Benvenuti a Sarajevo

2010/04/09 Type of resource Film cards Topics Foster care Children in armed conflicts Titles Rassegne filmografiche

di Michael Winterbottom

(Gran Bretagna, 1997)

Sinossi

Michael Henderson è un reporter inglese che documenta gli strazi della guerra in Bosnia. Sempre pronto, in compagnia del suo fido cameraman Gregg, a scattare ad ogni minimo accesso del conflitto, Michael comincia a prendere a cuore le sorti di un orfanotrofio di Sarajevo in cui i bambini ospitati rischiano quotidianamente la loro stessa esistenza. La sua attenzione si punta su Emira, una bimba di nove anni che per tenerezza e dolcezza lo colpisce al punto tale da pensare addirittura di portarla a casa con sé ed adottarla. Messa al corrente la moglie del suo proposito, Michael comincia ad organizzare, tra mille difficoltà, il trasferimento dei bambini dall’orfanotrofio alle nazioni europee che dovranno ospitarli. Il viaggio si dimostra molto pericoloso: i cetnici prelevano lungo la strada alcuni bambini ritenuti musulmani e li riportano indietro. Giunta in Inghilterra, Emira si integra perfettamente trovando una famiglia e la felicità grazie a Michael e alla moglie Helen. Ma da Sarajevo gli amici giornalisti comunicano a Michael che in realtà la madre di Emira è viva e reclama la figlia, nonostante l’abbia abbandonata durante la guerra. Michael ritorna in Bosnia con la ferma intenzione di non restituire Emira ad una madre che in nove anni l’ha vista soltanto due volte, ma è la stessa donna che, parlando al telefono con la figlia e notando che questa non comunica con lei in serbo-croato ma in inglese, si dichiara disposta a firmare la pratica che sancisce di fatto per Emira una nuova vita lontano dalle brutture dei Balcani.

Presentazione critica

Più che un film sulla crudeltà della guerra, più che un resoconto sull’efferatezza del conflitto balcanico e più ancora che una cronaca dettagliata sulle conseguenze dell’arbitrio umano, Benvenuti a Sarajevo è un racconto sull’inesorabile perdita dell’innocenza. Tutto il cinema di Michael Winterbottom ruota attorno a due precisi vertici in grado di stimolare e motivare le azioni, le sensazioni, le reazioni, le gioie e le delusioni. Il concetto di perdita dell’innocenza, nella sua valenza di estrema mancanza, si lega inscindibilmente all’altro tema fondamentale del regista di Blackburn, quello dell’istituzione familiare intesa come polo di aggregazione affettiva in cui far convogliare dolori, patimenti, gioie ed insicurezze. Due grandi motivi che entrano in un’interazione profonda e grazie ai quali Winterbottom organizza la sua materia narrativa, stimolando costantemente lo sviluppo del racconto, mostrandosi sempre pronto ad una commistione tra i due termini per giungere ad una situazione finale (che può ribaltare quella di partenza oppure inverarla saturando le caratteristiche fornite in partenza) nella quale risultano nuove prese di coscienza e progressive acquisizioni d’esperienza. Così è stato nel passato per Family, nel quale la mancanza all’interno della famiglia si originava per il deterioramento di quei valori che abitualmente regolano i pacifici rapporti familiari, per Jude, in cui il protagonista abbandonava presto il sogno di una vita soddisfacente per dedicarsi al sostentamento di una famiglia destinata tuttavia ad estinguersi tragicamente, per Go Now, dove il sopraggiungere di una terribile malattia all’interno di una coppia originava un vuoto di sensazioni faticosamente superato, e per With or Without You, nel quale il malessere di una famiglia si concentrava nell’impossibilità di avere figli. In Benvenuti a Sarajevo, la mancanza si moltiplica per mille e si lega saldamente al concetto di famiglia devastata in tutti i suoi possibili significati. Emira, il personaggio-simbolo di un’infanzia martoriata dalla protervia della guerra, non ha famiglia e non dispone nemmeno di un possibile futuro data la contingenza bellica in cui si trova: la sua possibilità è affidata esclusivamente ad un intervento esterno che colmi il vuoto creato dall’assenza di legami affettivi e sia in grado di proteggerla dalla devastazione e dall’idea di morte e distruzione. Michael è il personaggio che può offrire questo approdo sicuro, l’unico capace di recepire la tacita richiesta di aiuto della bambina e fornirle il necessario corredo per ovviare a ciò che la guerra pare averle tolto. Emira, quindi, come immagine dell’innocenza persa (si pensi a quando viene redarguita perché sta fumando una sigaretta americana ottenuta chissà come) da un intero popolo a causa del sonno della ragione, ragione che si può recuperare soltanto con una vera e propria assunzione di responsabilità, cosa che non sono assolutamente capaci di garantire i governanti del mondo - mostrati attraverso filmati televisivi che con il loro statuto iconografico ribadiscono la modalità di creazione visiva su cui si basa il film: immagini televisive proposte, da un lato, come vera documentazione della guerra imposta all’interno della finzione filmica, dall’altro, in qualità di testimonianza fedele della violenza in atto, non importa se data da un’immagine vera o riprodotta dal filtro cinematografico, perché l’importante è il criterio di impatto emotivo - governatori, dicevamo, persi in considerazioni lontane dalla realtà dei fatti e totalmente aliene dalla cruda verità che vede gente lottare anche per recuperare un po’ d’acqua con cui lavarsi. Risulta quindi necessario un atto coraggioso di presa di coscienza individuale come quello di Michael, un’azione che vada al di là della diplomazia di facciata e renda concreto un impegno suscettibile di andare oltre l’incomprensione linguistica per ergersi sul valore universale della solidarietà umana, significato che supera di gran lunga i fittizi legami familiari per inglobare l’umanità in un unico grande insieme basato sull’aiuto reciproco: non è un caso che il film si concluda con la telefonata tra la madre ed Emira, con questa che non riesce a comunicare con colei che l’ha abbandonata preferendo parlare con Michael in una lingua - l’inglese - che non è la sua. La scena di fatto sancisce il distacco definitivo tra madre e figlia e l’assunzione per la bambina di una nuova realtà basata sulla certezza, sulla pace e sul sentimento. Giampiero Frasca

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