la molteplicità dei punti di vista, l’individualità di storie che diventano un’unica storia. Il montaggio alterna dunque le estenuanti peripezie burocratiche della fotografa con il racconto che i bambini fanno di se, soli di fronte alla macchina da presa. Con lo stesso sguardo disarmante, spontaneo e immediato con cui scattano le loro fotografie, i piccoli protagonisti raccontano le loro storie alla macchina da presa. È un punto di vista molto efficace che interpella direttamente lo spettatore senza lasciargli la via di fuga dell’estraneità. L’insistito riferimento agli scatti dei bambini inoltre diventa un mezzo per permettere un’immedesimazione solo vagamente mitigata dalle sovrastrutture del gusto artistico o degli aspetti che riguardano la tecnica fotografica utilizzata. Un’operazione certamente importante premiata non a caso, più simbolicamente che per meriti puramente cinematografici, con l’Oscar; si intravede una vena di autocompiacimento, stilistico e morale, che alla lunga diventa ingombrante. L’attenzione eccessiva all’inquadratura, al movimento di macchina, all’effetto di post-produzione, alla resa del digitale stonano con l’importanza e l’urgenza del messaggio. Inoltre è troppo insistito il racconto dell’impegno della protagonista, vagamente autoreferenziale nei suoi sfoghi con sguardo in macchina.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Soggettive sulla realtà

Il film documenta le condizioni di vita di otto bambini che vivono nel quartiere a luci rosse di Calcutta. I protagonisti sono tutti “nati nei bordelli”, come dice il titolo, sono figli di prostitute e abitano in alloggi minuscoli e fatiscenti in condizioni di estrema povertà. Il loro tentativo di vivere un’infanzia normale si scontra quotidianamente con la violenza verbale e fisica che subiscono da parte dei genitori e da parte di tutti gli abitanti del quartiere; i loro momenti di gioco, nei quali basta un aquilone fatto con la carta di giornale per passare ore di divertimento, non sono semplicemente occasioni di svago ma diventano una distrazione dalle attività dei bordelli: “quando la mamma lavora noi dobbiamo andare sul tetto a giocare” dichiara con estremo candore una bambina alla macchina da presa. Il laboratorio di fotografia organizzato da Zana Briski e documentato da Ross Kauffman permette a quei bambini di sviluppare una consapevolezza sulla realtà in cui vivono; è come se il loro mondo, filtrato dall’obiettivo della macchina fotografica, acquisisse la soggettività e l’evidenza necessarie per risultare visibile. I bambini, con atteggiamento tra l’incuriosito e il divertito, nelle fotografie riescono a guardarsi con sguardo esterno. Per loro, da sempre relegati nell’invisibilità e nell’indicibilità, l’attenzione dei media locali e la visibilità ottenuta persino a New York attraverso una mostra delle loro fotografie sono eventi giocosi da vivere con immediatezza e senza alcuna sovrastruttura. Nell’occhio indiscreto delle loro macchine fotografiche finiscono i momenti di gioco ma anche i volti disperati dei genitori, le gite all’aperto ma anche gli abissi di atrocità nei quali sono relegati. Molti dei piccoli protagonisti portano sul viso segni di violenza che contrastano con il loro sorriso, ma ancor più evidenti e gravi sono i segni interiori, che affiorano nella disarmante sincerità dei loro racconti. Si intravede uno sforzo estremo, compiuto da ognuno di loro, di vivere la vita con un approccio positivo: ciascuno, a modo suo, vuole bene ai genitori e non li disprezza pur condannando la prostituzione, la criminalità o la tossicodipendenza. In questo senso il personaggio di Avijit, senza dubbio il bambino più problematico e talentuoso, è emblematico: il padre si è trasformato in una larva umana a causa della droga ma lui racconta con fierezza e con infinito amore quanto fosse forte e rispettato prima di finire vittima della dipendenza. Il carattere di Avijit, che possiede un grande talento per il disegno e una straordinaria intelligenza, è costantemente minato dai colpi bassi della vita; quando la madre, prostituta, viene bruciata viva dal suo protettore, il bambino cade in un’apatia da cui faticosamente si risolleva grazie all’intervento disperato di Zana. Pur nell’estrema tragicità, la sua in fondo è l’unica storia a lieto fine. Per la maggioranza degli altri bambini, invece, dopo l’iniziale ottimismo ci si arrende all’inevitabile. Il faticoso inserimento nei collegi, dopo infiniti controlli, anche sanitari, per molti dei protagonisti dura pochi mesi; il tentativo è vanificato dall’intervento dei genitori, dall’incapacità di autodeterminazione, dall’imperdonabile disinteresse delle istituzioni.

Riferimento ad altre pellicole e spunti didattici

Per i temi trattati e il linguaggio utilizzato la visione di Born into Brothels è destinata esclusivamente agli studenti delle scuole medie superiori. Il film si presta ad un approfondimento sui temi dell’infanzia in situazioni sociali di estrema povertà ed emarginazione, sul ruolo dei media e sul valore dell’arte come possibile riscatto da un destino atroce. Per un maggior approfondimento si consiglia la visione di All the Invisibile Children (Italia, 2005) di Aa.Vv. sulle situazioni di infanzia negata alle varie latitudini del pianeta, Cose di questo mondo (Gran Bretagna, 2002) di Michael Winterbottom sull’emigrazione di un bambino pakistano verso condizioni di vita più accettabili e ABC…Africa (Iran, 2001) di Abbas Kiarostami che documenta la condizione dei bambini sieropositivi africani.

Ludovico Bonora

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